MACCHINA DEL TEMPO maggio 2005, 9 novembre 2005
«Ciao ragazze, mi chiamo Koko. Toglietevi la maglietta, voglio vedervi il seno». «Ehi, scimmione, sei impazzito? Non ti facciamo vedere un bel niente»
«Ciao ragazze, mi chiamo Koko. Toglietevi la maglietta, voglio vedervi il seno». «Ehi, scimmione, sei impazzito? Non ti facciamo vedere un bel niente». Sembra il dialogo di un film porno e invece lo scimmione in questione è un gorilla vero - peraltro femmina - di 34 anni, 150 chili di peso e 86 punti di quoziente intellettivo (100 è il punteggio medio per gli umani). Koko è famoso negli Usa perché comunica col linguaggio dei sordomuti: conosce oltre mille segni e comprende anche duemila parole parlate. E col linguaggio dei sordomuti ha dato scandalo, chiedendo di ammirare le nudità di due graziose dipendenti del Gorilla foundation di San Francisco, istituzione che si batte per salvare i grandi primati dall’estinzione. Le due ragazze hanno fatto causa alla Gorilla Foundation, spiegando: «Ci siamo rifiutate di scoprire i seni per lo scimmione e siamo state licenziate. Il presidente della fondazione, Francine Penny Patterson, voleva usarci per stabilire un rapporto con l’animale attraverso bizzarre prestazioni sessuali». Sulla vicenda erotica di Koko, quelli della Gorilla foundation non si pronunciano. Ma l’occasione è buona per cercare di capire fino a che punto le scimmie antropomorfe (gorilla, orango o scimpanzé) possano comunicare con gli umani. Anche perché l’esperimento su Koko è il più lungo della storia: va avanti, senza interruzioni, da oltre trent’anni. Tutto cominciò nel 1972, quando avvenne il primo incontro tra Koko e la sua maestra-tutrice-traduttrice Francine ”Penny” Patterson. Allora Koko era un cucciolo di tre mesi d’età mentre Penny, studentessa di psicologia all’università di Stanford, voleva semplicemente scrivere una tesi di dottorato sulla comunicazione tra le specie. Ma tra lei e Koko si creò un legame che la convinse a continuare il lavoro, con risultati sorprendenti: all’inizio Koko imparò i segni di parole piuttosto semplici come bere e mangiare, a sei mesi dall’inizio dell’insegnamento era già capace di combinare segni, fare domande, parlare con se stessa. E addirittura inventava nuovi termini per oggetti sconosciuti: il segno che significa ”baby” più quello che rappresenta ”elefante” per indicare un Pinocchio di legno, ”bottiglia” più ”fiammifero” per accendino, ”occhi” più ”cappello” per maschera, ”braccialetto” più ”dito” per anello, ”tigre” più ”bianca” per zebra. Koko rivelò anche la capacità di mentire. Una volta, scoperta a rosicchiare una matita e ripresa dall’istruttore, fece il segno per labbra, fingendo di mettere il rossetto. Nell’aprile del 1998 Koko divenne una star grazie alla prima chiacchierata virtuale tra un uomo e una scimmia su America On line. Per quarantacinque minuti restò davanti al computer, rispondendo a una decina tra le oltre tredicimila domande arrivate un po’ da tutto il mondo. Ad esempio: «Qual è la tua bevanda preferita?». Risposta: «Il succo di mela». «Qual è il tuo programma tv preferito?». Risposta: «I documentari sulla natura». Naturalmente, a fare da traduttrice tra Koko e i suoi fans c’era Penny, che digitava sui tasti le risposte espresse a segni dalla scimmia. Alla fine, quando fu stufa, Koko mandò l’ultimo messaggio: «Lights Off. Good» («Luci spente. Bene»). E si mise a giocare con una bambola. «Koko era molto rilassata», raccontò la dottoressa Patterson. «Ha meditato su alcune domande, riflettendo sulle risposte da dare». Quando qualcuno le chiese se voleva un figlio, Koko si coprì la faccia. E la sua maestra fece notare che «per la gorilla è difficile concettualizzare eventi che riguardano il futuro». Secondo Francine Patterson, il gorilla prova e sa esprimere sentimenti umani, compreso senso dell’umorismo e imbarazzo. «Koko è una persona, proprio come me». Gli studi su Koko e altri primati furono ampiamente divulgati dai mass media e alcuni ricercatori dichiararono che le scimmie erano in grado di costruire frasi di diverse parole. Ma qualcuno non era convinto. Esaminando i video delle ”conversazioni” tra ricercatori e scimpanzé, altri studiosi decretarono che gli animali, più che utilizzare attivamente il linguaggio, avevano semplicemente imparato a compiacere l’uomo contorcendo le mani in ogni sorta di