MACCHINA DEL TEMPO MARZO 2005, 11 novembre 2005
Ecco tutto quello che si è capito sull’immane catastrofe che lo scorso 26 dicembre ha colpito il Sud-est asiatico
Ecco tutto quello che si è capito sull’immane catastrofe che lo scorso 26 dicembre ha colpito il Sud-est asiatico. La situazione - in termini geologici e biologici - si presenta a questo punto così. L’ORIGINE DELL’ONDA Quando si spostano, le placche in cui è divisa la crosta terrestre accumulano tensioni lungo le faglie (fratture), che prima o poi scatenano terremoti violenti. Quando l’ipocentro si trova al largo delle coste, può nascere un maremoto. Per scatenare uno tsunami (in giapponese, ”onda di porto”) distruttivo, si devono verificare due condizioni: 1) la scossa deve avere un ipocentro di non più di 10 km, così da trasmettere efficacemente l’energia dal fondo del mare alla superficie; 2) la magnitudo deve superare il 7° grado della scala Richter. In questi casi il fondo del mare si solleva da 1 a 15 metri, generando tsunami che a livello della costa possono raggiungere anche i 30 metri. UNA TERRA SEGNATA Il recente terremoto ha causato nell’interno della Terra spostamenti di grandi masse di materia che hanno deviato di 5-6 cm l’asse terrestre sul piano che passa per Greenwich in direzione Est-Ovest (corrispondente a due millesimi di secondo d’arco, cioè l’angolo sotteso da una moneta da 1 euro a una distanza di 2.000 km). Non ci saranno conseguenze pratiche per l’uomo o per la vita del pianeta. Infatti ogni anno, per la normale pressione esercitata dall’atmosfera o dagli oceani, l’inclinazione dell’asse viene modificata anche di 10 metri per poi, tendenzialmente, riprendere il suo punto iniziale. anzi probabile che futuri terremoti compenseranno lo scarto appena prodotto. «Dopo la scossa, la velocità di rotazione della Terra potrebbe essersi rallentata di meno di tre microsecondi (tre milionesimi di secondo), causando un infinitesimale accorciamento delle giornate. un processo già in atto e si parla comunque di millesimi di secondo per secolo. La novità, semmai, è la rapidità dello spostamento. Gli studiosi stanno cercando di capire se si sono mossi il centro di massa della Terra e se ci sono state variazioni del campo di gravità terrestre». (Richard Gross, esperto della Nasa). SPOSTATE ISOLE E MONTAGNE Secondo l’Us Geological Survey, l’organismo americano che sovrintende le ricerche geologiche, l’isola di Sumatra si sarebbe spostata di 30 metri verso Sud-Ovest, una misura ragionevole per un sisma che ha coinvolto un arco di mille chilometri. Secondo Enzo Boschi, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, anche l’Himalaya potrebbe essersi alzato di qualche metro. SPARITA UNA GENERAZIONE Secondo il direttore dell’Unicef, Carol Bellamy, almeno un terzo delle vittime sono bambini, sorpresi sulle spiagge o incapaci di difendersi dalla forza dei flutti. Soprattutto in Indonesia si teme che sia di fatto scomparsa un’intera generazione, mentre i superstiti hanno spesso perso, oltre ai maestri e alle loro scuole, tutti e due i genitori. Secondo la Bellamy è importante che i bambini restino nei loro Paesi di origine, dove è diffusa la famiglia allargata e gli orfani possono spesso contare, oltre che sull’accoglienza delle comunità locali, sull’aiuto di zii, cugini o altri parenti. a questi che va soprattutto indirizzato il sostegno economico. Le adozioni restano l’extrema ratio. LA STRAGE DEGLI ANIMALI Tutta la fauna terrestre che abitava in prossimità delle spiagge o immediatamente a ridosso (vivendo spesso degli avanzi dei ristoranti) è stata falciata dal mare. Lo tsunami ha provocato distruzioni anche tra il bestiame dell’interno che per milioni di contadini era la principale fonte di sussistenza. Nelle lontane isole Nicobare, raggiunte dai soccorsi a qualche giorno dalla tragedia, molti feriti sono stati uccisi dai coccodrilli marini che, insieme ai cani, hanno fatto anche scempio dei cadaveri abbandonati. A Banda Aceh, in Indonesia, i topi sfrattati dall’allagamento delle fogne hanno invaso la città in caccia di cibo. I sopravvissuti hanno organizzato turni di guardia per scongiurare le aggressioni notturne. 5 specie di tartarughe marine che nidificano sulle spiagge dell’Oceano Indiano rischiano l’estinzione. Le loro uova sono infatti state distrutte dallo tsunami. Grazie agli elefanti indiani, piccoli e robusti, i soccorritori hanno potuto raggiungere i punti inaccessibili a scavatrici e bulldozer e recuperare corpi, spostare macerie e alberi divelti. ANIMALI CHE SI SONO SALVATI Nel parco nazionale di Yala, la più grande riserva faunistica dello Sri Lanka invasa per tre chilometri dalle onde, sono stati trovati solo due bufali morti. Pare che gli altri animali, avvertiti da un sesto senso che resta ancora non spiegato (scientificamente non è ancora stato provato), si siano rifugiati nelle aree elevate dell’interno, sottraendosi alla furia delle acque. LA DISTRUZIONE DEI CORALLI Grazie alla particolare trasparenza delle acque, alle Maldive e intorno alle isole Andamane e Nicobare si trovavano bellissime barriere coralline. Oggi il 20 per cento del reef (ma qualcuno parla del 70 per cento) è stato danneggiato, specie in prossimità delle coste, dove la violenza delle onde aumenta. L’effetto distruttivo