MACCHINA DEL TEMPO APRILE 2005, 10 novembre 2005
Leone Io le femmine proprio non le capisco. Nei periodi in cui sono in amore ti fanno smancerie come gattine, ti si strofinano addosso, ti lisciano che sembrano schiave devote – mi trattano secondo il mio rango, com’è giusto, sono o non sono il re degli animali? – ma poi, quando arriva il momento di stringere, si defilano
Leone Io le femmine proprio non le capisco. Nei periodi in cui sono in amore ti fanno smancerie come gattine, ti si strofinano addosso, ti lisciano che sembrano schiave devote – mi trattano secondo il mio rango, com’è giusto, sono o non sono il re degli animali? – ma poi, quando arriva il momento di stringere, si defilano. No, mica scappano, stanno lì accovacciate, guardano lontano e ti ignorano. Se ne infischiano del loro re e perfino del dovere di riprodursi. Un dovere, sì, ma anche un piacere, per me sicuramente. Che cosa guardano, l’orizzonte, il tramonto? Certo a quest’ora il paesaggio qui sull’altopiano del Serengeti è una meraviglia: il sole calante manda una luce d’incendio, perfino la nostra pelliccia diventa rosso-rame. Più tardi, quand’è notte, daremo il via alla caccia, va bene, e parteciperò anch’io, ma prima volevo divertirmi un pò con quella specie di sfinge bionda che non mi dà retta per niente. Potrei provare con qualche altra dell’harem, ma tanto al momento buono fanno tutte così e poi non è detto che siano in estro. Qui nel branco siamo due maschi con sei femmine e in genere ce le spartiamo senza litigi. Il fatto è che mi ci sono un po’ incaponito, con questa. Ha un non so che di esotico, è arrivata sola, chissà da dove. In genere sono i maschi giovani che si staccano dal branco e vanno in cerca d’avventure, è raro che lo facciano le femmine. Forse nel suo gruppo i soli maschi disponibili erano il padre o i fratelli, e l’incesto non va bene. Nascono leoncini deboli o malati. Basta, lasciamo perdere, se un leone pensa troppo si infiacchisce. Ora vado lì a passi felpati e la prendo di sorpresa. Lei farà finta di niente, lo so, le femmine non ti danno neanche la soddisfazione di sobbalzare. Mi lascerà fare, come se non gliene importasse nulla. Guai però se divento troppo espansivo e le mordo la nuca. Soffia così forte che alza la polvere, sventola le orecchie e prova a ruggire, ma non ci riesce perché il ruggito lo sappiamo fare solo noi maschi, ed è il rombo più assordante che esista nel mondo animale. Cos’avranno in testa le femmine, mentre ci accoppiamo con loro? Mi piacerebbe tanto saperlo. lì a una ventina di metri, ora ci vado, piano piano... Leonessa Come sono strani i maschi. Prima fa un sacco di ragionamenti stupidi, poi si alza e viene verso di me pensando di sorprendermi. Arriva a passi felpati, però non riesce a trattenere quel brontolìo sordo che fa sempre quand’è in cerca di prede. Sembra timido con le femmine, ma è nel pieno del suo vigore. Ha già sei anni e a quell’età hanno tanta energia da aggredire chiunque cerchi di entrare nell’harem. Cacciano via perfino i figli quando sono cresciuti e se per caso qualche intruso insiste, sono capaci di ucciderlo spezzandogli il collo o con un morso alla gola. Succede di rado, ma succede, non accettano altri maschi nel branco. Peccato, perché a noi piacerebbe che venisse qualche giovanotto nuovo, sarebbe eccitante. Se arrivano femmine nuove invece le accettano volentieri, furbi loro. In compenso fra un paio d’anni saranno spodestati da qualche giovane ardimentoso. Io sarò ancora in forma per quel giorno, mi do da fare, mi muovo, combatto, mi esercito. Loro invece, chi li sposta? Finché noi siamo in estro, e qui nel Serengeti ci capita tra marzo e giugno, ma per pochi giorni, i maschi hanno sempre quel pensiero lì in testa e non si gasano neppure all’idea di andare a caccia, cosa che a noi femmine invece piace molto. Stanno sotto un albero e dormono. Ah, ma stanotte ce lo porto, a caccia, non è giusto che trovino sempre il pasto pronto. Eccolo, arriva, io però non mi muovo, non gli do soddisfazione. Leone Bella mia, guarda pure il paesaggio, ma io ora ti monto addosso... Non riesco mai a capire se le piace, se ci sta volentieri o no, ma forse è colpa mia, mi sbrigo troppo in fretta... Stanotte mi vuole portare a caccia. Buuf, mi sento già stanchissimo. Leonessa Tutto qui? S’è già stancato, il poverino. Ma tanto fra poco ritorna. I maschi secondo noi femmine valgono poco o niente. Chissà come vanno le cose tra gli umani? Una volta ho ascoltato i discorsi di due ranger seduti sotto un grosso albero, quello che loro chiamano ”l’albero dei salamini” perché ha i frutti rossi che pendono. Muovevano certe figurine di legno sopra una tavoletta e uno ha detto: «Vedi, il re non vale una cicca nel gioco degli scacchi, è proprio come il