MACCHINA DEL TEMPO maggio 2005, 9 novembre 2005
Sei milioni di italiani soffrono di mal di testa. I motivi sono così vari che è quasi impossibile non incapparvi
Sei milioni di italiani soffrono di mal di testa. I motivi sono così vari che è quasi impossibile non incapparvi. E, proprio perché così diffuso e così vario nelle sue cause, ha spesso messo in scacco le terapie mediche. Molti farmaci, infatti, se va bene tolgono il dolore: ma certo non eliminano le origini di questo tormento. Il mal di testa, di fatto, è uno dei dolori più comuni e frequenti di cui la maggior parte delle persone ha avuto esperienza. Se la sensazione è soltanto quella di un antipatico cerchio alla testa, bastano un pò di riposo e magari un analgesico per rimediare agli stravizi compiuti la sera prima o all’eccessiva resistenza fisica e mentale pretesa dal nostro organismo. C’è chi soffre però di forme ben più severe di cefalea: le crisi possono essere brevi o prolungate, il dolore pulsante e martellante, generalizzato o localizzato in una zona precisa, continuo o intermittente, costante o di intensità progressiva. Come avere un trapano nel cervello o una miriade di spilli appuntiti che premono sulle tempie. In ogni caso, un tormento. Che può rovinarti la vita in svariati modi. Di mal di testa, infatti, non ce n’è uno solo, ma diversi, con caratteristiche e sintomi specifici, variabili da soggetto a soggetto. Come ci riferisce Grazia Sances, responsabile del centro regionale diagnosi e cura delle cefalee presso l’Istituto Neurologico ”C. Mondino” di Pavia, un centro d’eccellenza di ricovero e cura a carattere scientifico, l’International Headache Society raggruppa tutte le forme di cefalea in 14 capitoli. Per cominciare, ci sono le forme primarie, in cui la cefalea è il disturbo vero e proprio; poi quelle secondarie, in cui la cefalea è l’effetto di una causa sottostante: un trauma cranico, una sinusite o, nella peggiore delle ipotesi, un tumore cerebrale. Il numero uno, tra le forme di cefalea primaria, è l’emicrania, di cui soltanto in Italia soffrono 6 milioni di persone, circa il 10 per cento della popolazione. Non meno temibili sono la cefalea tensiva e la cefalea a grappolo, quest’ultima così devastante da essersi guadagnata in passato la nomea di ”cefalea da suicidio”: i lancinanti accessi di dolore sono insopportabili, al punto da spingere alcuni casi disperati a un gesto estremo. Senza arrivare a epiloghi drammatici, la convivenza con questi mal di testa non è mai facile. Prendiamo l’emicrania, per esempio, caratterizzata da un dolore pulsante che attanaglia metà cranio e può durare dalle 4 alle 72 ore. Tutto diventa improvvisamente intollerabile: luce, rumori, odori si trasformano in qualcosa di insostenibile. Qualsiasi movimento, anche chinare il capo o salire le scale, rischia di acuire la sofferenza. Impossibile leggere, lavorare, sostenere una conversazione o guidare la macchina. L’emicrania non dà tregua, costringe chi ne è colpito a cercare riparo a letto lontano da tutto, al buio e in silenzio, aspettando che la morsa di dolore che stringe il cervello si distenda. In alcuni casi, meno frequenti, l’emicrania si fa annunciare da sintomi di tipo neurologico, indicati come ”aura”. «Si tratta prevalentemente di disturbi visivi, come la visione di lampi, bagliori, zig-zag luminosi, deformazioni degli oggetti o assenza di visione in una parte del campo visivo. Talvolta si avvertono formicolii a un braccio e alla metà del volto e addirittura disturbi nella pronuncia delle parole» spiega l’esperta dell’Istituto Mondino. «I sintomi dell’aura durano al massimo un’ora, ma possono essere drammatici per il paziente tanto che, in questi casi, è la fase di aura la più disabilitante». A differenza dell’emicrania, nella cefalea tensiva il dolore è bilaterale e costrittivo, a effetto ”casco” e non peggiora con il movimento, mentre nella cefalea a grappolo il dolore è violento all’altezza dell’occhio, solo da un lato e sempre lo stesso in tutti gli attacchi, che si presentano giornalmente per periodi di 3-6 settimane, anche due volte l’anno e sono così terribili che chi ne soffre non riesce a stare fermo e assume un comportamento agitato. Sottostimate e trascurate a lungo dalla medicina, rimaste avvolte in un alone di mistero che relegava chi ne era colpito in una sofferenza incomprensibile per familiari e dottori, da circa vent’anni le cefalee sono oggetto di crescente attenzione e interesse: è cambiata la percezione pubblica del problema, si sono fatti passi da gigante nella comprensione dei meccanismi patogenetici del dolore, sono arrivati nuovi trattamenti e il tutto ha portato chi soffre di cefalea a uscire dal proprio silenzio per cercare una via risolutiva a un disturbo in grado di compromettere seriamente la qualità della vita. Risposte definitive non ce ne sono ancora, ma alcuni meccanismi del mal di testa oggi sono noti, anche grazie all’impiego recente di sofisticate tecniche di neuroimaging. Per esempio, è ormai assodato che chi soffre di cefalea sia un soggetto predisposto, che ha un terreno genetico sul quale si radica il disturbo. In particolare, ci spiega la dottoressa Sances, per l’emicrania i fattori genetici contribuiscono a