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 2005  novembre 10 Giovedì calendario

Conoscere le opinioni di molti attraverso le risposte di pochi. Basterebbe questa semplice affermazione per spiegare in modo esauriente cos’è un sondaggio, per quali finalità è elaborato e com’è realizzato

Conoscere le opinioni di molti attraverso le risposte di pochi. Basterebbe questa semplice affermazione per spiegare in modo esauriente cos’è un sondaggio, per quali finalità è elaborato e com’è realizzato. Ma per comprendere a fondo un fenomeno così vasto non ci si può fermare alla copertina di un libro (I sondaggi, Renato Mannheimer e Mauro Barisione, il Mulino, p. 128, 7,23 euro): piuttosto occorre chiarire le varie fasi che caratterizzano una ricerca sull’opinione, partendo dai soggetti che finanziano un sondaggio, per giungere a quelli che ne usano le conclusioni e scoprire così tutto ciò che si trova in mezzo a questi due estremi. Tra coloro che hanno interesse a sondare gli orientamenti dell’opinione pubblica ci sono innanzi tutto le aziende: il 90-95 per cento delle indagini è infatti commissionato dalle imprese, di qualsiasi settore, che s’affidano alle indagini di mercato per armonizzare i propri investimenti con i desideri dei consumatori. A elencare le aziende più alacri in questa attività è Nicola Piepoli, un’autorità nel campo dei sondaggi, presidente dell’omonimo istituto di ricerca e consulenze di marketing, nonché fondatore dell’Istituto Cirm, nel 1965: «In cima alla lista c’è la Procter & Gamble, seguita da Telecom Italia, Rai, Barilla e Colgate Palmolive». In cifre: «La P & G spende circa 12-10 milioni di euro l’anno, poco meno Telecom e Viale Mazzini». Il mercato fa gola pure ai mass media, particolarmente attenti all’andamento delle opinioni sui temi d’attualità: presentare una ricerca dai risultati imprevisti rappresenta da sola un valido spunto per un articolo o per un servizio. anche doveroso parlare delle istituzioni e degli enti amministrativi: molto attiva è la presidenza del Consiglio, sempre attenta a sondare l’umore dei cittadini, per sapere quali problemi sono considerati più urgenti o per conoscere il giudizio degli intervistati sull’operato del governo o del premier. Contrariamente a quanto si possa credere, i partiti politici si confrontano di rado con l’opinione pubblica: l’interesse per quest’ultima cresce quasi esclusivamente durante il periodo pre-elettorale, quando anche i singoli candidati s’affidano ai sondaggi per indirizzare al meglio gli argomenti della campagna elettorale. In ogni caso, spendono nettamente meno rispetto alle imprese. Una volta ingaggiato, un istituto di ricerca ha di fronte a sé diversi problemi. Per comprenderli, bisogna innanzi tutto sapere che un sondaggio è un metodo per raccogliere informazioni di vario tipo su una popolazione attraverso alcune domande poste a un gruppo di persone (definito ”campione”), scelto in rappresentanza della popolazione stessa. Il problema principale per gli studiosi del settore, quindi, diventa proprio il criterio di scelta del campione. A riguardo, il direttore dell’Istituto per gli studi sulla pubblica opinione di Milano (Ispo) e professore di Metodologia delle scienze politiche all’Università di Genova, Renato Mannheimer, spiega nel suo libro che i ricercatori si possono affidare al principio della ”casualità assoluta”, oppure possono «scegliere deliberatamente (e quindi non in modo completamente casuale) da una popolazione un certo numero di soggetti in base alle loro caratteristiche, in modo che l’insieme delle caratteristiche sia equivalente nella popolazione e nel campione». Nel primo caso si segue «un criterio guida ben noto alle scienze statistiche, quello della casualità. In virtù della teoria statistica della probabilità, infatti, si sa che l’estrazione casuale è il metodo che garantisce meglio di tutti che il gruppo di persone così ottenuto sia rappresentativo