leone. Re degli animali, roba da ridere. la regina che fa tutto, come la leonessa». Diceva bene, quello: se non ci fossimo noi i re neanche mangerebbero, o tutt’al più ruberebbero qualche preda alle iene o agli sciacalli, se non se le porta via al volo qualche avvoltoio. Mi piacerebbe che mi leggesse nel pensiero come leggo io nel suo, e sentisse quanto lo disprezzo. Tutti noi animali siamo telepatici, ma i signori leoni non fanno nemmeno il piccolo sforzo di concentrarsi un po’. Rieccolo, ci vuole riprovare. Leone Niente, l’ho fatto, però mi sembra di accoppiarmi con un fascio d’erba secca. Sento che in fondo mi disprezza. Come si permette, questa stupida? Certo, le femmine sono più attive e coraggiose di noi, però non hanno rango e quindi non sono nessuno. L’altra sera ero in giro da solo con tre leonesse e abbiamo scorto lontano una mandria di gnu. Sembravano puntini, saranno stati a un paio di chilometri. Noi avanzavamo lentamente e ci siamo fermati a trecento metri di distanza. Nell’ultima luce le femmine si sono sparpagliate a ventaglio e io sono rimasto un po’ indietro, a una sessantina di metri, lasciandole fare. Una s’è lanciata, ha afferrato uno gnu e l’ha abbattuto, mentre le altre due sono corse ad aiutarla. La mandria è scappata terrorizzata ed è venuta verso di me. Mi sono mosso anch’io, ansioso di fare bella figura. Macché, ne avessi acchiappato uno, di quei maledetti gnu. Allora sono tornato dalle ragazze e l’ho trovate addosso alla preda: una gli stringeva il muso coi denti, un’altra gli mordeva il collo, la terza il torace. Allora mi sono buttato sull’inguine, che è più tenero. Neanche uno sguardo d’approvazione, niente. Eppure collaboravo, se non altro a mangiare. Dopotutto, il re sono io. Leonessa Ma chi gliel’ha data la corona? Forse la confonde con la criniera, è abbastanza vanesio da crederci. E poi secondo me tra qualche milione di anni non l’avranno neanche più, la criniera, è un avanzo dei tempi in cui vivevamo al gelo, tra le nevi del Kenya e del Ruwenzori e sicuramente avevamo tutti delle sontuose pellicce. Nessuno ci pensa mai, al fatto che noi felini veniamo dal freddo, che non siamo animali tropicali. Nell’era glaciale vivevamo nelle caverne, si può dire a contatto con gli umani e quando avevamo fame ce li mangiavamo anche se ci lanciavano qualche freccetta di selce. Poi hanno scoperto il fuoco, hanno occupato le caverne e noi non ci potevamo avvicinare. A volte i piccoli ci provavano, ma si scottavano e un leoncino scottato non ci riprova. Così siamo stati sterminati un po’ dappertutto e io in fondo li capisco: per noi un pasto non è un pasto se non ci sono almeno venti o trenta chili di carne. In Grecia siamo stati fatti fuori già duecent’anni prima di Cristo, invece in Europa ci hanno lasciato sbranare un po’ di cristiani, nei primi secoli, ma alla fine si sono stufati e hanno inventato altri divertimenti. Dai e dai ci siamo rimasti solo noi che viviamo nei parchi, e benché questo qui sia un altopiano, quand’è estate fa caldo lo stesso. Per me anche troppo. Posso ammettere che i nostri poveri re, con quei crinieroni assurdi, d’estate stiano proprio scomodi e forse anche per questo sono così pigri. l’unica scusante che hanno, ma non al punto di giustificare il fatto che mangiano i piccoli perché sono indifesi e non li fanno faticare. Leone Io i piccoli non li ho mai mangiati. Oddìo, una volta o due l’ho fatto, ma non erano del nostro branco e poi uno era mezzo morto. Se non lo mangiavo io finiva in bocca a una iena. Strano, oggi la sento pensare, la mia sfinge. M’arriva qualche idea sfusa, sono sicuro che se mi ci metto capisco tutto. Sarebbe interessante. Beh, forse non tanto, perché non pensano un gran bene di noi e questo mi fa arrabbiare. La prossima volta che ce l’ho sotto di me le do una codata all’improvviso, le infilo in una natica la mia spina cornea nascosta nel ciuffetto, quello che porto sulla punta. Voglio proprio vedere se non sobbalza. Leonessa Ora mi vuole anche punzecchiare con quell’arma miserabile... Via, alziamoci e organizziamoci per la caccia, il branco ha fame. I maschi li piazziamo sopravento così la prima mandria che arriva sente il loro puzzo (qui non si lavano mai, non sono mica come quelli del lago Victoria) e scappa dalla parte opposta, dove l’aspettiamo noi con le fauci spalancate e gli unghioni pronti. Chissà chi ha inventato questa magnifica strategia, sarà successo tanto tempo fa. Annamo, sor Re, dàtti una mossa. Se non troviamo qualcosa da mangiare ci tocca arrivare fino al fiume Seronera a sbranare qualche coccodrillo. un po’ coriaceo, ma è meglio che niente, però la strada è lunga. Leone Oh, Signore, bisogna anche andare a combattere. Ma non c’era qualcuno che diceva «non fate la guerra, fate l’amore»?