MACCHINA DEL TEMPO APRILE 2005, 10 novembre 2005
Che bomba, l’antimateria di Dan Brown! Ne sono bastati 250 milligrammi per scaraventarlo di nuovo nell’empireo dei best seller internazionali, replicando – con il suo Angeli e Demoni – il successo de Il Codice da Vinci
Che bomba, l’antimateria di Dan Brown! Ne sono bastati 250 milligrammi per scaraventarlo di nuovo nell’empireo dei best seller internazionali, replicando – con il suo Angeli e Demoni – il successo de Il Codice da Vinci. Nel romanzo, il pirotecnico scrittore mette a soqquadro prima il Consiglio europeo di ricerche nucleari (Cern) di Ginevra, poi Città del Vaticano e mezza Roma; vola su velocissimi prototipi con propulsione a idrogeno liquido, attenta alla vita di vescovi e prelati vari, semina indizi di antiche sette segrete, si dà a una forsennata caccia al tesoro tra chiese, monumenti e palazzi, infine prosegue con un count down al cardiopalma. La posta in gioco? Salvare da un’esplosione devastante la sede della Cristianità proprio durante il Conclave per l’elezione di un nuovo Papa. E con quest’ultima nota torna in scena la vera, gran protagonista del libro: l’antimateria, appunto. Che con la fantascienza non ha proprio nulla a che fare, almeno da qualche tempo a questa parte. Perché la sostanza, piuttosto difficile da descrivere, esiste davvero ed è prodotta – tra l’altro – proprio al Cern di Ginevra, esattamente come racconta Dan Brown. «Il romanzo», dichiara James Gillies, portavoce del direttore generale del Cern, Robert Aymar, «ha certamente accresciuto l’interesse generale verso il Centro e l’antimateria. Lo noto persino dall’aumento di lettere ed email che arrivano al mio ufficio. Per la maggior parte, sono domande intelligenti poste da persone che desiderano sapere come stanno davvero le cose. Nel libro, infatti, la descrizione del Cern e di ciò che facciamo è ben lontana dall’accuratezza. A questo proposito, abbiamo approntato uno speciale sito, dedicato ad Angeli e Demoni. Basta andare su www.cern.ch e cliccare su ”Spotlight on” per trovarlo». «Imprecisioni a parte, l’antimateria non appartiene alla fiction», afferma Giorgio Chiarelli, ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, sezione di Pisa, e del Fermilab, Batavia, Illinois (Usa). «Sin dagli anni ’30 del secolo scorso, i fisici hanno compreso che, per ogni particella, deve esistere la sua antiparticella. Stessa massa, ma carica opposta». Pensiamo a un atomo, formato da elettroni (che hanno carica elettrica negativa) e da protoni (che hanno carica positiva). Un ”antiatomo”, quindi, è né più né meno che l’immagine speculare di un atomo normale, dove gli elettroni sono positivi e i protoni negativi.«Il fisico Paul Dirac, nel 1928, predisse teoricamente la prima antiparticella: l’antielettrone, che in seguito fu chiamato positrone, proprio perché di carica positiva», aggiunge Chiarelli. «Il positrone fu osservato per la prima volta nel 1932-1933 e, via via, furono scoperti l’antiprotone e tutte le altre antiparticelle, di massa perfettamente uguale ai corpuscoli che compongono la materia ordinaria, ma sempre di carica opposta». Facciamo un passo indietro e pensiamo a due pilastri della fisica moderna che, nei primi anni del Novecento, parevano inconciliabili: la teoria della relatività ristretta (o speciale) di Albert Einstein e la meccanica quantistica di Erwin Schrödinger e Werner Heisenberg. Che cosa le rendeva così refrattarie a combinarsi in un’unica, gran teoria? Essenzialmente questo: la relatività funziona soltanto con particelle che si muovono ad altissime velocità, prossime a quelle della luce, mentre la meccanica quantistica è invece l’ideale per particelle più lente. Paul Dirac risolse il problema: per descrivere il