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 2005  novembre 11 Venerdì calendario

Sono trascorsi cento anni dalla prima formulazione della teoria della relatività ristretta e novanta da quella della relatività generale

Sono trascorsi cento anni dalla prima formulazione della teoria della relatività ristretta e novanta da quella della relatività generale. La prima è stata ampiamente verificata, mentre la seconda entra soltanto ora nel campo della sperimentazione, con risultati positivi. Considerando però il progresso accelerato della scienza, è istintivo chiedersi se Einstein non avesse commesso qualche errore, in seguito corretto. «La questione è abbastanza paradossale», afferma Amir D. Aczel. «Per molti anni si è pensato che Einstein avesse infatti commesso un errore, e molto grosso, nel tentativo di ”autocorreggersi”. Proprio così: i risultati a cui era pervenuto erano - anche per lui - così assurdi, che pensò di aver sbagliato qualcosa». E prosegue: «Tutti siamo abituati a credere che la famosa E=mc2 sia la più importante formula di Einstein. Non è così. La gemma è la sua equazione del campo gravitazionale, il culmine della teoria della relatività. Questa formula è talmente potente, che la prescienza del suo autore lascia sbigottiti». La questione è molto complessa ma, generalizzando al massimo grado, possiamo dire che, attraverso il primo abbozzo di questa equazione, Einstein giungeva a una considerazione che lo lasciava sbigottito: l’universo, per non crollare su sé stesso, doveva espandersi all’infinito. «Per comprendere quanto questa cosa potesse sembrargli assurda, dobbiamo tener conto che, ai suoi tempi, l’unica galassia visibile dagli astronomi era la Via Lattea. E questa, per la scienza d’allora, era tutto l’universo che si pensava esistesse. Ora, nella Via Lattea le stelle non sono molto veloci. Così Einstein fece ciò che gli sembrava più giusto: ignorò ciò che gli diceva la sua teoria e cercò di cambiarla, per adattarla a quanto vedeva. Cioè un universo statico che, per qualche oscura ragione, non ricadeva verso il centro, trascinato dalla gravità». La correzione fu introdurre una costante cosmologica, elegantemente calibrata. Questa costante è qualcosa che rende l’universo finito e infinito al tempo stesso: finito nella sua composizione, infinito nella sua espansione. Gli scienziati successivi, nel tentativo di ”correggere la correzione”, erano giunti - soprattutto dopo la scoperta del Big Bang, l’evento da cui è scaturito l’universo - a due diversi, possibili e molto plausibili scenari del cosmo. Primo: l’universo potrebbe essere chiuso. Dopo il Big Bang iniziale, le stelle smetteranno un giorno di allontanarsi le une dalle altre e si fermeranno. In seguito, tutto comincerebbe a ricadere su sé stesso, a causa della gravità. Secondo: l’universo potrebbe rallentare l’espansione, fino a diventare stazionario. La diatriba tra le due possibilità si è protratta per anni, fino a scoprire che Einstein ”aveva sbagliato giustamente”. Perché c’era, infatti, una terza possibilità dimostrata da Saul Perlmutter e dal suo gruppo del Lawrence Berkeley National Laboratory nel gennaio 1998, studiando e misurando le immagini elettroniche di stelle esplose a miliardi di anni luce da noi: l’universo non sta decelerando, ma sta bensì correndo sempre più velocemente verso l’infinito! «C’è di più», prosegue Aczel. «Gli astronomi Neta Bahcall e Xiaohui Fan della Princeton University dimostrarono - dati alla mano - che non solo l’universo s’espanderà per sempre, ma che nel cosmo c’è troppo poca materia affinché s’inneschi una decelerazione e un futuro collasso. Questo significa che qualcosa di misterioso agisce ancora come forza motrice dopo il Big Bang: non soltanto il cosmo non possiede materia sufficiente per rallentare, ma addirittura un’energia misteriosa lo spinge verso l’infinito sempre più in fretta. Per tentare di calcolarne gli effetti, fu riesumato il grande errore di Einstein: la costante cosmologica».