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 2005  novembre 09 Mercoledì calendario

Un’aquila o un falco, scaltri e aggressivi, non faticano a vivere e a cavarsela da soli. Ma, quando non si è molto intelligenti né capaci di lottare per la sopravvivenza, stare insieme è meglio

Un’aquila o un falco, scaltri e aggressivi, non faticano a vivere e a cavarsela da soli. Ma, quando non si è molto intelligenti né capaci di lottare per la sopravvivenza, stare insieme è meglio. La natura sembra ribaltare il concetto che è meglio un giorno da leoni che cento da pecore. Anche perché il giorno potrebbe davvero esser troppo corto. Nel branco, infatti, c’è sempre qualche sentinella che dà l’allarme: si è più protetti, anche se non proprio difesi. Per i grandi ungulati erbivori, che di fronte al pericolo sanno solo darsela a gambe o tutt’al più caricare, il branco rappresenta un po’ la mamma. C’è un racconto del naturalista inglese Francis Galton (1822-1911), che oltre un secolo fa incontrò nell’Africa meridionale - regione di Damara - una mandria di bovini e ne studiò il comportamento timoroso. «Un bue», narra Galton, «pur avendo scarsa simpatia o interesse individuale per i suoi compagni, non può sopportare neppure una momentanea separazione dalla sua mandria. Se è separato da essa con uno stratagemma o con la forza, presenta gravi segni di sofferenza mentale; si sforza con ogni mezzo di ritornare nel gruppo e, quando ci riesce, si tuffa in mezzo ai compagni per far assaporare al suo corpo il conforto della loro vicinanza». I biologi chiamano questa spinta ”movimento centripeto”: è l’istintiva forza di coesione che forma banchi di pesci, stormi di uccelli, comunità di gabbiani, di aironi, di sterne, sciami di locuste, di cavallette, di farfalle migratrici e perfino colonie di pinguini. Questi simpatici uccelli, infatti, stanno l’uno accanto all’altro - anche se spesso litigano - non tanto per affrontare assieme i pericoli, quanto per proteggersi un pò dal freddo e per condividere un territorio che diventa casa, grazie all’odore particolare che emana. Secondo molti biologi, il branco è egoista, poiché sacrifica gli individui pur di salvare sé stesso. Se qualcuno finisce in bocca ai predatori, peggio per lui, non piange nessuno. Il ”branco egoista” si assoggetta spesso alla necessità di stipendiare un ”protettore”, capace di tenere lontani altri predatori. un mercenario, che pretende carne fresca come paga: bisogna lasciargli mangiare qualche individuo, altrimenti se ne va e smette di combattere per i suoi pavidi datori di lavoro. Quelli che soffrono della perdita di un parente sono le bestie più intelligenti, come gli elefanti, i primati - in particolare i gorilla - e quelli il cui gruppo è strutturato sul modello della famiglia. Gli elefanti, per esempio, sono legati da profondi rapporti affettivi. Comandano le femmine e, se una madre muore, l’orfano sarà protetto dalle ”zie”, che gli sono state vicine fin dalla nascita e che hanno assistito la madre durante il parto, come brave levatrici. L’hanno aiutata a togliere la membrana che avvolgeva il neonato e si sono date da fare con delicati colpetti di proboscide per farlo alzare sulle sue gambe nuove nuove. Anche i vecchi sono assistiti dai più giovani e, se muore qualcuno, gli altri non si danno pace. Anzi, tentano di smuoverlo per rianimarlo. Devono passare molte ore prima che lo abbandonino alla sua sorte. Quando i pachidermi vagano alla ricerca di cibo e il gruppo si scioglie per un po’, il loro riunirsi è uno spettacolo straordinario: le matriarche salutano sventolando le immense orecchie come bandiere, intrecciano le zanne con le amiche ritrovate e alla fine si baciano, infilando la proboscide l’una nella bocca dell’altra. Poi ricomincia la vita. La biologia fa alcune distinzioni: chiama ”società” i raggruppamenti formati da animali della medesima specie, che cooperano per il bene comune. Tra le più rigide e strutturate, vi sono le società degli insetti: api, formiche, termiti e alcune vespe - come la Poliste cartonaia - ma anche le tribù di lupi e certi stormi di uccelli. Poi c’è il ”branco” vero e proprio, un gruppo che, in teoria, usa lo stesso rifugio per dormire ed è composto da individui che si aiutano reciprocamente, sia nel dare l’allarme sia nel difendersi dai predatori. La ”banda” è un manipolo capeggiato da più maschi, che però si scioglie quando i componenti vanno in cerca di cibo. La ”colonia”, invece, è un insieme di animali che occupano lo stesso territorio e che, in genere, sono legati da rapporti sessuali e vincoli di sangue o comunque di amicizia. Qui, però, ognuno fa per sé. Esiste anche ”l’aggregazione”, che non prevede