Varie, 11 novembre 2005
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Peretz Amir
• Beaujad (Marocco) 9 marzo 1952. Politico. Israeliano. Dal 2005 segretario del partito laburista (sconfiggendo Shimon Peres). «Ha i baffoni alla José Bové, contadino ribelle come lui. Da giovane imitava Che Guevara, anche se il basco lo portava solo quando faceva il militare nei parà. Adesso, vecchio Guccini, sogna che la rivoluzionaria locomotiva d’un milione e mezzo di poveri israeliani travolga Ariel Sharon e la sua politica di tagli sociali: ”Il mio treno - dice - parte dal Negev e arriva a Tel Aviv. Porta tutti i fratelli che hanno perso il senso d’appartenere allo Stato d’Israele”. [...] figlio d’una lavandaia marocchina, emigrato bambino e cresciuto nelle serre dei kibbutz, uno che in ossequio ai pionieri s’è ribattezzato due volte da Armand in Amiram e infine in Amir, uno che proclama ”libero mercato non è libertà di creare schiavi”, è il primo sindacalista, il primo sefardita della storia a conquistare la leadership del partito che fu di Ben Gurion. ”Possiamo ritornare a essere un’alternativa - prevede - solo se torniamo a essere noi stessi”. Peretz è ”la presa della Bastiglia” laburista dominata dagli ebrei europei, scrive Haaretz. ”l’uccisione una volta per tutte dei pregiudizi etnici”, esultano i fans che sognavano uno svecchiamento. Peretz è ”un irresponsabile, molto estremo”, attacca Gideon Saar, leader Likud che ricorda come una volta il nuovo leader militasse in Peace Now, si battesse contro i coloni e ora prospetti perfino, a certe condizioni, una trattativa con Hamas. Peretz è più che altro l’uomo nuovo col quale fare i conti: Sharon [...] è suo vicino di fattoria e buon amico nonostante le divergenze politiche [...]» (F. Bat., ”Corriere della Sera” 11/11/2005). «Il baffo sessantottino, assieme alla facilità con cui evoca la categoria in Europa dimenticata della ”lotta di classe” gli hanno fatto guadagnare la fama di ”rivoluzionario di professione”. Qualcuno ha persino azzardato un paragone impossibile con Lech Walesa, il mitico fondatore di Solidarnosc che seppe dare una spallata mortale al regime comunista polacco. In realtà, le ragioni della folgorante ascesa di Amir Peretz alla guida del partito laburista israeliano si racchiudono tutte nella sua biografia fondamentale: giovane, sefardita, fuori dai giochi. Nato il 9 marzo 1952 a Beaujad, in Marocco, il padre era il capo della locale comunità ebraica, la madre una casalinga, Peretz emigrò in Israele con la famiglia nel 1956 e, subito, assieme al cambiamento di status sociale, conobbe le ristrettezze e le durezze dei campi di transito. Uno di questi campi, Dorot Ruhama, nel Negev è poi diventato la cittadina di Sderot, assurta con la seconda intifada al ruolo di città-martire per le migliaia di missili Kassam e di colpi di mortaio che gli sono stati lanciati contro da Gaza. Scuola, esercito, una ferita riportata nel ’74 durante il ridispiegamento delle truppe seguita alla guerra del Kippur, ferita che gli imporrà due anni di convalescenza, la trafila del futuro leader laburista somiglia a quella di molti giovani israeliani. Fino a quando, nel 1983, su pressione degli amici che ne apprezzano la sensibilità verso i problemi sociali e la capacità di trascinare, Peretz presenta la sua candidatura a sindaco di Sderot (dove vive tuttora) nelle fila del partito laburista. Amir stravince strappando l’amministrazione al Likud. l’inizio di una carriera politica che lo porterà, nel 1988, a conquistare un seggio alla Knesset, seggio che gli verrà sempre confermato, da cui continua ad occuparsi dei temi che gli stanno più a cuore: lavoro, stato sociale, salute, sistema educativo che considera la chiave di qualsiasi progresso. In campo di politica estera e sicurezza, che è il modo in cui i politici israeliani si riferiscono alla questione palestinese, Peretz, memore della sua militanza in Peace Now, è sempre stato una ”colomba”. E tale resterà. (Famosa la risposta che diede in un’intervista dopo il ritiro da Gaza quando, in contrasto con il ministro della Difesa, Mofaz, affermò: ”Abbiamo un partner, Abu Mazen e se fosse necessario, sono disposto a parlar anche con Hamas, a patto che il movimento riconosca l’esistenza dello Stato d´Israele”). Il salto nel sindacato lo compie nel 1993 in coppia con un altro suo coetaneo destinato a fare molta strada in politica, Haim Ramon, stratega della vittoria di Rabin alle elezioni generali del 1992 che spalancheranno la strada al processo di pace. Così, quando, nel 1994, Ramon preferisce unirsi al governo Rabin, Peretz, che è già vicesegretario, conquista il vertice dell’Histadrut. Come sindacalista, s’è tirato addosso molte critiche di massimalismo, di vetero comunismo e persino di ”teppismo sindacale” per il modo intransigente con cui ha condotto le trattative. Una cosa però non è possibile rimproveragli: di essere un incoerente, un opportunista o un voltagabbana. Opponendosi alla dissoluzione dello stato sociale, voluta dal ministro delle finanze, Netanyahu, con l’assenso di Sharon, Peretz ha sì rinunciato ad entrare nel salotto buono della politica ma s’è costruito un forte base sociale che è il segreto numero uno della sua vittoria. In un paese che ha visto accrescere paurosamente il numero di nuovi poveri, e dove interi settori della società si sono improvvisamente trovati privi di protezione, molti si sono chiesti che cosa ci facessero i laburisti al governo. Il tentativo di Peretz è, dunque, di ridare un’identità ai laburisti a partire da quella battaglia per la ”giustizia sociale” che, pur restando nel programma, era sostanzialmente sparita dalla azione politica del partito. Qualunque cosa dicano i suoi avversari, Peretz non è un estremista in nessun campo. un socialdemocratico che vuole per il suo paese un’economia di mercato dal ”volto umano” nella convinzione che Israele non può sopravvivere in presenza di tensioni troppo acute o a differenze sociali incolmabili. Se le sue idee sono quelle ”giuste”, almeno da un punto di vista di sinistra, il suo stile è da capopopolo e la sua retorica, di conseguenza, populista. Venuto dalla base, Peretz è abituato a comandare e a battere i pugni sul tavolo. In compenso, a differenza di Shimon Peres, viene percepito come un leader autentico, un outsider, com’è stato scritto. Questa estraneità al laboratorio permanente della politica israeliana dominato dalle figure di due grandi vecchi come Sharon e Peres, assieme al bisogno di un ricambio generazionale fortemente sentito nel Labour, sono stati gli altri due asset che ne hanno favorito la vittoria. Infine, con Peretz alla testa del partito laburista si compie la rivoluzione sociale che ha portato la seconda Israele, quella dei nuovi immigrati e degli orientali, spregiativamente chiamati ”marocchini”, alla guida dello stato, tradizionalmente dominato dagli ashkenaziti (gli ebrei provenienti del Nord Europa). [...]» (Alberto Stabile, ”la Repubblica” 14/11/2005).