La Repubblica 11/11/2005, pag.60-61 Piergiorgio Odifreddi, 11 novembre 2005
Ecco cosa ci fa simili agli uccelli. La Repubblica 17/11/2005. Torino. Esiste da qualche anno negli Stati Uniti il premio Lewis Thomas, che incorona lo «scienziato come poeta»: dopo essere andato a premi Nobel quali François Jacob, Max Perutz e Steven Weinberg, o a mostri sacri quali Freman Dyson, Abraham Pais e Edward Wilson, è stato vinto nel 2003 da Jared Diamond, autore del best-seller Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1998), che a suo tempo aveva avuto tra i suoi recensori nientemeno che Bill Gates
Ecco cosa ci fa simili agli uccelli. La Repubblica 17/11/2005. Torino. Esiste da qualche anno negli Stati Uniti il premio Lewis Thomas, che incorona lo «scienziato come poeta»: dopo essere andato a premi Nobel quali François Jacob, Max Perutz e Steven Weinberg, o a mostri sacri quali Freman Dyson, Abraham Pais e Edward Wilson, è stato vinto nel 2003 da Jared Diamond, autore del best-seller Armi, acciaio e malattie (Einaudi, 1998), che a suo tempo aveva avuto tra i suoi recensori nientemeno che Bill Gates. Il nome di Diamond non è però legato a quell´unico libro: oltre ad aver scritto Il terzo scimpanzé (Bollati Boringhieri, 1994) e L´evoluzione della sessualità umana (Sansoni, 1998), questo fisiologo e ornitologo di fama mondiale ha appena pubblicato il meraviglioso Collasso (Einaudi, pagg. 566, euro 24), che sta presentando in questi giorni in Italia. Noi l´abbiamo intervistato a Torino in occasione di un ciclo di Conversazioni inaugurato nella sede dell´Einaudi (Diamond sarà poi a Roma martedì 15 novembre). Mi sembra che lei non abbia cominciato con lo studio delle civiltà che l´hanno reso famoso, vero? «Infatti. Ho preso una laurea ad Harvard in biochimica, per prepararmi a diventare medico come mio padre. Ma poi ho cambiato idea, e ho preso un dottorato in fisiologia a Cambridge: dopo essere nato e cresciuto a Boston avrei voluto trasferirmi su un altro pianeta, e l´Inghilterra era la cosa più vicina a esserlo». E ha mai fatto ricerca nel campo della fisiologia? «Altro che: per molti decenni sono stato ritenuto il miglior specialista dei dotti biliari! Ma ho anche sempre avuto una vera passione per gli uccelli». Anche Watson, lo scopritore della doppia elica, e Nirenberg, il decifratore del codice genetico, hanno cominciato con l´ornitologia. Come mai è una così buona scuola? «Da un lato, gli uccelli sono gli animali meglio comprensibili, perché hanno i nostri stessi sensi: la vista, l´udito, e in minor misura l´olfatto. Dall´altro lato, con gli uccelli, così come con gli esseri umani, non si possono fare esperimenti di laboratorio: in entrambi i casi bisogna imparare a fare esperimenti naturali, basati sulle comparazioni di situazioni esistenti». Nei suoi libri lei fa spesso riferimento alla Nuova Guinea: quante spedizioni ornitologiche ci ha fatto? «Ventuno, e ad aprile partirò per la ventiduesima: una permanenza di circa sei anni, in tutto». Quindi lei continua a fare osservazioni, nonostante la sua attività di scrittore? «Certo, e continuerò finché potrò "volare"». Lei sembra fautore di una sorta di determinismo ambientale, che privilegia l´influenza dell´ambiente rispetto a tutti gli altri fattori. Anzitutto, si ritrova nella definizione? «Sì, benché sia una definizione alla quale gli storici reagiscono (negativamente) in maniera automatica. Ma l´ambiente ha sicuramente un´influenza sugli affari umani, che in qualche caso è inevitabile: ad esempio, gli esquimesi non hanno mai sviluppato l´agricoltura non per motivi culturali, ma perché non glielo permetteva l´ambiente artico». E come risponde alle critiche, che dicono che questo è un ritorno a Lamarck, per non dire a Strabone? «Le critiche riguardano soprattutto Armi, acciaio e malattie, nel quale argomentavo che senza piante e animali adeguati non si può sviluppare una società agricola. Non sono state ripetute per Collasso, nel quale mi concentro invece su problemi che si possono risolvere con scelte appropriate». Oltre all´origine delle civiltà, anche l´origine dell´uomo, a cui lei ha dedicato Il terzo scimpanzé, è opera di un determinismo ambientale? «La questione è dibattuta: ad esempio, non sappiamo se e come la crescente siccità abbia contribuito alla crescita del cervello umano. E non si può nemmeno dire che l´uomo e gli scimpanzé si siano sviluppati, rispettivamente, nelle zone arida e umida della valle centrale africana, perché recentemente si è scoperto uno scimpanzé fossile nella zona arida». E che cosa ha determinato la scomparsa dei neanderthal, che pure avevano un cervello più grosso del nostro? «Probabilmente il nostro cervello funzionava meglio, almeno dal punto di vista delle invenzioni necessarie per la sopravvivenza: le nostre si sono susseguite velocemente negli ultimi 40.000 