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 2005  novembre 09 Mercoledì calendario

Tra i popoli dell’antichità hanno fama di ballerini accaniti gli Egizi. La danza accompagnava riti funebri, feste e cerimonie pubbliche e divenne lentamente un instrumentum regni dei governanti: i faraoni, infatti, favorirono la diffusione dei balli, poiché convinti che rappresentassero un elemento d’attrazione per le masse verso le manifestazioni politiche e religiose,con cui affermavano e legittimavano il loro potere

Tra i popoli dell’antichità hanno fama di ballerini accaniti gli Egizi. La danza accompagnava riti funebri, feste e cerimonie pubbliche e divenne lentamente un instrumentum regni dei governanti: i faraoni, infatti, favorirono la diffusione dei balli, poiché convinti che rappresentassero un elemento d’attrazione per le masse verso le manifestazioni politiche e religiose,con cui affermavano e legittimavano il loro potere. Dal 3000 a.C. circa fino alla conquista di Alessandro Magno nel 332 a.C, in Egitto si svilupparono varie forme di danza, dalle prime più caste alle successive performance orgiastiche. Giovanni Calendoli (Storia della danza, Mondadori, 1985) racconta di un bassorilievo nel tempio di Adriano, a Roma, che rappresenta un santuario egizio in cui si svolge una danza sfrenata, mentre gli spettatori dalle tribune partecipano all’eccitante spettacolo. Più o meno nello stesso periodo, la danza prese piede in Europa: i primi a esibirsi nella disciplina furono i greci, dalla fine del II millenio a.C., che si distinsero per aver fatto tesoro delle esperienze delle altre civiltà con cui erano venuti a contatto. I cretesi li influenzarono parecchio: una loro danza, la pirrica, fu adottata dagli spartani, che la trasformarono in una vera e propria preparazione al combattimento (secondo Platone, era stata creata personalmente dalla dea della guerra Atena): a conferma di ciò, il celebre detto di Socrate secondo cui il miglior danzatore è anche il miglior guerriero. Ma a saper ballare in Grecia non furono soltanto i soldati: nelle danze di culto, infatti, la donna assunse un ruolo d’indiscussa centralità grazie alle mènadi, danzatrici invasate che partecipavano ai riti orgiastici in onore del dio Dioniso. Curt Sachs (Storia della danza, Il Saggiatore, 1980) riferisce di centinaia di pitture su vaso in cui queste danzatrici sono rappresentate come «possedute dalla divinità» in un «frenetico scalpicciare». I romani, invece, non sono passati alla storia come un popolo di gran ballerini. Non a caso, per Cicerone «l’uomo sobrio non danza»: la grande passione che oggi coinvolge oltre due milioni di italiani, quindi, non deriva dai nostri avi che, a quanto pare, si scatenavano solo dopo aver alzato il gomito. Forse perché inizialmente impegnati a conquistare territori e assoggettare popoli, scoprirono solo in un secondo momento il fascino del ballo che, grazie all’influenza della civiltà greca, assunse lentamente un ruolo importante nella vita pubblica e privata. Diventò persino materia d’insegnamento, seppure accessibile solo alle famiglie nobili. In ogni caso, per Curt Sachs «la storia romana della danza è più che povera». Gli anni del Medioevo furono bui anche per il ballo, soprattutto perché in parte fu avversato dalla Chiesa, che lo considerava immorale: «La danza è un cerchio e dentro c’è il demonio», ammoniva Jacques de Vitry, predicatore del XIII secolo. Contro questa disciplina si scagliò una violenta polemica alimentata dai moralisti, ostili al divertimento e a ogni forma di corteggiamento e sessualità. Le donne erano considerate una minaccia e il loro modo di ballare era paragonato ai salti delle cavallette: nell’Apocalisse (9,3) è scritto che questi piccoli animali dovevano uscire dall’abisso per tormentare gli uomini «che non avevano il sigillo di Dio sulla fronte». L’accostamento fu fatto dal domenicano Guillaime Peyraut, autore di un popolarissimo manuale di morale, terrorizzato da ogni occasione di contatto con le donne, soprattutto nel ballo. Più moderato nei giudizi, ma sempre contrario, fu Sant’Antonino, vescovo di Firenze, che alle donne consigliava: «Quando voi fussi invitata ad alcuno convito di nozze o di balli... Comandovi in virtù di santa obbedienza che non vi dobbiate andare». Nonostante ciò, la stragrande maggioranza della popolazione continuò a scatenarsi nei più disparati