MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2005, 11 novembre 2005
Stremato dal freddo e dalla fame, il manto zuppo d’acqua, l’animale steso in terra pareva una palla intrecciata di erba e fango
Stremato dal freddo e dalla fame, il manto zuppo d’acqua, l’animale steso in terra pareva una palla intrecciata di erba e fango. «Che strano cane» pensò l’automobilista che l’aveva investito sulla tangenziale di Parma, a cinque minuti dal cuore della città. Strano o non strano, bisognava portarlo dal veterinario. E il veterinario, Gianmaria Pisani, rimase a bocca aperta: «Questo è un lupo! Ma sta male. La temperatura del corpo è bassa, ha una zampa contusa e non mangia da una settimana almeno». Era il 24 febbraio dello scorso anno. Quell’animale tutto acciaccato, di lì a pochi giorni, avrebbe percorso mille chilometri, dall’Emilia alla Francia, senza che niente potesse fermarlo: né i bracconieri, né le autostrade, né le ferrovie. E grazie a un radiocollare satellitare di ultima generazione, avrebbe fornito le prove del più lungo viaggio di un lupo allo stato selvatico in Italia, testimoniando la capacità di questa specie di ricolonizzare spontaneamente aree anche molto lontane. Tutto ciò è stato possibile per due ragioni: la tempra robusta dell’animale e la dedizione di tanti uomini. Il veterinario che prestò le prime cure lo affidò subito al Servizio Risorse naturali della Provincia di Parma, che coinvolse i responsabili del «Progetto Life per la conservazione del Lupo della Regione Emilia-Romagna e i ricercatori dell’Università di Roma La Sapienza. L’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica fece l’esame del Dna: quel lupo era lo stesso rilevato sulla neve, nel dicembre precedente, in provincia di Modena. La breve storia dell’animale cominciava a essere più chiara: si trattava di un cucciolo di circa 10 mesi, nato nella primavera del 2003 in uno dei branchi studiati dal Progetto Life nel Parco del Frignano. Da qui, nel suo primo inverno di vita, aveva deciso di andare in cerca di un altro territorio (fenomeno detto di dispersione e assai frequente tra i lupi). Qualcosa però era andato storto, si era avvicinato troppo alla città e la sua avventura sembrava destinata a finire male. Invece si riprese in fretta, così in fretta che i ricercatori, dopo un giorno, lo trasportarono in un piccolo rifugio in pietra nell’Appennino parmense, gli offrirono un paio di carcasse di capriolo e cinghiale e lo lasciarono solo (per non compromettere il suo temperamento selvatico). L’11 marzo era in piena forma. Era giunto il momento di liberarlo. Dopo averlo narcotizzato, gli studiosi gli applicarono il radiocollare e lo trasportarono, all’interno di una cassa, su una slitta da neve, nel parco dei Cento Laghi. Dopo la somministrazione dell’antidoto per svegliarlo, viene aperta la porta della cassa: l’animale, come sorpreso, si guarda intorno e, saltando nella neve, si allontana veloce all’interno della faggeta. Paolo Ciucci, ricercatore del Dipartimento di Biologia Animale e dell’Uomo dell’Università La Sapienza, da allora non ha mai perso di vista il lupo da lui battezzato Ligabue, in onore del pittore: «Possiamo seguire le sue mosse ogni istante grazie al nuovo radiocollare Gps-Gsm. Questo strumento, del peso di 600 grammi, non solo acquisisce informazioni dal Gps (data, ora, coordinate geografiche della posizione dell’animale), ma ce le rimanda, attraverso la rete Gsm, come fossero messaggini sms. Nel collare c’è una Sim card, dalla parte opposta ci sono io con il modem connesso al computer: quando arriva un sms visualizzo su una mappa gli ultimi spostamenti del lupo. Non solo: questo sistema è bidirezionale. Se voglio posso mandare istruzioni al collare, dirgli ad esempio di inviarmi gli sms ogni 5 minuti anziché ogni ora». Per i primi quattro giorni i messaggini sono sconfortanti: Ligabue non si muove. Poi i primi passi, quindi una visita sul crinale dell’Appennino tosco-emiliano. Dall’altra parte del monitor, Paolo Ciucci comincia a segnare i punti su un grafico, tracciando le tappe di quello che diventerà un lunghissimo viaggio. «Ligabue ha lambito il mare delle Cinque Terre, di Camogli, di Rapallo» racconta il ricercatore. «Si è fermato nelle riserve del Monte Antola (al confine tra Liguria e Lombardia) e delle Capanne di Marcarolo (tra Liguria e Piemonte). Dopo un rapido attraversamento delle Lande, lo scavalcamento dell’autostrada Savona-Torino all’altezza di Mondovì e un passaggio alla periferia di Cuneo, nella notte tra il 27 e il 28 settembre è arrivato sulle Alpi Marittime». Ligabue ha attraversato canyon, crinali e zone impervie, fermandosi in grotte e tane naturali. E non è quasi mai sceso in pianura: forse, ricordando le ruote della macchina che gli son passate sopra, si è tenuto alla larga dall’uomo. La corsa verso nord, lungo l’Appennino, ha avuto solo pochi momenti critici: uno sopra La Spezia quando, come per inerzia, ha proseguito per la Pianura Padana. Ma dopo quattro giorni ha ripreso la bussola e ha piegato a ovest». Il vero nome di Ligabue è una sigla alfa numerica: LM-15, che sta per il quindicesimo lupo maschio seguito a distanza da un radiocollare in Italia. Ma gli altri quattordici erano stati seguiti per un tragitto di quaranta-cinquanta chilometri, mentre Ligabue di chilometri ne ha fatti più di mille (280 in linea d’aria). Alla fine del settembre scorso ha varcato la frontiera con la Francia e da allora sta facendo avanti e indietro sul confine con l’Italia. «Lì ci sono cinque-sei branchi stabili nei quali cercherà di inserirsi – spiega Ciucci ”. Nella stagione degli accoppiamenti il turnover è molto elevato: si formano nuove coppie, i giovani si allontanano, alcuni vecchi maschi prendono il predominio». E se non dovesse farcela a unirsi a un altro branco? «Potrebbe andare oltre o tornare indietro. Capita di rado, ma in Nord America è successo». Grazie al viaggio di Ligabue, Paolo Ciucci trova finalmente conferma alle teorie da tempo avanzate dai ricercatori italiani: «I lupi delle Alpi francesi derivano dalla popolazione italiana, presente da sempre sull’Appennino, in seguito a un processo di ricolonizzazione spontanea, graduale ma continua negli anni. Il meccanismo lo ha dimostrato Ligabue». I lupi ricompaiono in Francia verso il 1992 e nasce la leggenda che qualcuno (gli ambientalisti, la forestale, qualche pazzo) ce li abbia portati. «Idea assurda anche perché un lupo cresciuto in cattività non avrebbe l’istinto per sopravvivere nei boschi. La verità è che questa specie ha una grande attitudine alla ricerca di nuovi territori. Ligabue non è un caso unico: come lui quest’anno saranno andati in dispersione altri dieci lupi, ma nessuno li ha monitorati». Questo studio sconfessa gli scettici che non credono possibile un viaggio spontaneo su così lunghe distanze, attraverso territori così ostili. «I lupi, invece, sono formidabili camminatori». Fino a quando avremo notizie di Ligabue? «Le informazioni del collare hanno il limite stabilito dalla batteria: si scaricherà nel luglio del 2005. Ma raramente gli animali sopravvivono alle batterie. Di solito, purtroppo, vengono uccisi prima, illegalmente o accidentalmente».