MACCHINA DEL TEMPO maggio 2005, 9 novembre 2005
Là dove il ”micro” (10-6 metri) lascia il posto al ”nano” (10-9 metri) si possono concepire farmaci inseriti all’interno di ”navette” per terapie mirate
Là dove il ”micro” (10-6 metri) lascia il posto al ”nano” (10-9 metri) si possono concepire farmaci inseriti all’interno di ”navette” per terapie mirate. Ossia nanoparticelle di dimensioni tali da poter penetrare nelle cellule, dotate di un serbatoio per farmaci antitumorali rilasciabili nel luogo opportuno, evitando di provocare danni al resto dell’organismo. Così dovrebbero agire, per esempio, le nanoshell (nanogusci) della Rice University che, attivate dall’esterno, si riscaldano fino a uccidere le cellule tumorali circostanti. Lo scopo, insomma, è centrare il bersaglio garantendo una terapia anti-tumorale priva di devastanti effetti collaterali. «Per sconfiggere sofferenza e morte provocate dal cancro entro il 2015», come recita il motto del National cancer institute. Ma le nanotecnologie accendono speranze anche nella cura di altre malattie. Una terapia a base di nanoparticelle somministrate sotto forma di gocce nasali sarebbe in grado di combattere il virus respiratorio sinciziale (Vrs), mentre nano-detector impiantabili potrebbero consentire un monitoraggio della glicemia nei diabetici. Tutto è in fase di sperimentazione e manca l’applicazione all’uomo. Ma l’idea di medici miniaturizzati che viaggiano nel corpo di un paziente per salvargli la vita, che ispirò il film Viaggio allucinante (1966) di Richard Fleischer, non è così lontana.