determinare il valore della ”soglia emicranica”, superata la quale si scatena l’attacco. Gli eventi interni (come ad esempio le variazioni ormonali) o ambientali (fumo, alcool, alimentazione, stress) sarebbero in grado di abbassare tale soglia, facilitando l’innesco della crisi emicranica. Ma che cos’è che fa male nella testa? «All’origine dell’emicrania è stata individuata un’alterazione nella trasmissione di alcuni neurotrasmettitori. Quest’alterazione, in soggetti geneticamente predisposti, sarebbe in grado di accendere una catena di eventi molto complessi, culminanti nel rilascio di sostanze vasoattive che producono dolore e la dilatazione dei vasi sanguigni cerebrali. Per la cefalea di tipo tensivo, più legata a eventi psicosociali stressanti, è stata invocata un’aumentata attività muscolare per la forma episodica, mentre nella forma cronica vi sarebbero modificazioni funzionali del sistema nervoso centrale», continua Sances. «I meccanismi alla base della cefalea a grappolo (che in inglese si chiama ”cluster”) sono ancora largamente sconosciuti». Per far fronte agli attacchi violenti di mal di testa è oggi disponibile un copioso armamentario di farmaci, anche se la terapia va personalizzata su ogni paziente, valutando il tipo di cefalea, la sua frequenza, la presenza di malattie associate alla cefalea. Si va dai comuni analgesici, agli antinfiammatori non steroidei (fans), dai derivati dell’ergotamina, ai triplani; per prevenire le ricadute invece si usano beta-bloccanti, calcio-antagonisti, antidepressivi triciclici o antiepilettici. Di recente si sta sperimentando la tossina di tipo A prodotta dal batterio botulino, quella usata dai chirurghi estetici per distendere le rughe del viso. Dopo che alcune donne trattate con il botulino hanno riferito un miglioramento nelle crisi di cefalea, sono iniziati studi che hanno confermato come iniettare il botulino in alcuni muscoli del capo, nei punti dove si concentra il dolore, possa in effetti ridurre la frequenza e l’intensità delle crisi di cefalea tensiva e di emicrania. La tossina botulinica è già in uso in Italia, presso alcuni centri, tra cui l’Istituto Mondino, come conferma la Sances: «La sostanza non è la prima scelta di trattamento a cui si ricorre: può avere controindicazioni, ma è utile quando non si può ricorrere ai farmaci tradizionali o quando questi risultino inefficaci». In genere i trattamenti farmacologici sono un valido aiuto, ma non curano completamente. Tanto che il mal di testa pesa anche a livello sociale. «La malattia spesso condiziona le relazioni e i rapporti familiari, causando sofferenza e stress emotivo», continua Grazia Sances. «Persino i risvolti economici sono rilevanti, sia per i costi diretti, come la spesa per visite mediche, i ricoveri, i farmaci, sia per i costi indiretti, dovuti alla ridotta attività lavorativa. In Italia le giornate di lavoro perse in un anno a causa dell’emicrania sono quasi 18 milioni, un danno economico pari a circa un miliardo di euro per un costo globale dell’emicrania che ammonta, tra spese dirette e indirette, a oltre tre miliardi di euro l’anno». La fascia d’età maggiormente colpita dal mal di testa è quella tra i 20 e i 50 anni, proprio quella socialmente più attiva ed economicamente più produttiva. I ritmi di vita molto sostenuti, scanditi da orari serrati e carichi di impegni non fanno che alimentare la comparsa delle crisi. Le donne, per motivi legati a variazioni ormonali, soffrono di emicrania tre volte più degli uomini. Sono colpite in misura maggiore anche dalla cefalea di tipo tensivo, mentre quella a grappolo è prerogativa del sesso maschile, anche se negli ultimi anni è aumentata anche nelle donne, forse per l’acquisizione di stili di vita più simili agli uomini. E l’emicrania non risparmia neppure bambini e anziani. «Nei più piccoli», sottolinea Lucia Calistri, pediatra responsabile del Centro cefalee in età evolutiva della clinica neurologica pediatrica dell’Ospedale A. Meyer di Firenze, «è fondamentale inquadrare precocemente la diagnosi per limitare le possibilità di cronicizzare la malattia». Tra il 10 e il 25 per cento dei bambini, maschi e femmine senza distinzione fino alla pubertà, soffre di cefalea, soprattutto emicrania e cefalea tensiva, e nel 70-90 per cento dei casi si tratta di forme ereditarie. «Il fattore scatenante più frequente è lo stress psicoemotivo accusato in ambito familiare, scolastico o extra-scolastico», continua Calistri. «Le terapie comportamentali, come training di rilassamento, psicoterapia individuale e familiare, sono l’approccio di prima scelta nel trattamento della cefalea pediatrica e sono preferibili alle terapie farmacologiche. I farmaci a disposizione sono limitati. I piccoli pazienti non sono adulti in miniatura: non si può dimezzar loro la dose e trasferire modelli terapeutici calibrati su altre età». Nei bambini la cefalea influisce negativamente sulla qualità della vita, incrinando la loro serenità e limitandoli in tutto. In mezzo a tante note negative, il mal di testa ha però anche un lato positivo. In fondo, chi non lo ha mai chiamato in causa per svincolarsi da una situazione o un impegno sgraditi? Quando è simulato, fornisce una scappatoia di ferro.