Libero 09/11/2005, pag.14 Nino Sunseri, 9 novembre 2005
La Cgil nemica dei lavoratori. Libero 09/11/2005. Una lezione ai compagni che sbagliano sempre. Soprattutto quelli della Cgil
La Cgil nemica dei lavoratori. Libero 09/11/2005. Una lezione ai compagni che sbagliano sempre. Soprattutto quelli della Cgil. Si può sintetizzare così il significato dell’ultimo lavoro di Pietro Ichino, docente di diritto del lavoro alla Statale di Milano . Già il titolo è provocatorio: «A che cosa serve il sindacato?». Professore cominciamo proprio dal titolo: a che cosa serve il sindacato? «Il sindacato può servire a cose diverse. Può servire a difendere i lavoratori regolari dalla concorrenza di quelli che cercano di entrare nel mondo del lavoro. Può servire a difendere con le unghie e coi denti strutture vecchie e improduttive. Ma può essere anche lo strumento indispensabile per la scommessa comune tra i lavoratori, gli investitori e il management sul futuro di un’azienda». Il libro si apre con il naufragio dell’Alfa di Arese. Perché tanto importante? «Perché nella vicenda di Arese appare l’inutilità, se non addirittura il danno, del vecchio modo del sindacato italiano di affrontare le crisi industriali. Dopo cinque anni di agonia, la questione occupazionale rimane pressoché interamente irrisolta. In questo caso, poi, il danno è reso ancora più evidente dalla coincidenza con la vicenda dell’insediamento europeo della Nissan che venne insediata a Sunderland in Gran Bretagna». La tesi fondamentale del suo libro è questa: gli stipendi in Italia sono bassi perché esiste, implicita, una sorta di assicurazione sulla stabilità del posto di lavoro a favore del dipendente. così? « così. I salari italiani sono molto bassi, soprattutto se confrontati con quelli inglesi, tedeschi, o svizzeri. Occorre però tener conto che se - come accade tipicamente in Italia - il rapporto di lavoro ha un alto contenuto assicurativo (non parlo dell’assicurazione pensionistica obbligatoria, ma di quella che il datore di lavoro si accolla: il rischio di dover mantenere il rapporto anche se in perdita), il lavoratore paga un alto premio assicurativo. La sicurezza costa: si paga con retribuzioni più basse». Può fare un esempio? «Il costo complessivo del lavoro dipendente di un operaio qualificato a Milano si aggira intorno ai 30 euro l’ora, compresi i contributi. Il costo dello stesso lavoro svolto in forma autonoma - per esempio l’idraulico - è sui 50 o 60 euro all’ora. La differenza è il "premio assicurativo" pagato dall’operaio subordinato: la sicurezza gli costa almeno 20 euro all’ora. Altrove il contenuto assicurativo del rapporto è più basso e le retribuzioni sono corrispondentemente più alte». Che cosa si deve fare per modernizzare il sistema della relazioni industriali nel nostro Paese? «La mia proposta è questa: che il contratto collettivo nazionale si applichi solo se non è stato pattuito qualche cosa di diverso al livello regionale o aziendale. Inoltre sarebbe necessario che a questo livello inferiore una coalizione sindacale maggioritaria potesse negoziare un modello di rapporto anche profondamente diverso da quello previsto dal contratto nazionale. Diverso non significa affatto peggiore, come l’esperienza della Nissan di Sunderland insegna. Questo oggi in Italia non si può fare. E questo è uno dei motivi dell’incapacità del Paese di intercettare gli investimenti nel mercato globale». Nel programma di Prodi c’è la modifica della legge Biagi: giusto o sbagliato? «La legge Biagi ha molti difetti tecnici. Correggerli è sicuramente opportuno. Ma la sinistra sbaglia di grosso se attribuisce alla legge Biagi la responsabilità della diffusione del lavoro precario in Italia. Il fenomeno è nato molto prima e non è stato affatto favorito da questa riforma». Lei è stato un attivista del Pci. Alcuni amici ricordano ancora quando andava la domenica a fare diffusione militante dell’Unità. Che cosa salva di quell’esperienza? «Negli anni ’60 e ’70 il Pci ha saputo accogliere nelle proprie file tutte le componenti della sinistra italiana. Anche quelle la cui collocazione naturale sarebbe stata in un partito socialista, e persino in un partito di stampo liberal. Lo stesso posso dire sul terreno sindacale della Cgil, nella quale ho lavorato per dieci anni, dal 1969 al 1979. Poi sono stato mandato in Parlamento come esperto di problemi sindacali e del lavoro. Sostenevo già allora tesi che oggi verrebbero qualificate come riformiste. Fui eletto proprio per questo. Nelle file del Pci e della Cgil ho imparato moltissime cose. La mia libertà di pensiero non è mai stata compressa: semmai, per molti aspetti, valorizzata». Nel suo libro c’è una critica radicale al sindacato e alla Cgil in particolare. Ma lei non è ancora iscritto alla Cgil? «Parlerei piuttosto di una critica radicale alla strategia attuale della Cgil, più che al sindacato in sé. La tesi del libro è la seguente: il sindacato può essere uno strumento indispensabile per la scommessa contro il declino. La Cgil lo è stata con Di Vittorio nel dopoguerra. Con Lama alla fine degli anni ’70. Con Trentin all’inizio degli anni ’90. Poi con il protocollo Ciampi del 1993 e la scommessa su Maastricht. Non ho perso affatto la speranza che la Cgil torni a valorizzare questa parte del suo dna, la parte migliore. Per questo continuo a farne parte». Nino Sunseri