Corriere della Sera 02/11/2005, pag.41 Loreto Di Nucci, 2 novembre 2005
La Rinascente, e l’Italia si scoprì nazione. Corriere della Sera 02/11/2005. Il primo grande magazzino italiano fu Alle città d’Italia, aperto a Milano, nel 1877, da Luigi e Ferdinando Bocconi
La Rinascente, e l’Italia si scoprì nazione. Corriere della Sera 02/11/2005. Il primo grande magazzino italiano fu Alle città d’Italia, aperto a Milano, nel 1877, da Luigi e Ferdinando Bocconi. Il successo fu travolgente. All’alba del nuovo secolo, infatti, con nove filiali, un catalogo di vendita per corrispondenza che raggiungeva la tiratura di 30 mila copie e più di tremila dipendenti, Alle città d’Italia sembrava destinato a nuovi e più grandi trionfi. Ma il fallimento era in agguato, e puntualmente arrivò nel 1917. A rilevare l’azienda fu Senatore Borletti, giovane industriale milanese, che incaricò Gabriele d’Annunzio di trovare un nome per la nuova società. Il poeta-soldato scelse La Rinascente, nome «semplice, chiaro e opportuno», scriveva, che ben si collegava al motto «Italia nova impressa in ogni foggia». In realtà, benché venissero rilanciati nel segno della più «fiera italianità», i grandi magazzini, come nota Elena Papadia in questo libro che si legge tutto d’un fiato, erano un prodotto di importazione. Ad inventarli era stato, nel 1852, Aristide Boucicaut, che aveva sperimentato, nel suo parigino Bon Marché, molte rivoluzionarie innovazioni. Fra queste, ad esempio, il fatto che la merce venisse esposta al pubblico e fosse accessibile a tutti. Nati in Francia, conobbero una diffusione massiccia negli Stati Uniti, anche per merito di Woolworth, padre dei magazzini popolari a prezzo unico, che nel 1879 aprì il Five and Ten Cent Store. Elaborando un proprio modello di grande magazzino, La Rinascente puntò sul binomio buona qualità-giusto prezzo e si assegnò la missione della «democratizzazione del lusso»; una missione difficile poiché si trattava di combattere una guerra commerciale su due fronti. Da un lato, bisognava convincere i membri della classe agiata che i prezzi più bassi non significavano di per sé prodotti scadenti; dall’altro, era necessario attuare una politica inclusiva nei confronti di tutte le altre classi basata su una «gradualizzazione dei prezzi». Tuttavia, se è vero che quella di Senatore Borletti era stata un’idea geniale, è altrettanto vero che si rivelava, nella realtà, una scommessa sul futuro. Nel periodo fra le due guerre, infatti, non era per nulla semplice democratizzare i consumi, anche perché non erano molti a potersi permettere, ad esempio, i mobili della linea «Domus Nova», disegnati da Giò Ponti, di cui La Rinascente aveva l’esclusiva. Non rinunciando comunque a rivolgersi ad una fascia più ampia di consumatori, nel 1928 era stata costituita l’Upi, poi Upim, «Unico Prezzo Italiano Milano», dal funzionamento autonomo, ma completamente controllata dalla Rinascente. La formula apparve azzeccata, e naturalmente fu imitata. Nel 1931 nasceva infatti Standard, il cui nome sarebbe stato trasformato in Standa nel 1938. Upim e Standa non incontrarono, oltretutto, l’ostilità del fascismo. Per due ragioni di fondo. Innanzitutto per la loro funzione calmieratrice dei prezzi. E, in secondo luogo, perché contribuivano a «fare la nazione», uniformando da un capo all’altro della penisola abitudini, luoghi e oggetti di consumo che avevano avuto fino a quel momento un prevalente carattere locale. Non senza significato è d’altra parte il fatto che Mussolini chiese ed ottenne, nel 1929, l’apertura di una filiale della Rinascente a Bolzano. Dopo la seconda guerra mondiale, il successo della Rinascente fu impetuoso, anche perché divenne una meta privilegiata della corsa verso i consumi. Interprete e insieme guida di una grande trasformazione commerciale, La Rinascente partecipò alla «rivoluzione della taglia», che permise la diffusione degli abiti pronti e rappresentò un deciso passo avanti sulla strada del «livellamento delle apparenze». Si pervenne così, poco alla volta, ad un «comune grado di eleganza», che accomunò non soltanto regioni ed età diverse, ma anche la città e la campagna, Roma e la provincia, le domestiche e le studentesse. Seguendo la traiettoria di una simile parabola, i meriti storici della Rinascente appaiono dunque indiscutibili. Essa ha contribuito, per la sua parte, alla nazionalizzazione degli italiani e alla loro democratizzazione. E, oltre a ciò, è stata un vettore di modernità, sia nel senso di immettere sul mercato oggetti moderni, come il deodorante e il frigorifero, sia nell’essere un centro di cultura moderna. Strettissimo è stato infatti il rapporto che ha intrattenuto, fin da subito, con taluni geniali creativi, come Giò Ponti, Bruno Munari, Giorgio Armani. Infine, pur non rinunciando affatto a penetrare nel mondo della clientela maschile, La Rinascente è stata a tutti gli effetti un luogo pubblico femminile. stata una sorta di «paradiso senza Adamo», che ha reso legittima e socialmente accettata la presenza delle donne in pubblico. In virtù di ciò, ha in qualche modo favorito la lotta delle donne per la parità. Loreto Di Nucci