balli (il divieto ecclesiastico fu rispettato quasi esclusivamente dalle classi più agiate): le tradizioni delle civiltà precedenti rimasero quindi in piedi, ma senza essere aggiornate al cambiamento dei tempi. In altre parole, i motivi per cui le persone si abbandonavano alla danza rimasero gli stessi (nascita, morte, fertilità, raccolti e nozze), così come le forme espressive: nessuna novità rispetto al passato, fatta eccezione per il giullare, un moderno showman abile anche nel ballo. La vera affermazione della danza si ebbe col Rinascimento e poi con la scoperta dell’America, quando uscì dalle abitudini delle classi più povere, diventò segno distintivo delle classi nobili ed entrò nei palazzi del potere. I principi divennero così gli ispiratori degli spettacoli, legati alle vicende salienti della loro vita come nascite, matrimoni, incoronazioni e vittorie. Nel frattempo la danza s’inserì anche in commedie, tragedie e drammi pastorali. Con la scoperta del nuovo mondo, inoltre, in Europa cominciarono a diffondersi le immagini e le danze dei nuovi popoli. E, lentamente, anche il giudizio della Chiesa cambiò. Le violente rivolte sociali, come quella dei contadini in Germania guidati da Thomas Muntzer (1524), suggerirono infatti al domenicano Tommaso de Vio l’idea che si dovessero concedere al popolo i balli per distrarlo e impedirgli di ribellarsi: la danza era diventata di nuovo un instrumentum regni, proprio come per i faraoni. Il diverso atteggiamento della Chiesa è dimostrato dal concilio di Trento che, cominciato nel 1545, fu inaugurato da un gran ballo a cui parteciparono, oltre alla nobiltà laica, anche i cardinali. E uno di loro, l’inglese Pole, sostenne addirittura che il cavaliere doveva baciare la sua dama. Un’altra novità del Rinascimento è rappresentata dai maestri di danza, presenti soprattutto nel Nord Italia. Ogni principe ne aveva uno di fiducia e, grazie a questa nuova figura, a cui seguì il diffondersi dei primi manuali di ballo, finì l’epoca in cui ci si poteva muovere a piacimento: la danza divenne un’arte con codici e schemi. In questo modo, inoltre, si allargò anche il divario tra il modo di ballare delle classi umili e quello delle classi sociali superiori. Nel Seicento, insomma, la danza acquisì un suo linguaggio specifico. E da quell’epoca in poi non trovò più ostacoli alla sua diffusione. L’Ottocento fu il secolo del valzer, della mazurca e della polka. Fu anche il secolo delle grandi scuole e, soprattutto, delle sale da ballo, sempre più belle e sempre più affollate. Il valzer portò una vera e propria rivoluzione nelle abitudini, nei costumi e nella cultura dei popoli, senza distinzioni di classi: conquistò allo stesso modo ceti umili e classi aristocratiche. Il successo del valzer, inoltre, rappresentava la consacrazione definitiva della coppia come protagonista assoluta della danza. Lo conferma anche Emmanuele A. Jannini, professore di sessuologia medica all’Università dell’Aquila: «Per secoli s’è ballato separati. Grazie al valzer, l’uomo e la donna hanno avuto la prima vera occasione per abbracciarsi in pubblico. In più hanno avuto anche la possibilità per parlare da soli e per stare soli. Cose che prima non si potevano concepire». Il Novecento segna la fine del dominio europeo nei balli, rinnovati dalla linfa vitale proveniente dall’America. Curt Sachs racconta che «verso il 1890 la maxime brasiliana e verso il 1903 il cakewalk vengono a liberare le nostre gambe dall’ordine di giri e di passi scivolati che domina la danza europea. Da allora, la nostra generazione adotta tutta una serie di danze dell’America centrale, nello sforzo di recuperare tutto ciò che era andato perduto nell’Europa moderna: varietà, forza, espressività del movimento fino alla grottesca deformazione di tutto il corpo». E così ecco apparire sulle piste del Vecchio Continente l’one-step, il tango argentino nel 1910, il fox trot (’trotto della volpe”) nel 1912, il charleston, il black-bottom e la rumba. Tra tutti questi, il più rivoluzionario fu il tango che, secondo Curt Sachs, provocò in Europa «una forma di delirio per la danza, quasi una mania che contagia le persone di ogni età e di ogni ceto con la sua stessa virulenza, senza possibilità di difesa. Si può ben scuotere la testa, sorriderne, farsene beffe, recriminare: la follia del tango testimonia che l’uomo dell’età delle macchine, con il