configurazione. E i loro maestri-traduttori, magari in buona fede, credevano di leggere, in quei gesti sconclusionati, delle parole. Il grande naturalista Stephen Budiansky, in un libro intitolato Se un leone potesse parlare (ispirato alla celebre massima di Ludwig Wittgenstein «Se un leone potesse parlare, non lo capiremmo»), a questo proposito ha le idee molto chiare: «Noi definiamo l’intelligenza e i sentimenti in termini umani, e così facendo ci precludiamo la possibilità di vedere il prodigio della diversità della vita che l’evoluzione ha forgiato sulla terra. L’intelligenza che ogni specie dispiega è già abbastanza meravigliosa in se stessa. stupidaggine e antropomorfismo della peggior specie insistere che, per essere veramente meravigliosi, bisogna essere come noi». Secondo Budiansky, gli animali non sono umanoidi fuori posto ma esseri perfettamente evoluti e in pieno possesso delle loro facoltà e delle loro competenze. Solo che, tra queste competenze e facoltà, il linguaggio non c’è, per il semplice fatto che non ne hanno bisogno. Ma anche perché, per poter parlare di linguaggio come lo intendiamo noi umani, deve esistere una consapevolezza di sé che gli animali non possiedono. Una faccenda, quest’ultima, ancora ambigua e capace di dividere gli studiosi. L’etologo Giorgio Celli, ad esempio, è convinto che tra gli animali una certa consapevolezza di sé, in gradi diversi a seconda delle specie, esista eccome: «Nelle scimmie antropomorfe come scimpanzé e orango, un certo grado di autocoscienza è stato accertato - spiega Celli - Ricercatori americani hanno fatto il seguente esperimento: hanno narcotizzato alcuni scimpanzé e gli hanno dipinto una macchia rossa sul capo. Al risveglio, messi davanti a uno specchio, gli animali si toccavano subito il capo, proprio nel punto dove c’era la macchia rossa». Dunque? «Se una scimmia antropomorfa capisce che quella allo specchio è l’immagine di sé, vuol dire che è consapevole di essere se medesima. Il mio gatto, messo davanti a uno specchio, si comporta come se la sua immagine fosse un altro gatto: la stuzzica, cerca di giocarci. Evidentemente, il mio gatto non ha un grado di autoconsapevolezza pari a quello dell’orango o dello scimpanzé». Un’altra scimmia famosa è Washoe, una femmina di scimpanzé a cui i coniugi Gardner hanno insegnato il linguaggio dei segni: «Washoe, lasciata da sola in una stanza e osservata di nascosto, gesticolava come per dire: ”Ma come mai mi hanno lasciata sola”, ”Dove sono i miei padroni”, e altre lamentele del genere. Questo dimostra che i segni sono entrati davvero nel suo cervello, che Washoe, ormai, pensa attraverso i segni. Non gesticola solo davanti agli umani e solo perché ha associato ai suoi gesti un premio in cibo». Altra star, tra gli scimpanzé, è Kanzi, un bonobo maschio di 24 anni che vive nel Centro di Ricerca Linguistica dell’Università della Georgia, nei pressi di Atlanta. «Da cucciolo Kanzi imparò l’inglese semplicemente sentendo parlare le istruttrici di sua madre, una scimmia di nome Matata - racconta Celli - I ricercatori del Centro, con grande stupore, un giorno scoprirono che riconosceva il suono e il significato di una decina di parole inglesi (e sapeva indicare su una tastiera i simboli corrispondenti), che nessuno gli aveva insegnato direttamente, ma che aveva solo sentito ripetere spesso! Adesso Kanzi, a cui è stato insegnato a esprimersi usando tavolette con lessigrammi, sa riconoscere almeno cinquecento parole, e sa usarne duecento: una capacità di comunicazione paragonabile a quella di un bambino di due o tre anni». E prosegue: « celebre una scenetta tra Kanzi e la sua istruttrice Elisabeth. L’istruttrice gli telefona, Kanzi risponde, Elisabeth gli dice: ”Domani ti porto la cioccolata”. Il giorno dopo, appena vede Elisabeth, Kanzi le porta il lessigramma che equivale a cioccolata. Questo vuol che Kanzi ha capito chi era al telefono, ha capito la promessa e se ne è anche ricordata: e la memoria fa parte dell’intelligenza. Certo, le scimmie non potranno mai parlare come noi: il loro apparato vocale, in particolare la laringe schiacciata, non glielo consente. E il loro linguaggio ha delle defaillances, per due ragioni: non hanno idea di cosa sia la sintassi e non fanno discorsi molto al di là delle loro esigenze. Il loro è un discorso pragmatico. Ma è pur sempre un discorso».