anni, mentre i neanderthal sono rimasti praticamente immutati dalla loro apparizione, 300.000 anni fa, fino alla loro estinzione». C´è un determinismo anche nell´evoluzione dei caratteri della sessualità umana, alla quale lei ha dedicato il suo secondo libro? «A noi il nostro modo di far sesso pare normale, ma se gli animali se ne interessassero lo troverebbero molto strano: ad esempio, perché lo facciamo di nascosto, o perché lo pratichiamo in periodi non fertili. Naturalmente, la sessualità umana non è un fenomeno puramente riproduttivo, ed è legato ad altri fattori. Pensiamo, ad esempio, al ruolo che hanno i nonni nell´educazione dei bambini, dalle società tribali a quelle moderne, che ovviamente è inesistente fra gli animali: non esistono "nonni leoni", no?» Cosa pensa delle spiegazioni alla Desmond Morris, come quella che il seno delle donne è un´imitazione delle natiche, dovuta al passaggio dall´accoppiamento posteriore a quello anteriore? «Credo che i segnali sessuali siano probabilmente arbitrari. In alcune popolazioni le donne non hanno seni molto pronunciati. In altre, invece, hanno natiche molto sviluppate: i casi tipici sono gli abitanti delle isole Andamane da un lato, e gli ottentotti e i boscimani dall´altro». Il determinismo ambientale vale anche per le religioni? «Forse. Certo è un fatto che le tre religioni monoteistiche si siano sviluppate nel deserto. O che l´islam abbia avuto un´esplosione immediata: si tratta solo dell´influsso di una persona eccezionale come Maometto, o ci sono fattori demografici che hanno contribuito all´espansione? Non conosco le risposte, ma le domande mi sembrano molto interessanti». Leggendo i suoi libri mi è venuta in mente la Storia della Rivoluzione Russa di Trotsky, che mostra come anche gli eventi politici siano soggetti a un determinismo piuttosto rigido, benché non di natura ambientale. «L´ambiente è stato fondamentale per la nascita delle civiltà, ma per la loro sopravvivenza e il loro sviluppo intervengono sicuramente altri fattori: la capacità di gestire le risorse, i cambiamenti climatici, il ruolo delle popolazioni nemiche, la gestione delle relazioni commerciali. Ad esempio, le cause ambientali non sono state fondamentali per il crollo di Cartagine o dell´Unione Sovietica, benché lo siano state per la caduta dei Maya». Il suo approccio fa presagire una «storia come scienza», per usare una sua espressione: quanto è lontana la cosa? «La storia non è ancora una scienza, ma potrebbe diventarlo. Una scienza diversa dalla fisica o dalla chimica, però, e più simile all´ornitologia o alla paleontologia, nelle quali si possono fare ragionamenti ma non esperimenti». Ma si possono conciliare il determinismo storico e la libertà umana? «La libertà agisce soltanto a livello individuale, e in ogni caso non è assoluta. Un esempio classico è l´attentato a Hitler del 20 luglio 1944: se la bomba fosse stata piazzata qualche metro più in là, le cose sarebbero andate molto diversamente». La storia è dunque un sistema caotico, nel quale piccole differenze nelle cause possono provocare grandi differenze negli effetti? «Grandi differenze si possono certamente avere nel breve periodo, ma il vero problema ancora irrisolto è se esse possono perdurare alla lunga, o se invece siano destinate a essere smussate e assorbite». Col senno di poi, sembra che i suoi libri costituiscano un´unica grande opera che spazia dall´origine dell´uomo alla caduta delle civiltà: li ha pensati così? «A posteriori si potrebbe effettivamente pensarlo, ma in realtà ogni volta che ne ho scritto uno mi sono solo chiesto quale avrebbe potuto essere un seguito interessante. E sia lo sviluppo delle civiltà, che il loro collasso, sono due temi che mi hanno interessato per decenni, sui quali avevo sempre pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere». Dopo esserne diventato un maestro riconosciuto, quale pensa sia l´importanza della divulgazione scientifica? «Molto rilevante, direi: soprattutto in paesi come gli Stati Uniti di oggi, in preda a tragedie quali la reviviscenza del creazionismo, o una presidenza basata sulla fede invece che sul principio di realtà. Ma una buona parte della colpa ricade sugli scienziati stessi, che in maggioranza non solo non si degnano di spiegare il loro lavoro, ma addirittura disprezzano coloro che lo fanno: li considerano dei superficiali, dei pensionati, o addirittura delle prostitute intellettuali». Credevo che fosse così solo in Italia! accaduto anche a lei, personalmente? «Io sono stato abbastanza fortunato, perché stavo in un dipartimento di fisiologia: i miei colleghi non hanno saputo che scrivevo libri di divulgazione, fino a che non ho vinto il premio Pulitzer. Ma appena se ne sono accorti, mi hanno rifiutato un aumento di stipendio alla prima occasione: così va il mondo accademico». Piergiorgio Odifreddi