comportamento dell’elettrone, partorì un’equazione che combinava teoria quantistica e relatività ristretta. La brillante soluzione gli fece vincere il Premio Nobel nel 1933, ma pose anche un nuovo enigma alla scienza. Immaginiamo la semplice equazione x2=4: ciò che ci chiede è trovare quale numero x, elevato al quadrato, possa dare come risultato 4. Quest’equazione ha due possibili soluzioni: una è x=2, l’altra è x=-2. La medesima cosa accade con l’equazione di Dirac: ha due soluzioni. Una prevede un elettrone con energia negativa (e fin qui tutto bene), l’altra un elettrone con carica positiva. Ma per la fisica classica (e per il senso comune), l’energia di una particella deve essere un numero positivo: che senso avrebbe un’antienergia? Che cosa mai, soprattutto, potrebbe essere l’esatto contrario di energia? Ma Dirac non era certo tipo da lasciarsi scoraggiare da apparenti controsensi. Anzi, questo doppio risultato lo portò ad affermare che, per ogni particella, esiterebbe una corrispondente antiparticella. Durante il discorso tenuto alla consegna del Premio Nobel, Dirac ipotizzò addirittura l’esistenza di un nuovo universo, costituito soltanto da antimateria. «La teoria cosmologica più in voga, quella del Big Bang, prevede che all’inizio dell’universo particelle e antiparticelle – cioè materia e antimateria – fossero presenti nella stessa quantità», prosegue Giorgio Chiarelli. «Stiamo ancora tentando di capire quali siano stati i meccanismi che hanno portato alla condizione attuale del cosmo, dove il mondo conosciuto è fatto di semplice materia». In effetti, che in giro non si trovi traccia di antimateria è un bel grattacapo, per gli scienziati. Sempre secondo la teoria del Big Bang, l’universo ha avuto origine 15 miliardi di anni fa da una grande esplosione, che produsse materia e antimateria in ugual misura. Ma dov’è ora la controparte della comune materia? Perché è introvabile? Scoprire le radici di quest’imperfezione cosmica è uno dei compiti più ardui del nostro tempo. L’idea più accreditata ipotizza che, nell’universo iniziale, le particelle di materia e antimateria venissero create assieme. Ma, poiché ciascuna si scontrava con la sua opposta, si annichilavano di continuo in radiazioni, per poi venir ricreate nelle successive collisioni delle medesime radiazioni. Ed ecco il mistero. Dopo circa 10-34 secondi dal Big Bang, avvenne una transizione al cui termine si creò un piccolissimo eccesso di materia sull’antimateria: per ogni miliardo di antiparticelle si aveva un miliardo più una di particelle normali. Dopo questa transizione, l’Universo proseguì a espandersi, mentre la sua temperatura scendeva vertiginosamente. Dopo altri 10-5 secondi, la temperatura era tanto diminuita che la creazione di nuove coppie particella-antiparticella non era più possibile. Tutte le antiparticelle si annichilarono nelle collisioni con altrettante particelle: alla fine, rimasero soltanto i corpuscoli in eccesso, quelli di normale materia, prodotti durante la transizione. Tutto il resto scomparve in radiazione. Ma, è il caso di dirlo, questa è soltanto un’ipotesi. Se e come tutto ciò sia avvenuto, è un autentico enigma, sebbene nel 1967 il fisico russo Andrei Sakharov propose quest’ipotesi come la più probabile, conferendole anche dignità matematica. «In natura, comunque, le antiparticelle esistono», rivela Chiarelli. «Si producono, per esempio, negli scontri tra raggi cosmici d’alta energia (particelle - per lo più protoni - provenienti dallo spazio) con l’atmosfera terrestre. nella cascata di corpuscoli provocata da questi scontri che, nel 1932, Carl Anderson, un giovane professore del California Institute of Technology, identificò il positrone, meritandosi il Nobel nel 1936. Comunque