suo orologio da polso dall’ora incalzante, con il suo cervello in continua azione per preoccupazioni e calcoli, prova la necessità di danzare proprio come l’uomo primitivo. Anche per lui la danza è ”vita” a un grado più elevato. Il XX secolo ha riscoperto il corpo; mai dall’antichità, esso è stato così amato, così sentito, venerato». Oggi il ballo continua ad attrarre milioni di persone che, a vario titolo, si cimentano con le diverse discipline. I numeri della Federazione italiana danza sportiva, che oggi conta circa 100.000 tesserati, sono molto chiari: nel nostro Paese almeno due milioni e mezzo di persone frequentano corsi nelle scuole di ballo; ogni anno un milione di spettatori assiste alle 1.500 giornate di gara per atleti agonisti e pre-agonisti. Inoltre l’Italia, dal 1996, detiene il titolo di campione del mondo nelle cosiddette danze standard, mentre nei balli latino-americani è al terzo posto. La conferma del successo arriva anche da un sondaggio dell’Ispo: alla domanda «Lei balla?», ha risposto in maniera affermativa un italiano su due: in particolare hanno detto ”sì” il 72 per cento dei giovani (tra i 18 e i 34 anni), il 45 dei meno giovani (34-54) e il 33 dei maturi (oltre i 54). Se poi si chiede «Lei frequenta o ha frequentato negli ultimi anni corsi di ballo?», il 9 per cento degli intervistati replica che attualmente segue lezioni di danza, mentre il 22 lo ha fatto nel passato. Sui generi, poi, il primato spetta al liscio (piace soprattutto ai meno giovani e a quelli con un livello d’istruzione medio-bassa), che raccoglie il 59 per cento delle preferenze, contro il 53 della disco music (soprattutto ragazzi), il 18 della salsa e merengue (in voga tra le donne), il 16 del tango (praticato soprattutto dagli uomini) e il 6 dell’hip hop. I motivi del successo di questa disciplina sono numerosi. Chiedendo a chi affolla discoteche, balere, scuole e sale da ballo varie si ascoltano le risposte più disparate: dalla voglia di tenersi in forma alla possibilità di trovare l’anima gemella, dalla voglia di socializzare a quella di scatenarsi. I più raffinati, invece, considerano la danza un liguaggio con cui esprimere sé stessi. Tra questi c’è Mauro Astolfi, famoso ballerino ma anche insegnante, coreografo e fondatore della Spellbound Dance Company, che divide gli appassionati della danza in due categorie: da una parte «c’è una minoranza che l’ha scelta come stile di vita e come professione. Questi affrontano un percorso difficile, fatto di sacrifici e di continua applicazione e studio». Dall’altra parte, «una maggioranza che spera di arrivare attraverso il ballo al successo televisivo». Accanto a queste due grandi categorie c’è poi il pubblico amatoriale che vive la danza come puro divertimento e momento di socializzazione. Il motivo del successo della danza,secondo Steve La Chance, insegnante di danza nel programma ”Amici” di Maria De Filippi, è semplicemente televisivo ed è legato alla popolarità della trasmissione di cui fa parte, seguita soprattutto dai più giovani: «Da quando è cominciato ”Amici”, il numero di iscrizioni nelle scuole di ballo è cresciuto in maniera considerevole. come la pubblicità: quando fai vedere un prodotto in tv per mille volte, alla fine la gente lo compra». Non sono da escludere, comunque, gli effetti benefici del ballo sulla salute e sulla linea: per alcuni la danza rappresenta un modo divertente con cui bruciare calorie. I generi più dispendiosi da questo punto di vista sono la capoeira e il rock’n roll che permettono di perdere fino a 600 calorie con un’ora, seguite dalla salsa (500), dalla danza del ventre (400), dal flamenco e dal mambo (300) e dalla rumba (200). Ultima in classifica, strano a dirsi, la samba. Per alcuni, il ballo è addirittura una questione di identità nazionale: nel 2000, il presidente argentino Fernando de la Rua ha chiesto all’Unesco di avviare una campagna per la tutela del tango, una sorta di marchio doc con cui evitare le contaminazioni esterne. Nato in Argentina tra la fine dell’800 e gli inizi del ’900, il tango si diffuse in tutta Europa, dove è stato poi interpretato in forme diverse. Ad esempio, in chiave più malinconica, è diventato la colonna sonora nazionale dei finlandesi nel 1917, quando ottennero l’indipendenza dalla Russia. C’è dunque da augurarsi che, nel prossimo futuro, la danza non diventi causa di contrasti internazionali!