Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 08 Martedì calendario

Geni addormentati. L’ultima frontiera delle ricerche sul sonno è l’approccio nuovissimo alle basi biologiche del dormire

Geni addormentati. L’ultima frontiera delle ricerche sul sonno è l’approccio nuovissimo alle basi biologiche del dormire. Nel mirino ci sono i geni che s’accendono quando il cervello s’addormenta. Lo scopo è confrontare la loro attività con ciò che accade in situazioni diverse: dalla privazione di sonno alla veglia. Topi, moscerini della frutta, criceti e, più di recente, l’uomo sono i pionieri di quest’avventura. Come al solito, anche in questo caso il moscerino della frutta si è dimostrato uno dei migliori alleati dei ricercatori. L’insetto ha infatti permesso di identificare almeno 8 mila mutazioni, legate a individui che dormono molto poco. Domanda aperta: quali sono i meccanismi cellulari che permettono ai moscerini con queste mutazioni di essere sempre svegli e assolutamente efficienti, pur dormendo pochissimo? Venti milioni di persone. L’ultima sull’insonnia è invece questa: vi sono al mondo 20 milioni di persone (lo 0,3 per cento della popolazione umana) che s’addormentano di botto alle sette di sera (e non c’è niente da fare), si trascinano a letto, e poi si svegliano alle due o alle tre di notte. Uno di questi, per esempio, era lo scrittore francese Honoré de Balzac. Per questi individui non esiste terapia che riesca a far vivere loro un normale ciclo veglia-riposo. La malattia si chiama Fasps, sigla per Familial advanced sleep phase (sindrome familiare della fase del sonno anticipata), e finalmente si è capito da che cosa dipende. Il responsabile di questo strano fenomeno è un gene, collocato sul cromosoma 17. «Stiamo parlando di una malattia vera e propria», commenta Mario Giovanni Terzano, direttore del centro di medicina del sonno all’Università di Parma. «E di un campo dove le ricerche genetiche sono molto attive. Altri seri disturbi del sonno, come la narcolessia che provoca un desiderio incontrollabile di dormire o la sindrome delle gambe senza riposo, caratterizzata da fortissimi crampi che impediscono a una persona di stare a letto, riconoscono una base genetica». Altre sull’insonnia. Le malattie legate al sonno sono parecchio strane, molte volte tragiche. Il narcolettico (difficile da stabilire quanti siano: qualcuno dice che in Italia sono 1.000, altri che sono 30 mila, altri ancora 50 mila) cade addormentato in qualunque luogo, a qualunque ora. Una signora narcolettica era costretta a girare con un biglietto nella borsetta: ”Attenzione, non è un infarto, mettetemi da qualche parte a riposare...”. Chi soffre della sindrome di Klein-Levine dorme 10-12 ore, quando si sveglia non vuole alzarsi, mangia di continuo non avendo fame, si masturba incessantemente e non ha freni inibitori, copula con chiunque gli capiti a tiro senza distinzioni di età o di sesso. Consigli soporiferi. Anche se le nuove ricerche genetiche fanno sperare in cure personali e mirate, l’insonnia - quando non è causata da particolari patologie - può essere superata grazie ad alcuni semplici accorgimenti, che possono aiutare a riposare meglio. Evitare pasti abbondanti la sera è già una buona regola, a cui s’aggiunge mantenere gli stessi orari del sonno, nonché stare in ambienti tranquilli prima di coricarsi. sempre meglio consigliarsi con un medico se si vuole usare farmaci. Si stima che nei Paesi occidentali l’insonnia, considerata come l’incapacità di prender sonno o di rimanere addormentati, affligga un individuo su otto. Due italiani svegli. La caccia ai geni del sonno – che s’attivano quando ci s’addormenta e che paiono avere un ruolo sempre più importante nel funzionamento delle cellule nervose - conduce a scoperte sempre più approfondite. Perché – strano a dirsi – la funzione precisa del dormire è tutt’altro che chiara. Ad aprire questo nuovo filone di studi sono