della popolazione da cui è estratto e che ne rifletta quindi più fedelmente le caratteristiche». In altre parole, per realizzare un campione casuale la teoria vuole che si proceda «a un’estrazione in cui ogni membro di una popolazione abbia la stessa probabilità di tutti gli altri di essere selezionato». Nel secondo caso, invece, «la selezione delle persone da intervistare non è affidata al caso, ma è guidata razionalmente e passo passo da chi effettua il sondaggio». In questo tipo di campionamento, detto ”per quote”, «è il ricercatore stesso che interviene nella scelta degli intervistati proprio per assicurarsi che il risultato finale sia quello di un ”modellino” fedele alla popolazione». Intervistato su questo problema, Mannheimer risponde che «il campione casuale è più valido dal punto di vista scientifico, ma realizzarlo richiede più tempo e più soldi. Generalmente si usa quello per quote». Sull’ampiezza, invece, «non esiste una regola generale», ma si parte da un numero compreso tra le 500 e le 1.000 persone. «Fino a questo numero, infatti, basta aggiungere poche centinaia di intervistati per diminuire sensibilmente il margine d’errore». Oltre all’affidabilità del campione, un altro requisito fondamentale è la costante ripetizione nel tempo. «Soltanto attraverso la ripetizione si producono regole nell’esplorazione dell’opinione e dei consumatori», afferma Nicola Piepoli. «Un bravo statista e politico dovrebbe affidarsi a questo servizio. In questo senso, uno dei più attenti fu l’ex presidente francese Charles De Gaulle. Realizzava sondaggi d’opinione due volte la settimana, in base ai quali era disposto a modificare le sue decisioni che non riguardavano l’interesse generale. Era talmente informato che conobbe in anticipo l’esito del referendum che segnò la fine della sua leadership, il 27 aprile 1969. Nonostante ciò, lo fece svolgere ugualmente». Ma già prima di De Gaulle i sondaggi avevano cominciato a diffondersi tra l’opinione pubblica: benché i primi tentativi fossero stati fatti in Inghilterra già nel Diciassettesimo secolo, il Paese che per primo ne comprese l’importanza furono gli Stati Uniti durante il New Deal, la politica di riforme sociali intraprese dal presidente americano F. D. Roosevelt, per sostenere l’economia statunitense dopo la Grande depressione del ’29. Nel suo libro, infatti, Mannheimer colloca la nascita simbolica del moderno sondaggio nell’ottobre del 1935, quando «Il Washington Post e altri 35 giornali pubblicano con grande enfasi i risultati di uno studio, presentato ai lettori come un ”sondaggio d’opinione”. Il tema del sondaggio è l’ammontare degli aiuti finanziari del governo agli abitanti delle aree depresse del Paese: ”Lei pensa che le spese del governo per l’assistenza siano troppo piccole, siano troppo grandi o vadano bene così?”. Secondo i risultati, per il 60 per cento degli americani il governo spende troppo; per il 9 spende troppo poco e per il 31 spende il giusto». A commentare i dati sull’argomento fu il giovane ricercatore George Gallup - la cui società è oggi sinonimo di sondaggio in campo internazionale (www.gallup.com) - a cui era stata affidata una nuova rubrica tematica, ”Parla l’America”. Per conoscere gli orientamenti dell’opinione pubblica, comunque, non esiste solo il sondaggio: un altro valido metodo è il ”focus group”, che consiste nel dibattito organizzato in un gruppo di 8-12 persone, possibilmente distanti da loro dal punto di vista ideologico e sociale. Piepoli spiega che «è un metodo che si può applicare a qualsiasi argomento. All’interno di questi gruppi, parlare della nuova Nutella o della campagna politica di un candidato per le regionali è la stessa cosa». Esistono inoltre i sondaggi televisivi o quelli su Internet, ma non sono validi scientificamente. Il campione dei utenti, infatti, è troppo selezionato per essere indicativo. La scienza della pubblica opinione dovrà attendere.