nessuna organizzazione o impegno cooperativo (banchi di pesci, grovigli di serpenti, coabitazione di coccodrilli). In realtà, questi criteri sono piuttosto ristretti, addirittura fuorvianti: habitat, condizioni climatiche, inquinamento, intrusioni umane e altri eventi che ci sfuggono possono cambiarli e capovolgerli. Stare insieme di solito è un vantaggio, o almeno è confortante. Perfino gli orsi bianchi, che i biologi considerano solitari, in certi periodi sembrano avere bisogno di compagnia. Nella baia di Hudson, d’autunno, si radunano a centinaia lungo la fascia di costa che forma un rettangolo tra il fiume Nelson e il Churchill. Molti si conoscono già, come i mercanti alle fiere, e incontrandosi indicano con qualche aggraziato movimento del corpo le loro intenzioni pacifiche e il reciproco rispetto. un cordiale incontro, dal quale possono nascere impensate amicizie. Il fotografo Fred Bruenner, innamorato degli orsi del Grande Nord al punto di tornare a fotografarli dopo una difficile operazione al cuore, racconta: «Ecco due orsi che si girano intorno, si fiutano e rallentano il passo... infine si fermano, si annusano, si fanno curiose boccacce e cominciano a mordicchiarsi delicatamente sul collo. Ora le presentazioni sono fatte e possono diventare amici, giocare per ore, mangiare insieme, dividere lo stesso buco nella neve e dormire abbracciati pur non essendo affatto omosessuali». Le balene sembrano solitarie, ma in realtà hanno complessi rapporti sociali e comunicano con le altre grazie ai loro canti. Quei lunghi suoni modulati hanno la capacità incredibile di traversare un oceano e mantenere vivi i rapporti sociali. Purtroppo l’inquinamento acustico dei mari sta interferendo gravemente con i loro misteriosi richiami e forse - anche per questo motivo - le balene sono sulla via dell’estinzione, come teme un grande studioso di cetacei, il professor Christopher Cark della Cornell University di New York. Anche le tigri, considerate solitarie, in qualche caso si radunano e hanno la garbata abitudine di spartirsi le prede, come a tavola. Il tigrotto che ha ucciso un animale dà l’annuncio agli altri e non comincia a mangiare finché non arrivano. Se la vera e propria famiglia si basa sempre sull’aiuto reciproco e costante - elefanti, leoni, lupi - ci sono casi in cui sembra che l’aiuto migliore arrivi da animali che non appartengono alla stessa specie. A parte gli uccelli che danno l’allarme alle mandrie se arriva un predatore (come le bufaghe che si appollaiano su rinoceronti, giraffe, antilopi, zebre, bufali e facoceri, mangiando zecche e altri succhiasangue che li affliggono), o quei pesciolini tipo i Trochilus che fanno la pulizia del cavo orale dei coccodrilli, ci sono alleanze davvero stravaganti, per esempio quella di un’orchidea con una società di formiche. L’orchidea ha un nome che più impossibile da pronunciarsi non si potrebbe. Si chiama infatti Schomburgkia tibicinis e ha scelto una dieta che nessuno le invidia: si nutre del pattume raccolto per lei dalle formiche e ammucchiato in una discarica scavata appositamente nel suo bulbo: insetti morti, frammenti di piante, semi marci e granelli di sabbia da cui l’orchidea trae misteriosi oligoelementi. Lei è carnivora, sì, ma pigra, e non ha voglia di acchiappare insetti. Tanto, glieli portano le formiche! Così, quando la discarica è piena, la pianta allunga le sue radicine sotterranee e succhia gli elementi di cui ha bisogno per sostentarsi. una mutua alleanza, l’eterna vicenda del do ut des: le formiche, infatti, ricevono in cambio un rifugio sicuro e il dolce nettare. Associarsi, in fin dei conti, è utile. Eppure, sembra che la natura abbia voluto premiare con la corona della solitudine gli animali più straordinari di ogni phylum (tipo). Tra i volatili ha scelto l’aquila, il falco, l’uccello del paradiso e il pavone. Tra i felini il leopardo, la fascinosa lince dagli occhi magnetici e perfino il gatto - chiamato la ”tigre corta” - che già gli Egizi consideravano divino e che è stato furbissimo, perché si fa venerare e accudire dagli umani. Tra i pesci gli squali, tra i rettili i serpenti regali come i cobra, tra gli insetti quei capolavori di bellezza che sono le farfalle, per esempio la Charaxes jasius, e tanti altri che il mondo neppure conosce, perché appena si parla di insetti vengono subito in mente le mosche, le pulci, le zanzare e le cimici, ma non si pensa mai al Phaneus splendidulus, alla Chrysochroa fulgidissima, o a tanti scarabei-gioiello. Dunque è meglio soli o in compagnia? Quando si è abili e silenziosi come il leopardo, meglio soli. Quando si è pigri come i leoni e si mandano le femmine a combattere, meglio insieme.