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 2005  novembre 05 Sabato calendario

Il Senato e l’alternativa del diavolo. La Repubblica 05/11/2005. Da sempre, in questa Repubblica, il «come si elegge il Senato» è stato il ponte dell´asino di ogni sistemazione elettorale

Il Senato e l’alternativa del diavolo. La Repubblica 05/11/2005. Da sempre, in questa Repubblica, il «come si elegge il Senato» è stato il ponte dell´asino di ogni sistemazione elettorale. Il tormentone cominciò addirittura in Assemblea Costituente. Quando, non riuscendosi a mettere d´accordo sulla qualità della rappresentanza senatoriale (economica, politica, sociale?) i Padri fondatori furono però unanimi nello stabilire la sua delimitazione territoriale: la «base regionale». Ed accompagnarono questa disposizione con un ordine del giorno Nitti che diceva «L´Assemblea Costituente afferma che il Senato sarà eletto col sistema del collegio uninominale». Era il 7 ottobre del 1947. Il legislatore elettorale di allora, tutto preso dal dogma proporzionalista, interpretò però quella prescrizione di collegio uninominale in modo eccessivamente restrittivo. Sicché quando tanti anni dopo, il 18 aprile 1993, si volle cambiare con un referendum il sistema elettorale, fu proprio quello - il modo di elezione dei senatori - che fu scelto per far crollare anche tutto il resto. Rimase, però, ovviamente, intatto il vincolo della base regionale (e anche la indicazione per il collegio uninominale). Ma perché, a differenza di quanto fecero per i deputati, i Costituenti si preoccuparono di stabilire una precisa dimensione istituzionale per la elezione dei senatori? Perché stavano creando uno «Stato regionale», con regioni dotate anche di potere legislativo. E vedevano nel Senato il luogo del raccordo necessario con quella autonomia territoriale. Nuove e potenti le regioni: ma pur sempre «costituite» nell´ambito della Repubblica «una e indivisibile». SEGUE A PAGINA 17 Quelle tre parolette – «su base regionale» – non significavano perciò solo la costituzionalizzazione di un segmento di legge elettorale. Venivano ad essere, piuttosto, un elemento fondamentale della forma di Stato che si stava costruendo: il cordone ombelicale tra il Parlamento nazionale e le venti regioni d´Italia. Erano, cioè, un pezzo vero di Costituzione, non un richiamo di modalità elettorale. Da allora, sarebbe stato sempre, anche tecnicamente, difficile fare i conti con esse. Ma non potevano essere ignorate. La stessa ragione della funzione costituzionale del Senato «dipendeva» da quella norma. «Base regionale – disse alla Costituente Costantino Mortati – significa collegamento stabile e istituzionale tra l´ordinamento regionale e il Senato». La prova si ebbe nel 1953. Quando i partiti del «centro democratico» approvarono una legge che avrebbe dovuto «irrobustire» (con l´aggiunta di un certo numero di seggi parlamentari: il «premio») la maggioranza assoluta dei voti (da conseguire, però, «sul campo»...). Ebbene, quella che, ingiustamente, fu chiamata «legge truffa» riguardava solo la Camera e si guardava bene dal toccare il Senato. Perché? Perché si capì che per il Senato il «premio» non poteva calcolarsi su base nazionale: dato che avrebbe violato la norma costituzionale. Ma non poteva neppure assegnarsi su base regionale, perché avrebbe alterato artificiosamente il punto di riferimento naturale – il risultato elettorale regionale – della norma costituzionale. Nel primo caso, la Costituzione si sarebbe violata perché saltava la «base regionale». Nel secondo caso, perché la «base regionale» veniva adulterata con un «premio» che con la regione non aveva nulla a che fare (perché concepito per la governabilità nazionale e non per quella regionale...). Era una classica «alternativa del diavolo». E in quella stagione politica, del diavolo si aveva una santa paura. Si lasciò perciò in pace il Senato, stabilendo così anche un precedente costituzionale rilevante. Ma, ai giorni nostri, il governo che ci governa, non è affatto timorato dal diavolo: anzi. E