varie, 11 novembre 2005
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JohnsonSirleaf Ellen
• Monrovia (Liberia) 29 ottobre 1938. Economista. Politico. Eletta nel novembre 2005 presidente della Liberia (prima donna del continente, battendo al ballottaggio George Weah). Premio Nobel per la Pace 2011 (con l’avvocato liberiano Leymah Gbowee e la giornalista yemenita Tawakkol Karman) • «[...] ha studiato ad Harvard e ha lavorato per l’Onu e la Banca mondiale [...] pennelleggiata frettolosamente come una stagionata Hillary [...] è stata ministro negli anni Settanta, poi imprigionata sotto la folcloristica e feroce dittatura decennale di Samuel Doe, un caporale analfabeta sbucato fuori dal manuale degli orrori africani. Etichetta confortante, se non fosse appannata dalla collaborazione, entusiasta, con Charles Taylor, altro dittatore responsabile di una guerra civile che ha causato trecentomila morti. Taylor comodamente esiliato in Nigeria con il conto in banca rigonfio, secondo i maligni sarebbe il vero regista della scalata al potere della signora di ferro. Ma i suoi sostenitori ribattono con qualche ragione che solo la sua energia è in grado di stroncare la corruzione e l’affarismo. E attirare i capitali stranieri indispensabili per ricostruire un paese vestito di stracci.[...]» (Domenico Quirico, “La Stampa” 11/11/2005). «[...] È stato un lungo cammino il suo. Messa in galera dal dittatore Samuel Doe, si è unita alla ribellione di Charles Taylor. Poi, quando ha capito che anche Taylor puntava solo al guadagno personale, l’ha abbandonato. “In carcere sono stata anche torturata, non fisicamente ma psicologicamente. Facevano finta di ammazzarmi. Una volta mi hanno messo in una stanza con dieci persone. È entrato un soldato e ha ucciso gli altri, uno per uno. Arrivato a me si è fermato. È stato terribile” [...] Alla vittoria di Ellen hanno contributo soprattutto le donne. Forse il suo più grande merito [...] è stato quello di aver unificato la parte femminile delle varie tribù della Liberia, da sempre in lotta per la supremazia. Per lei hanno votato donne kran, mandingo, kru, gola e di tutte le altre etnie indigene. L’hanno appoggiata persino le donne congo, la tribù “importata”, quella a cui appartengono i discendenti dalle famiglie di schiavi liberati che rientrarono dall’America in Africa nell’800» (Massimo A. Alberizzi, “Corriere della Sera” 11/11/2005). «[...] Da ministro delle finanze nel governo di William Tolbert negli anni ’70 a responsabile per l’Africa del Programma delle Nazioni unite per lo sviluppo (Undp), da sostenitrice di Charles Taylor nella ribellione che ha spodestato Samuel Doe nel 1989 ad avversaria sconfitta dello stesso Taylor nelle presidenziali del 1997, “la lady di ferro” di Monrovia ha una parabola politica lunga e accidentata. Esponente di spicco dell’élite urbanizzata ed educata all’estero (ha un master in Business and administration ad Harvard), apprezzata dalle grandi istituzioni internazionali, di cui ha fatto attivamente parte (è stata funzionaria di spicco alla Banca mondiale e alle Nazioni unite), Johnson-Sirleaf è al centro della vita politica liberiana da [...] quando [...] tornò dagli Stati uniti per assumere la carica di responsabile del dicastero dell’economia nel governo di Tolbert. Era il 1972: la Liberia era dominata dai discendenti degli ex schiavi neri americani, liberati e “tornati” nel 1847 - in virtù di una sorta di sionismo nero ante litteram - nella terra dei loro avi. [...] Quando, del tutto inaspettatamente, Tolbert venne rovesciato dall’allora quasi sconosciuto sergente Samuel Doe in un colpo di stato organizzato da un gruppo di militari kran, tutti i ministri americo-liberiani che componevano il governo vennero condannati a morte. Tredici furono giustiziati; quattro riuscirono a scappare: tra questi Johnson-Sirleaf, riparata rocambolescamente negli Stati uniti. Dopo un effimero ritorno nel paese nel 1985 - per candidarsi a senatrice quando Doe annunciò la fine del regime militare e la convocazione di elezioni politiche risultate poi ampiamente truccate - , e dopo un altrettanto effimero periodo di detenzione per “alto tradimento” (per aver definito i governanti “stupidi e idioti”), la “lady di ferro” tornerà nella sua base statunitense, da dove non smetterà di allacciare contatti e cercare fondi per quello che diventa il suo principale obiettivo: spodestare l’odiato Doe. È in quest’ottica che stringerà rapporti con Charles Taylor, ex ministro di Doe caduto in disgrazia che stava organizzando una ribellione con l’appoggio di Libia e Burkina Faso. Nel corso degli anni e degli incontri, i due diventano molti vicini, tanto che quando Taylor riesce finalmente a espugnare Monrovia e Doe viene selvaggiamente trucidato, nel 1989, Johnson-Sirleaf fa parte del suo più ristretto entourage. Ma la luna di miele sarà di breve durata: schifata secondo i suoi sostenitori dalla corruzione di Taylor e del suo National patriotic front of Liberia (Npfl), risentita per essere stata esclusa dal potere secondo i suoi detrattori, la “lady di ferro” diventa una delle più fiere oppositrici del “padrone di Monrovia”. Si candida alle elezioni presidenziali del 1997, vinte poi da Taylor con il famigerato slogan “ho ucciso tua madre, ho ucciso tuo padre, vota per me”. Denuncia la gestione del potere personalistica e clientelare del leader ribelle diventato presidente. Finché, poco dopo il voto, una nuova accusa per tradimento la costringerà a un ulteriore periodo di esilio, da cui tornerà solo nel 2003, dopo la presa di Monrovia da parte dei combattenti del Lurd e del Model e la fuga di Taylor in Nigeria. Competente e preparata, tanto materna da guadagnarsi il soprannome di “nonna Ellen” ma altrettanto severa con i suoi oppositori - si racconta che quando era al ministero delle finanze aveva sulla scrivania un timbro con la parola “bullshit” (“stronzata”), con cui bollava e rimandava al mittente le lettere che avanzano proposte ritenute irricevibili [...]» (Stefano Liberti, “il manifesto” 11/11/2005).