Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 10 Giovedì calendario

Se qualcosa di poco chiaro esiste nell’affare Marco Polo, non sono tanto le vicende, ma il testo in cui sono narrate

Se qualcosa di poco chiaro esiste nell’affare Marco Polo, non sono tanto le vicende, ma il testo in cui sono narrate. Questa l’opinione degli studiosi che boicottano la veridicità delle avventure del mercante veneziano. Eppure la storia de Il Milione ci era parsa sempre chiara fin dai banchi di scuola. Come tradizione vuole, il letterato Rustichello da Pisa - prigioniero come Polo nelle carceri genovesi - compose sotto diretta dettatura il Divisament du Mond, la ”Scoperta del Mondo”: un diario in una sorta di lingua italo-francese, come si conveniva alle avventure di re e cavalieri. Oggi lo conosciamo soprattutto come Il Milione, nella trecentesca e brutta versione toscaneggiante, che ancora infesta i libri di scuola. «Mi sono sempre preoccupata del fatto che molti commentatori usino le recenti versioni stampate, che sono un patchwork di molti differenti manoscritti redatti lungo un periodo di cento anni. Non esiste un testo originale a cui fare riferimento, e ciò che possediamo è spesso infarcito di favole e assurdità storiche. Troppe versioni, insomma, troppe interpolazioni nel corso del tempo. Già secoli fa il libro era considerato un romanzo di fantasia», afferma Frances Wood. Ma contro questa poca - o nulla - attendibilità del testo si scaglia Alvise Zorzi. «Sulle tante e a volte contraddittorie versioni del Divisament du Mond non discuto», commenta. «Senza dubbio il testo fu modificato già dallo stesso Rustichello, che l’ampliò con scene di assedi e battaglie inventate di sana pianta, per attirare i lettori. Ma forse la Wood ignora che non è questo il libro di Polo tenuto in maggior conto dagli studiosi. Possediamo infatti qualcosa di meglio. Un frate francescano, Francesco Pipino, chiese infatti a Marco una sorta di vademecum ”asiatico”, per addestrare futuri missionari da inviare in Cina. Marco lo accontentò: scrisse in latino una versione semplificata del suo diario e la consegnò al frate. Abbiamo documenti che provano - senza ombra di dubbio - quest’avvenimento. Il manoscritto di Polo è purtroppo perduto, ma resta la copia in volgare approntata dal francescano: quasi di prima mano, senza invenzioni o voli di fantasia. E, soprattutto, attendibile».