MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2005, 11 novembre 2005
Ogni anno cadono sulla Terra oltre un milione di miliardi di miliardi di cristalli di neve. Scendono alla velocità di 50 centimetri al secondo e non ce n’è uno uguale all’altro
Ogni anno cadono sulla Terra oltre un milione di miliardi di miliardi di cristalli di neve. Scendono alla velocità di 50 centimetri al secondo e non ce n’è uno uguale all’altro. Non succede mai che un minuscolo capolavoro di ghiaccio sia perfettamente sovrapponibile a un altro, perché le condizioni in cui è nato e vissuto possono essere alquanto diverse. La spiegazione sta in quelle che i fisici chiamano ”rotture di simmetria”, ossia nei continui inciampi e alterazioni dell’ordine naturale che impediscono alle cose di andare come dovrebbero. In natura sono state inventariate ben 32 classi di simmetria e ognuna riunisce una tipologia di cristalli che, pur avendo composizione chimica diversa, possiedono la medesima architettura atomica di base. Qualsiasi struttura cristallina, se non trova ostacoli, segue l’ordine previsto dalla propria classe, ma è cosa rara. Le molecole d’acqua, infatti, gelerebbero tutte seguendo la tipica simmetria a sei lobi – caratteristica dei cristalli di neve – ma purtroppo qualcosa va sempre storto, creando una ”rottura” nella simmetria. E gli accidenti non finiscono qui. A queste falle di simmetria si aggiungono le deformazioni che i cristalli subiscono mentre si aggregano in fiocchi: ognuno riunisce almeno 10 mila formazioni cristalline, appiccicate le une alle altre. Se tutto questo disordine non esistesse, i fiocchi di neve sarebbero uguali. Kenneth Libbrecht, docente di fisica al California Institute of Technology (Caltech), ha ”fabbricato” migliaia di cristalli in una specie d’incubatrice di rame, riproducendo le condizioni ambientali in cui si formano. Ma anche Libbrecht, così come madre natura, non è riuscito a crearne due identici. «La causa principale della loro infinita varietà - spiega - è nelle illimitate combinazioni di temperatura e umidità che i cristalli incontrano a varie quote nell’atmosfera». La forma finale di un cristallo di neve contiene dunque la storia di tutte le condizioni atmosferiche attraverso le quali è passato quand’era ancora nella fase instabile del congelamento. Se potessimo decifrare la forma di un cristallo, essa ce ne racconterebbe il viaggio e le avventure con precisione matematica. Per costruire un cristallo di neve, il freddo non basta. Occorrono nuvole gonfie non solo di umidità, ma anche minuscoli granelli di pulviscolo, affinché il vapore e l’acqua ”quasi liquida” (ossia un po’ viscosa) vi si possano condensare attorno. Un po’ come le perle, insomma. I fiocchi di neve, ovviamente, durano molto meno, anche se una certa parentela con l’eternità ce l’hanno. Per gli antichi, i diamanti erano fatti d’acqua, ma ghiacciati a temperature tanto basse da restare solidi per sempre. Il termine ”cristallo”, infatti, deriva dal greco kryo, che significa freddo. Per osservare i cristalli di neve non è indispensabile un microscopio, perché non sono poi così piccoli: il loro diametro varia dai 2 ai 4-5 millimetri, quindi basta una lente. Ciò che dobbiamo fare, casomai, è tenere sempre pronto nel freezer un pezzo di velluto o di cartone neri, per posarci sopra i fiocchi che vogliamo osservare. Il cappotto è d’obbligo perché, se non li guardiamo all’aperto, il tepore di casa li scioglie. Si noterà subito che i cristalli sono esagonali, tutti o quasi, e comunque il numero 6 sembra sempre legato a queste strutture: non solo hanno quasi tutte sei punte e in qualche caso 12 (che è il doppio di 6), ma quelle senza punte hanno 6 lati, e perfino le loro forme di base si possono raggruppare in 6 tipi: dendriti, dischi, colonne, colonne sormontate da dischi, aghi e soprattutto stelle complesse. Esistono anche cristalli anomali come i ”piatti triangolari”: sembra che in Giappone siano meno rari che da noi. Comunque, tre è la metà di sei. Un agricoltore del Vermont (Usa), Wilson A. Bentley, ha trascorso 40 anni della sua vita studiando i cristalli di neve. Aveva cominciato a osservarli da ragazzo e aspettava sempre l’inverno con ansia, ma la loro fragilità lo lasciava con l’amaro in bocca. Alla fine, dopo molti tentativi, è riuscito ad abbinare la propria macchina fotografica a un microscopio, raccogliendo circa 5 mila immagini. Nel 1931, poco prima di morire, ha pubblicato un libro, ”Snow crystals”, con 2 mila immagini. In quegli stessi anni anche un giapponese, Ukichiro Nakaya, si è interessato ai cristalli, fotografandoli e accompagnandoli con una serie di commenti tuttora utili per i fisici. Un vero classico nel settore è ancora il suo libro del 1954, ”Snow crystal: natural and artificial”. Un altro ricercatore americano, William Wergin, che lavora al Laboratorio di Microscopia elettronica del Dipartimento di Agricoltura, nel Maryland (Usa), è riuscito a mantenere i suoi esemplari per diversi mesi in un ”campo freddo”, ossia a ”185°, immergendoli in azoto liquido, per studiarne le forme con il microscopio elettronico. Alla fine degli anni Novanta ha scritto, insieme con alcuni colleghi, una serie di libri pubblicando molte fotografie di cristalli davvero suggestive. Ma non è certo la semplice ricerca della bellezza a condurre la scienza in questa ricerca: studiare i cristalli di neve serve per misurare l’effetto dell’inquinamento sull’atmosfera e per controllare le mutazioni climatiche, come fa da tempo il Cnr nelle isole Svalbard. Studiando il tipo di neve è possibile anche prevedere le valanghe, e farsi un’idea di quanta acqua assorbiranno le coltivazioni. Una curiosità legata alle precipitazioni nevose: un’antica leggenda narra che sul colle Esquilino di Roma, il 5 agosto del 355, sia nevicato per indicare il luogo dove la Madonna desiderava una chiesa. Il piccolo edificio divenne Santa Maria Maggiore: in una delle cappelle si vede un bassorilievo che rappresenta la prodigiosa nevicata. Miracoli a parte, è pensabile che nei giorni del più feroce solleone possa nevicare? Ebbene, secondo alcuni esperti di fenomeni atmosferici come Vincent Schaeffer, John Day e Bernard Vonnegut, un evento simile è improbabile, ma non assurdo. Infatti, è facile comprendere che, se la pioggia attraversa strati atmosferici dove la temperatura è sotto lo zero, la neve potrebbe formarsi perfino d’agosto, ma se non trova aria fredda anche in basso, tutto si risolverà in un banale acquazzone.