sia, per quanto ne sappiamo, potrebbero esistere addirittura lontanissime galassie fatte completamente di antimateria, abbastanza distanti dagli ammassi di materia ordinaria da non annichilarsi in un tempo brevissimo. Come abbiamo detto, materia e antimateria non coesistono bene insieme: quando s’incontrano si annichilano, liberando energia». Insomma, se materia e antimateria s’incontrano, si disintegrano e scoppia tutto. questa l’idea portante di Angeli e Demoni. Prendi un bel po’ di antimateria, falla scontrare con materia ordinaria (l’aria stessa è sufficiente) ed ecco un’efficiente, devastante, micidiale bomba al cui confronto un’atomica parrebbe poco più di un petardo. Non stupisce quindi che Robert Langdon e Vittoria Vetra, i due protagonisti del libro, si scapicollino per tutta Roma, per evitare che il Vaticano si trasformi in un cratere lunare. «Possiamo comunque dormire sonni tranquilli, almeno allo stato presente delle cose», tranquillizza Chiarelli. «Utilizzare l’attuale produzione di antimateria come arma è impossibile. Non soltanto perché è troppo poca, ma anche perché produrla non sarebbe pratico. In concreto: sebbene il laboratorio americano Fermilab sia il luogo al mondo dove si producono più antiprotoni, la quantità creata è comunque davvero minima. Mentre dico queste cose, al Fermilab sono generati circa 150 miliardi di antiprotoni l’ora e si progetta di arrivare a 400 miliardi. Se consideriamo che Dan Brown ha bisogno di 250 mg per la sua bomba, ci vorrebbe un numero davvero astronomico di antiprotoni: circa 1023 (cioè 10 seguito da 23 zeri). Facendo funzionare l’acceleratore del Fermilab al massimo, occorrerebbero decine di milioni di anni (alla velocità attuale) per ottenere tutti gli antiprotoni necessari. Inoltre, va detto che confinare gli antiprotoni per più di qualche ora è già molto difficile. E ancora più complicato è creare vera e propria antimateria, cioè atomi dove attorno a un antiprotone orbiti almeno un positrone, come in quello dell’antidrogeno». Cern, Fermilab... sembrerebbe però che l’antimateria sia piuttosto vicina. «In effetti, in vari laboratori sono prodotte (artificialmente) e studiate le antiparticelle, i mattoni necessari a costruire l’antimateria», commenta Chiarelli. «Ne cito tre, tra i tanti: il Dafne a Frascati, il già citato Fermilab e, appunto, il Cern. Nell’acceleratore del Dafne, ai Laboratori nazionali di Frascati, si fanno scontrare tra loro i positroni. Ma sono stati i fisici del Cern di Ginevra a trovare il modo di immagazzinare grandi quantità di antiprotoni. Sia al Cern, sia al Fermilab si producono addirittura atomi di antidrogeno, costituiti da un antiprotone e un positrone. Al momento, è il Cern che detiene il record dell’antidrogeno, considerando che recentemente ne sono stati prodotti oltre 500 mila atomi. Per inciso, molti ricercatori che hanno effettuato quest’esperimento sono italiani, provenienti da varie sezioni dell’Istituto nazionale di fisica nucleare: immagino che questo sia stato uno degli spunti da cui ha preso le mosse Dan Brown. Parlando di antiprotoni, non si può prescindere dal Fermilab, nei pressi di Chicago, negli Stati Uniti. Qui, fisici da tutto il mondo – tra cui molti italiani – studiano che cosa avviene quando un fascio di antiprotoni si scontra con un fascio di protoni. Mentre rispondo a quest’intervista mi trovo, per l’appunto, a coordinare la raccolta dati del nostro esperimento. Protoni e antiprotoni sono accelerati a enorme velocità, prossima a quella della luce, e fatti scontrare. Nessun’esplosione! L’annichilazione di particelle e antiparticelle produce energia sufficiente a generare altre particelle subatomiche, che noi studiamo». A questo punto, sorge una domanda. In