Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 10 Giovedì calendario

Identificare una persona per mezzo dello scanner della retina non è un parto della fantasia di Dan Brown

Identificare una persona per mezzo dello scanner della retina non è un parto della fantasia di Dan Brown. E neppure una novità. Anzi, è ormai una tecnologia alla portata di tutti, in particolar modo per enti o aziende che necessitano di un elevato controllo d’accesso ad ambienti protetti: archivi che contengono documenti riservati, depositi di materiali pericolosi, caveau di istituti di credito, torri di controllo di aeroporti e via dicendo. Anche il cinema ci ha ormai abituato a questo dispositivo e ai sistemi cruenti con cui persone senza scrupoli riescono a eluderlo, sulla falsariga del crudele killer di Angeli e Demoni: basterebbe ricordare lo psicopatico Simon Phoenix, interpretato da Wesley Snipes, in Demolition Man (1993) di Marco Brambilla, o il braccato John Anderton (Tom Cruise) in Minority Report (2002) di Steven Spielberg. Ma, tralasciando i casi estremi, il funzionamento di tali apparecchi, per quanto sofisticato, è molto semplice da spiegare. Il riconoscimento della retina si basa sull’analisi della struttura dei vasi sanguigni sul fondo dell’occhio, unica in ogni essere umano come l’impronta digitale. Chi sarà autorizzato ad accedere al luogo protetto dovrà prima far acquisire la struttura della sua retina. La persona deve accostare l’occhio al dispositivo d’acquisizione per circa 6-10 secondi. Un fascio di luce infrarossa è diretto nella pupilla (il processo si chiama ”enrollment”). Il reticolato della retina viene processato per estrarne le informazioni distintive, che formano il cosiddetto ”template”, una sorta di rappresentazione matematica dei dati biometrici, registrato infine in un database centralizzato, oppure su una smart card. Per ottenere l’autorizzazione a entrare in un locale dall’accesso limitato, la persona deve avvicinarsi all’unità di riconoscimento, di solito da una distanza di 30-60 cm, e indirizzare lo sguardo verso di essa. Il sistema, dotato di telecamera, verifica la corrispondenza della retina con il database del personale autorizzato e in precedenza registrato. L’identificazione è effettuata automaticamente e completata di pochissimi secondi. Questo metodo vanta un margine d’errore praticamente nullo: i riconoscimenti errati sono circa 1 ogni 1,2 milioni. Ma qualche problema esiste: gli occhiali, ad esempio, disturbano il processo d’acquisizione; inoltre, non si conoscono ancora gli effetti di un raggio infrarosso indirizzato nell’occhio. Non basta: osservando la retina, è possibile scoprire eventuali malattie altrui. Cosa che da molti è vista e vissuta come un attentato alla privacy. Non ultimo il prezzo. Una tale tecnologia è molto complessa e costosa, così che oggi in tanti optano ormai per l’identificazione dell’iride, simile ma assai meno invasiva.