stati gli italiani Giulio Tononi e Chiara Cirelli, che da tempo lavorano negli Stati Uniti, nell’Università del Wisconsin. Nuove strade si stanno quindi aprendo sulle basi molecolari, segnando molti passi avanti rispetto alle teorie del passato. «Abbiamo nuove ipotesi che possono spiegare molte cose», ha dichiarato Tononi in un’intervista al settimanale ”Time”, che al sonno ha dedicato un ampio servizio. Muscoli in svantaggio. La prima scoperta rivoluzionaria del team scientifico è questa: il sonno non porta gran benefici all’organismo. Insomma, dormendo non si recupera da uno sforzo fisico, poiché i muscoli non si riposano mai. Al limite, si rilassano per brevi periodi. Soltanto il metabolismo corporeo sembra trarre qualche vantaggio, come dimostra uno studio su mille volontari, condotto negli Stati Uniti dalle università di Stanford e del Wisconsin. Puzzle cerebrale. Il sonno, invece, fa bene soprattutto al cervello. Anzi, sembrerebbe proprio che dormire sia l’attività migliore per rinfrancare la mente. Il gruppo di Tononi ha dimostrato che il sonno è prezioso per la mente perché è grazie a esso che riesce a organizzarsi, eliminando le informazioni inutili che ha accumulato nel lavoro di un’intera giornata e preparandosi ad affrontare al meglio il giorno successivo. Anche secondo un recentissimo studio dell’università tedesca di Lubecca, dormire aiuta a riorganizzare le idee e le esperienze. Neuroni a milioni. All’Università dell’Arizona si stanno sperimentando microelettrodi per studiare l’attività dei neuroni - ovvero le cellule cerebrali – durante il sonno. Obiettivo: comprendere quali cambiamenti avvengano in queste cellule mentre dormiamo. I primi tentativi si stanno facendo sui ratti: in questo momento è possibile controllare soltanto dai 50 ai 100 neuroni sui complessivi 125 milioni presenti nel piccolo cervello di un roditore. Dolcezza in calo. Uno studio americano del Reed Army Institute of Research di Silver Spring (Usa) ha dimostrato che il cervello - dopo un periodo di veglia di 24 ore - comincia a utilizzare una quantità di glucosio molto inferiore alla norma. La riduzione dello zucchero avviene soprattutto nella corteccia e si riflette in una minore efficienza nelle attività cognitive più complesse. Grassi e insonni. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista ”Cell Metabolism”, l’insolita configurazione di alcuni circuiti cerebrali che governano il sonno e la veglia potrebbe spiegare la prevalenza dell’insonnia e la sua associazione con l’obesità. Tamas Horvath e Xiao-Bing Gao, della scuola di medicina dell’Università di Yale, hanno scoperto che i cosiddetti neuroni dell’ipocretina (un ormone che svolge un ruolo importante nel risveglio dal sonno e nell’appetito) sono privi della capacità di filtrare il ”rumore” dal segnale: il che li rende particolarmente eccitabili in situazioni di stress, come ad esempio la privazione di cibo. E così, star digiuni durante la notte favorirebbe alcuni stimoli eccitatori che possono essere invertiti soltanto placando l’appetito. Ciò indurrebbe alcune persone a mangiare per poter rilassarsi e dormire. «In termini di evoluzione, la risposta del sistema dell’ipocretina a piccoli stimoli potrebbe esser stata necessaria per la sopravvivenza», spiega Horvath. «Ma nell’ambiente moderno così ricco di stress, questi circuiti possono causare l’insonnia e i disturbi metabolici associati, compresa l’obesità». Orologio interno. Secondo uno studio di Erik Herzog della Washington University di St. Louis, pubblicato sulla rivista ”Nature Neuroscience”, il nostro orologio interno scandisce il ritmo sonno-veglia con gran precisione, grazie alle cellule Vip, in cui è attiva una molecola detta Vasoactive Intestinal Polypeptide (Polipeptide intestinale vasoattivo), che mantiene in sincronia gli ”ingranaggi” dell’orologio. Il neuropeptide Vip è così chiamato perché fu isolato per la prima volta nell’intestino.