quindi si avventura nell´impresa che si rivelò impossibile perfino nei tempi di «guerra civile fredda»: maggiorare anche l´elezione del Senato. Stoppato un primo tentativo – calcolare il «premio» su base nazionale – persiste, sembra, un secondo e, se possibile, ancora peggiore tentativo: parcellizzare quel «premio», nazionale, regione per regione. Da quando l´«idea» è venuta fuori, non c´è stato alcun esperto di sistemi elettorali che, con i suoi calcoli, l´abbia ritenuta logicamente sana e politicamente praticabile. Primo, perché l´asimmetria elettorale delle nostre regioni non si risolve ma si esaspera sommando i differenti «premi» in un esercizio da «piccolo chimico», per un risultato a casaccio. Secondo, perché la disparità tra le regioni a seconda che scatti o no il «premio» (con ulteriori complicazioni per il Trentino-Alto Adige, la Valle d´Aosta, il Molise, la «circoscrizione estero») provoca la scomparsa di ogni traccia del principio di eguaglianza tra le regioni e tra gli elettori delle diverse regioni. Terzo, perché la casualità e la incoerenza dei venti risultati regionali apre la prospettiva democraticamente micidiale di una maggioranza di seggi al Senato attribuita alla coalizione che ha ottenuto meno voti. E questo – si badi bene – non per variazioni naturalmente derivanti dai comportamenti elettorali e dai meccanismi interni a ciascuna regione, ma per effetto di artificiose manipolazioni del voto regionale imposte dall´esterno, ope legis. Calcoli di disastri annunciati, dunque, che Gustavo Zagrebelsky ha qui riassunto con un´alta denuncia dell´«irrazionalità» di questo progetto elettorale: «irrazionalità» come indice certo della sua illegittimità costituzionale. Ma attenzione alla sequenza. Non è l´irrazionalità degli effetti della legge che determina la violazione della Costituzione. la violazione della norma costituzionale sulla «base regionale» che determina gli effetti insensati della legge. Il progetto non è incostituzionale perché è innanzitutto irragionevole. Ma è irragionevole perché viola innanzitutto la norma costituzionale. La lesione costituzionale è insomma all´inizio e alla fine delle argomentazioni sulla irrazionalità del progetto. Ogni parola della Costituzione ha la sua storia. Ricostruirla è necessario per capirla veramente nella sua integrità e per capire quando questa integrità è ferita. Quella storia ci dice che così come il Senato è stato concepito – e così come continua a configurarsi anche nei progetti del suo avvenire (visti da destra, visti da sinistra) – esso è una istituzione che rifiuta manipolazioni e meticciati nella sua radice elettorale territoriale. Non è un organismo geneticamente modificabile con elementi estranei alla sua natura. Saggia cosa perciò sarebbe lasciarlo così com´è (come si capì nel 1953). Con i collegi uninominali (di cui parlava la direttiva del costituente Nitti nel 1947). E anche con un certo logico depotenziamento di indirizzo politico (connesso alle sue funzioni di rappresentatività regionale e quindi di camera di composizione e di compensazione degli interessi fra centro e periferie). Lasciarlo così, almeno sino a che non ci sarà una «vera» riforma costituzionale del nostro Parlamento.  possibile emendare in tal modo il progetto? Concentrando dunque sulla Camera dei Deputati tutte le esigenze di governabilità di un sistema indebolito per il ritorno al proporzionale? Si può. Una simile modifica non favorirebbe nessuna delle coalizioni in campo e non ostacolerebbe soprattutto le finalità del progetto. Finalità che sono, certo, riprovevoli dal punto di vista del comune fair play elettorale degli europei. Rovesciare in un finale di partita le regole del gioco per tentare di scippare o mutilare la prevista vittoria dell´avversario è roba da saloon, non abituale nella normale prassi civile delle democrazie ben temperate. Comunque, se questa è l´etica politica della attuale maggioranza, nel suo «catalogo» ci può stare anche una legge-scippo. Ma che almeno non sia una legge contro la Costituzione. Andrea Manzella