si è moltiplicato con il passaggio ripetuto delle onde: i sedimenti sollevati o affogano i coralli su cui si depositano o, se rimangono in sospensione, riducono la trasparenza delle acque provocandone lo sbiancamento. Ma c’è di peggio: lo tsunami, spazzando via intere zone abitate, strutture turistiche, magazzini, serbatoi, oleodotti, sistemi fognari e luoghi di smaltimento sommersi dall’acqua, ha disperso nell’ambiente (marino e non) prodotti chimici tossici, oli, benzina, vernici e antiparassitari per l’agricoltura, che rallenteranno per anni la riproduzione di molte creature e organismi, coralli compresi. Coralli che, già sofferenti per il riscaldamento crescente dei mari (non sopportano le temperature superiori ai trenta gradi), ricrescono molto lentamente, non più di 5-7 cm all’anno in acque non inquinate. Con loro soffre anche la fauna ittica ospite: duemila specie di pesci (come il pesce pappagallo e il barracuda), 400 tipi di madrepore e migliaia di molluschi e crostacei, come l’aragosta tropicale, che potrebbero ritrovarsi senza casa e senza cibo. Si teme quindi una migrazione di massa che potrebbe impoverire i bacini di pesca locali, gettando un’ombra sul futuro di migliaia di pescatori. LA SITUAZIONE DELLE PIANTE Le zone costiere e le isole investite dallo tsunami hanno subìto un forte dilavamento e un decorticamento della parte superficiale del terreno (quella più fertile). Coste e regioni coltivate, dove l’acqua, spesso inquinata, è penetrata anche per diversi chilometri, potrebbero restare aride e inospitali per uomini e animali molto a lungo. La speranza è che le piogge, molto abbondanti da queste parti, svolgano in tempi brevi un ruolo disintossicante come in Olanda. Danni minori hanno invece subìto palme e mangrovie, abituate al sale e alle intemperanze di vento e mare (in molti si sono salvati aggrappandosi agli alberi). Ovunque si parla però di spiagge trasformate in pantani, di foreste devastate e atolli distrutti. I 20 atolli delle Maldive potrebbero lentamente riformarsi grazie a un gioco di correnti e maree (la sabbia è rimasta all’interno dei rispettivi reef). Per un ritorno alla normalità si parla comunque di una ventina d’anni. PREVISIONI: COSA SI PU FARE impossibile prevedere con precisione terremoti e maremoti, frutto di processi che durano milioni di anni. L’unica cosa certa è che la Terra (e il mare) tremeranno ancora dove lo hanno già fatto. Le Hawaii sono la località più a rischio di tsunami (ne arriva in media uno ogni due anni). Altre regioni tradizionalmente a rischio sono il Giappone, il Cile e, soprattutto, la California dove, in attesa del temutissimo Big One, anche il mare viene monitorato ogni 3-4 minuti. Anche la costa atlantica americana sarebbe a rischio. Secondo lo studioso britannico Bill McGuire, il vulcano attivo dell’isola di La Palma (Canarie), La caldera del Taburiente, (una lastra di pietra di 1.000 kmq), potrebbe sprofondare nell’oceano provocando onde enormi in grado di arrivare in Africa dopo tre ore, in Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra dopo cinque e a New York, Boston e Miami dopo dodici ore. Segni di risveglio sta dando anche il supervulcano nascosto sotto il parco di Yellowstone, negli Stati Uniti, la cui eruzione causerebbe un disastro di vastissime proporzioni nel Paese con gravi ripercussioni in tutto il mondo. Simulazioni dell’esplosione nel documentario Supervulcano, recentemente in onda su Rete 4 (La Macchina del tempo) e prossimamente replicato su MT Channel. Anche l’Italia meridionale è a rischio tsunami, trovandosi al confine di un’area sismica instabile tra la placca africana e quella euro-asiatica. In questa zona i maremoti possono avere tre cause: una grande eruzione esplosiva, un terremoto al largo delle coste o un crollo di vaste strutture geologiche lungo le pendici di vulcani emersi o sommersi. Eventuali frane dello Stromboli (l’ultima è del 2002) potrebbero provocare nel peggiore dei casi onde di 50 metri sull’isola, raggiungendo con onde meno alte le Eolie (2-6 metri) e la costa italiana (2-8 metri). Altri pericoli potrebbero arrivare dai vulcani sottomarini Vavilov e Magnaghi (a nord di Ustica) e Marsili (a Nord delle Eolie), monitorati costantemente. UN ANNO DA DIMENTICARE Dal 1994 al 2004 le persone coinvolte in disastri naturali (escluso il recente maremoto) sono raddoppiate rispetto a quelle degli anni ’70. Il 2004, poi, è stato un anno particolarmente nero: sono stati registrati oltre 300 eventi catastrofici, naturali o provocati dall’uomo. Escluso il recente maremoto, le vittime sono state 21 mila (più del 50 per cento in Asia e Africa). Intanto lievitano anche i costi di questi disastri e le richieste di risarcimento. LE RESPONSABILIT UMANE «I disastri sono più gravi che in passato, non perché siano più frequenti, ma perché è cresciuta l’urbanizzazione e le zone coinvolte sono adesso sempre più popolate». (Martin Rees, docente di astrofisica al Trinity College di Cambridge). Ma anche in caso di maremoti, l’uomo ha le sue responsabilità: dalla mancanza di sistemi di allarme alla distruzione delle foreste di mangrovie capaci di frenare gli tsunami, dall’inquinamento che ha indebolito le barriere coralline all’erosione delle spiagge facilitata dal dissesto idro-geologico.