MACCHINA DEL TEMPO APRILE 2005, 10 novembre 2005
Storia delle Ferrovie italiane
Il 22 aprile 1905 il governo italiano, guidato da Alessandro Fortis su designazione di Giovanni Giolitti, deliberò la nazionalizzazione del servizio ferroviario, allora frazionato in diverse compagnie private locali. Fu questo l’atto di nascita delle Ferrovie dello Stato che oggi sono diventate un grande gruppo industriale con 100 mila dipendenti. Elio Catania, Presidente e Amministratore Delegato delle Ferrovie dello Stato, dice: «Quando cent’anni or sono Giolitti nazionalizzò le ferrovie, era sua profonda convinzione che senza un sistema ferroviario efficiente l’Italia, allora giovanissima nazione, non si sarebbe mai realmente sviluppata. Questa sua convinzione, oltreché confermata dalla storia, conserva ancora intatta tutta la sua attualità: anche oggi come allora, solo un sistema ferroviario efficiente, sicuro e veloce può garantire uno sviluppo economico ecosostenibile. Oggi le Ferrovie dello Stato» continua Catania «sono una moderna e articolata compagine industriale, in grado di rispondere al meglio alle esigenze dei clienti e affrontare con successo la liberalizzazione dei mercati. Hanno finora svolto un importante ruolo di volano economico e sociale per il Paese e intendono continuare a svolgerlo con maggiore forza: i nostri cento anni costituiscono da questo punto di vista il nostro trampolino per affrontare con slancio e determinazione le sfide che ci pone il futuro». Sfide che riguardano soprattutto l’alta velocità, il progetto ferroviario che entro la fine del decennio trasformerà le principali linee del nostro Paese ampliando le strutture e aumentando la qualità del servizio. A oggi le linee Torino-Milano-Napoli (con i nodi di Bologna, Firenze, Roma e Napoli) e la linea Padova-Mestre, già approvate, sono quasi tutte in fase di costruzione; la linea Milano-Verona e il Terzo Valico sono in fase di approvazione, mentre la linea Verona-Padova è ancora in fase di progettazione. Alle origini delle FS Ma torniamo indietro nel tempo, per capire il contesto in cui lo Stato assunse il controllo e l’organizzazione delle linee ferroviarie (fino al 1852 chiamate strade ferrate), prima gestite da società private. Come è noto, il primo tratto di ferrovia sul suolo italiano (14 anni dopo il debutto assoluto avvenuto in Inghilterra) furono i 7,6 chilometri inaugurati il 3 ottobre 1839 sulla tratta Napoli-Portici, costruita dall’imprenditore francese Armando Bayard. Il Regno delle Due Sicilie fu seguito nell’ordine dal Regno Lombardo-Veneto (18 agosto 1840), dal Granducato di Toscana (1844) e dal Regno di Sardegna (1848), che fu l’ultimo stato italiano a dotarsi di strade ferrate (seguito soltanto dallo Stato Pontificio nel 1856), ma anche il più rapido a sviluppare una rete articolata, passata dai 460 chilometri del 1855 agli 860 della fine del 1860. All’unità d’Italia, nel 1861, i 1.732 chilometri della rete ferroviaria erano ancora frammentati in numerose linee gestite da sette diverse società private, e mancava totalmente un disegno organico che, accanto all’unità fisica del territorio, favorisse anche lo sviluppo dell’economia e dell’industria del nuovo Stato. Si decise così di potenziare rapidamente la rete nazionale (nel giro di cinque anni [1866] si passò a 3.734 chilometri) e di emanare una legge (1865), che facesse confluire tutte le linee costruite e da costruire in quattro grandi compagnie: la Società Ferroviaria dell’Alta Italia, la Società delle Strade Ferrate Romane, la Società Italiana per le Strade Ferrate Meridionali e la Società delle Ferrovie Calabro-Sicule. La politica delle concessioni, che mirava ad attirare nel settore capitali anche stranieri in cambio di una gestione vantaggiosa da parte dei privati, non diede però i risultati sperati. Si passò così a convenzioni con tre nuove società concessionarie (Strade Ferrate Meridionali, Società italiana per le strade ferrate del Mediterraneo, Società italiana per le strade ferrate della Sicilia) che avrebbero provveduto alla sola gestione dell’esercizio mentre la rete rimaneva di proprietà dello Stato. Le convenzioni avevano come prima scadenza il 1905 e, in attesa della data, le tre società limitarono al minimo gli investimenti creando malcontento tra i passeggeri e i ferrovieri. Ma l’Italia non poteva più aspettare e il 1905 divenne l’occasione per il passaggio dei poteri allo Stato. I disservizi cominciarono a diminuire e l’andamento positivo dell’economia italiana nell’età giolittiana è dovuto anche alla migliore efficienza dei trasporti ferroviari. Ne guadagnarono in particolar modo l’industria elettrica e quella meccanica (fra il 1905 ed il 1909, lo Stato commissionò 1.050 nuove locomotive e 3.000 carrozze). Erano le basi di una nuova epoca che vide le ferrovie diventare, con l’elettrificazione, il principale mezzo di trasporto degli italiani, almeno fino alla diffusione di massa dell’automobile.