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 2005  novembre 09 Mercoledì calendario

Avete mai pensato che il foglio che avete davanti potrebbe essere stato geneticamente modificato? Non proprio la carta, ma l’albero che ha fornito la materia prima: il pioppo

Avete mai pensato che il foglio che avete davanti potrebbe essere stato geneticamente modificato? Non proprio la carta, ma l’albero che ha fornito la materia prima: il pioppo. In realtà si tratta di un foglio ancora tradizionale, fabbricato con cellulosa ottenuta da alberi vecchia maniera. Tuttavia, la richiesta di carta è in costante aumento. Ogni anno nel mondo si consumano almeno 300 milioni di tonnellate e l’Italia stessa, nel 2000, ha usato più o meno 11 milioni di tonnellate: 220 chilogrammi per abitante, bebè compresi.  dunque probabile che, tra non molto, questo materiale di così largo consumo potrà essere prodotto ricorrendo all’aiuto di piante geneticamente modificate, dette appunto ”gm”. Naturalmente, il primo passo per modificare il corredo genetico di una pianta è conoscere il suo Dna. A fare da apripista tra le specie vegetali dotate di fusto legnoso è stato proprio il pioppo (Populus trichocarpa). Si tratta del primo albero e della terza pianta in assoluto – dopo l’Arabidopsis thaliana, o arabide comune, nel 2000 e il riso nel 2002 - il cui Dna è stato completamente risolto, cioè sequenziato, come si dice in gergo. Il progetto, avviato dal Dipartimento per l’energia degli Stati Uniti (Doe) e concluso lo scorso autunno, è stato realizzato dal Consorzio internazionale per il sequenziamento del genoma del pioppo (Ipgc), che ha visto la collaborazione di quattro centri di ricerca principali - l’Oak Ridge National Laboratory (Ornl) del Tennessee, il Joint Genome Institute della California, l’Università di Washington a Seattle e l’Umea Plant Science Center svedese - affiancati da Istituti di bioinformatica cui è toccata l’analisi computerizzata dei dati. La scelta di sequenziare il pioppo non è stata casuale: «Il suo genoma è relativamente piccolo – spiega Jerry Tuskan, responsabile del progetto per la Divisione di scienze ambientali dell’Ornl – poiché contiene appena 550 milioni di basi distribuite tra 19 cromosomi; e i suoi geni si possono clonare facilmente in laboratorio (cioè separare dal Dna originario) per analizzarne in dettaglio le funzioni individuali. Inoltre, questa pianta è già stata ampiamente studiata dal punto di vista genetico, fisiologico ed ecologico, per cui disponiamo di molte informazioni sul suo comportamento in natura». Gli scienziati hanno cominciato a decifrare il genoma del pioppo partendo da un esemplare femmina di Populus trichocarpa chiamato Nisqually-1. Per decifrarlo hanno costruito una mappa genetica in modo assai simile a ciò che si fa con una mappa geografica: definendo una serie di coordinate iniziali, piccole sequenze di riferimento distribuite lungo il Dna, a partire dalle quali si sono spinti ad analizzare con una risoluzione via via maggiore zone sempre più ristrette e circoscritte. La descrizione del paesaggio (genetico, in questo caso) si fa più precisa a mano a mano che si localizzano le regioni-cromosomi: prima i ricercatori identificano nel suo Dna 1300 sequenze-marcatore, di cui si servono per orientarsi nella successiva avanzata. Da qui, isolano frammenti sempre più piccoli che, alla fine, riunificano in una sorta di puzzle. Ma il pioppo non è l’unico albero sotto il microscopio della scienza. Nel Connecticut si sperimentano alberi modificati per bonificare il suolo da residui di mercurio, mentre alla Purdue University dell’Indiana si studiano modificazioni genetiche che favoriscano l’accumulo di carbonio nelle radici come possibili strategie per combattere i gas serra... Naturalmente, l’idea di diffondere sulla Terra piante geneticamente modificate, a crescita rapida e in grado di ibridarsi con quelle native, non sorride a tutti. Anzi, sono in molti a fare una faccia contrita. Oltre a essere geneticamente più instabili - osservano alcuni ricercatori - gli alberi transgenici riescono a spargere il loro polline fino a 1000 chilometri di distanza, secondo alcuni modelli matematici sviluppati alla Duke University. E non c’è modo di arginare questa deriva genetica.