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 2005  novembre 04 Venerdì calendario

«La staffetta inventata per aiutare Valcareggi». Corriere della Sera 10/11/2005. Walter Mandelli, 84 anni, torinese, appassionato di golf, già vice presidente di Confindustria e presidente di Federmeccanica, nell’occasione del Mondiale messicano 1970 aveva l’incarico di responsabile delle squadre nazionali verso il Consiglio federale

«La staffetta inventata per aiutare Valcareggi». Corriere della Sera 10/11/2005. Walter Mandelli, 84 anni, torinese, appassionato di golf, già vice presidente di Confindustria e presidente di Federmeccanica, nell’occasione del Mondiale messicano 1970 aveva l’incarico di responsabile delle squadre nazionali verso il Consiglio federale. Il capo supremo del carrozzone era Artemio Franchi. In Messico il c.t. degli azzurri era Ferruccio Valcareggi, che se n’è andato due giorni fa (oggi a Firenze si svolgeranno i funerali), ricordato per i meriti che gli vanno storicamente riconosciuti e però legato a un paio di vicende mai del tutto spiegate fino in fondo: il perché della staffetta Mazzola-Rivera e il perché di quei 6 ultimi minuti che il capitano del Milan fu costretto a giocare nella finale ormai straperduta contro il Brasile. Mandelli, quando ha saputo della morte di Valcareggi che cosa ha provato? «La vita è fatta di buone notizie e di cattive notizie. Quella della scomparsa di Valcareggi non è stata una buona notizia. E lo dico anche se, dopo Messico ’70 cui seguì fra l’altro il mio ritiro dalle funzioni sportive che mi erano state affidate, io non ho più visto né sentito Valcareggi. Ma la vita è fatta così». Parliamo della staffetta Mazzola-Rivera. Fu o non fu un compromesso tecnico e soprattutto politico, in senso sportivo, concepito per amministrare senza danni polemici irreparabili le contrapposizioni accese tra le potenti correnti giornalistiche di quei tempi guidate da Brera e Zanetti (mazzoliani) e Ghirelli e Palumbo (riveriani)? «Al di là dei compiti dell’allenatore, cioè di Valcareggi, in Messico bisognava che qualcuno assumesse la responsabilità assoluta di certi destini della spedizione. E Franchi aveva scelto me. Serviva una specie di dittatore la cui parola finale contasse più di tutte le altre. Era necessario uno che, alla fine di tutti i conti, parlasse per decidere. Per decidere naturalmente nel rispetto degli orientamenti federali. E dunque con Franchi si discusse quella ipotesi della staffetta...». Sì, ma poi come si arrivò a quella soluzione? «Io avevo il compito di trasferire a Valcareggi il senso degli orientamenti federali, e io quindi parlai con lui di una ’’soluzione permanente’’ per quel Mondiale, come ad esempio la staffetta. La mia funzione si svolgeva nel sostenere Valcareggi nella sua funzione e se le autorevoli battaglie giornalistiche rischiavano di trasferirsi e di incidere sulle vicende tecniche e psicologiche della nazionale, a Valcareggi bisognava coprire le spalle». Quando fu suggerita a Valcareggi l’idea della staffetta, lui come reagì? Avanzò qualche obiezione? «Non era contrario. Aveva capito che era utile anche a lui per proteggersi da quelle che potevano chiamarsi le ondate giornalistiche. Noi dovevamo tranquillizzare un allenatore che ha condiviso il nostro punto di vista: se lo coprivamo era anche interesse suo». Restano però in un chiaroscuro che tale è rimasto dal termine della finale Italia-Brasile: quei 6 famosi e incendiari ultimi minuti di Rivera. Fu lei a prescriverli? E perché mandare allo sbaraglio il capitano del Milan, tra l’altro al posto di un centravanti, Boninsegna, quando ormai la partita incoronava il Brasile? «Io non ordinai nulla di quel genere, stavo seduto in tribuna all’Azteca, un po’ lontano, direi, dalla nostra panchina. Quella mossa fu di Valcareggi, una mossa priva di senso che io non ho mai capito. Una mossa che io dalla tribuna giudicai sbagliata, ma dalla tribuna non potevo intervenire. Dico chiaro e tondo che io, in quel momento e in quella situazione di partita, non avrei mandato in campo Rivera». Ma perché Valcareggi prese quel provvedimento che era tecnicamente assurdo e anche impopolare? «Lo ripeto: io non l’ho mai capito davvero». Carlo Grandini