Angeli e Demoni, Dan Brown scrive che l’antimateria pare una gocciolina di mercurio sospesa nel vuoto. Ma a che cosa assomiglia davvero l’antimateria? Se un oggetto fosse composto di antimateria, come ci apparirebbe? «Una delle simmetrie fondamentali della fisica richiede che materia e antimateria abbiano le medesime proprietà», afferma Chiarelli. «Dal 1933 a oggi, abbiamo fatto misure su singole particelle di antimateria, per tentare di capire se davvero hanno la medesima massa. Si spera di studiare direttamente anche altri tipi di comportamento. Per esser più concreti: sotto certe condizioni, un atomo di idrogeno assorbe ed emette luce di certi colori: l’insieme di questi colori si chiama spettro ed è come l’impronta digitale d’ogni singolo elemento: ognuno ha il suo proprio, che lo distingue dagli altri chiaramente. Bene, l’antidrogeno deve possedere il medesimo spettro. In caso contrario, dovremmo rivedere una delle basi della fisica moderna». Ma è giunto il momento di addentrarci nei sotterranei del Cern assieme al nostro protagonista, per capire com’è davvero prodotta l’antimateria. Nel romanzo, Robert Langdon viene a sapere che il geniale scienziato Leonardo Vetra è riuscito a creare e immagazzinare quantitativi ragguardevoli della sostanza, utilizzando il Large Hadron Collider (Lhc), l’acceleratore di particelle del Cern. In verità, questa è una delle trovate più immaginose del romanzo: la costruzione dell’ Lhc non è tuttora terminata! Sarà comunque un anello di 27 chilometri di circonferenza, ospitato in un tunnel a 100 metri sottoterra (come nel romanzo), e prenderà il posto dell’attuale Large Electron Positron Collider (Lep), per ora ancora il più grande del mondo. Comunque sia, per produrre antiprotoni, al Cern fanno collidere normali protoni contro un blocco di tungsteno. Dallo scontro scaturisce un gran numero di particelle, alcune delle quali decadono in antiprotoni. Solo gli antiprotoni sono utilizzati e, tra questi, solo quelli che volano nella direzione giusta. Anche a volerlo credere, quindi, l’antimateria non sarà l’energia del futuro, come spera Dan Brown. Crearne costa moltissimo in termini d’energia. A questo s’aggiunge il fatto che, da un tot d’energia, noi produciamo un quantitativo d’antimateria e un pari quantitativo di materia. Che, lo si è visto, si annichilerebbero non appena formate, ritrasformandosi in energia. Insomma, se riuscissimo a trovare nell’universo una galassia d’antimateria e la sfruttassimo come una miniera di carbone, allora sì che l’antimateria potrebbe diventare la sorgente energetica del domani. Ma l’eventualità è improbabile. Ma, a parte lo studio della natura e del cosmo, l’antimateria serve anche a qualcosa di pratico? «Sì», risponde Chiarelli. «Alla Positron Emission Tomografy (Pet), un metodo d’indagine molto utilizzato -spesso abbinato alla Tac - in oncologia, cardiologia e neuroscienze. Si basa sul riconoscimento dei fotoni emersi da un’annichilazione tra un positrone (prodotto nel decadimento di una sostanza radioattiva) e un elettrone di materia ordinaria». Allora quale sarà il futuro plausibile degli studi sull’antimateria? «Ci saranno grossi sforzi per capire se, nell’universo, esistono davvero ammassi di antimateria», conclude Chiarelli. «Proseguiranno gli studi per produrre e immagazzinare in maniera più efficiente l’antimateria. Ma non dobbiamo dimenticare gli studi di fisica fondamentale, che ci aiutano a comprendere l’universo in cui viviamo. Si ricercano le proprietà dell’antimateria per capire quanto differiscano da quelle della materia ordinaria. Sono misure che ci potranno dire, alla fine, se le nostre idee sul mondo che ci circonda e sulle teorie per interpretarlo sono solide o dovremo cambiarle».