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 2005  novembre 08 Martedì calendario

L’amico trascinatore, il capoclasse, il capitano della squadra, il professore carismatico, il sergente di ferro, il capoufficio all’americana, e chi più ne ha più ne metta

L’amico trascinatore, il capoclasse, il capitano della squadra, il professore carismatico, il sergente di ferro, il capoufficio all’americana, e chi più ne ha più ne metta. Insomma, chi, fin da piccolo, non ha conosciuto leader (anche in gonnella, naturalmente) in ogni situazione di gruppo della propria vita? Gente che aveva una marcia in più, una sorta di vocazione al comando, il gusto della sfida, un carisma naturale nel farsi ascoltare, seguire, ubbidire. Così come ad alcuni sarà invece capitato di stare dall’altra parte della barricata, assumendo con la massima naturalezza quel ruolo di riferimento che gli altri andavano riconoscendogli dapprima tacitamente, poi in modo sempre più esplicito e formale, fino a far nascere la consapevolezza di essere nati per comandare. La storia insegna che spesso il futuro leader dà segnali precoci della propria indole: il piccolo Napoleone passava il tempo a giocare con il tamburo e la sciabola di legno; Josif Vissarijonovic Dzugasvilij, poi soprannominato Stalin (acciaio), non esitava a difendersi col coltello dal padre ubriaco, mentre Gesù (la cui complessità è difficilmente riducibile a una questione di leadership), ancora dodicenne, disquisiva alla pari con i dottori del Tempio di Gerusalemme. Ma tra i ”comuni mortali” la situazione non è molto diversa, se dobbiamo dare retta a un recente sondaggio pubblicato dal noto quotidiano economico-finanziario inglese Financial Times. Secondo questa ricerca, il 90 per cento dei capitani d’industria britannici (ne sono stati interpellati un centinaio) fin da piccolo era ambizioso, sicuro di sé e desideroso di comandare, mostrava cioè in potenza tutte le caratteristiche di ciò che poi sarebbe diventato una volta entrato nel mondo del lavoro. infatti questa la vera palestra dove la propensione alla leadership può essere messa alla prova e misurata quasi oggettivamente. Ma proprio in ambito professionale, fuori da una visione mitica, l’esercizio della leadership non può più basarsi esclusivamente sul carisma naturale o su doni speciali. In un’ottica sempre più utilitaristica, al leader si chiedono innovazione e risultati concreti, e quindi anche le competenze per conseguirli, anche perché gestire le risorse umane e materiali di un’azienda è diventato un compito sempre più sofisticato e complesso. Una dinamica che ben conoscono i capi di certe tribù dell’Amazzonia, che scelgono gli uomini da portare con sé a caccia, decidono come distribuirne i frutti ai vari nuclei famigliari, ma vengono immediatamente messi in discussione se non assicurano un sufficiente tenore di vita alla comunità. Una cosa sembra certa: il leader è ambizioso, sa quello che vuole e quasi sempre lo ottiene. Non solo e non necessariamente perché è antropologicamente migliore degli altri, ma perché è disposto a investire tutte le proprie energie per ottenere un obbiettivo. Altri, non meno meritevoli, intelligenti e brillanti, non accettano di sacrificare la famiglia, il tempo libero o la propria tranquillità neanche di fronte alla promessa di denaro a palate e di una posizione sociale sensibilmente superiore. Certamente la storia è piena di leader che hanno mescolato con disinvoltura autorità e autorevolezza, assicurandosi il controllo del potere e del consenso con metodi spesso violenti. Figure per le quali le uniche regole da seguire erano quelle scritte di proprio pugno. Una situazione palesemente diversa da quella di chi ricopre posizioni di responsabilità negli uffici della globalizzatissima economia di mercato, persone a cui non viene delegato un potere assoluto, ma uno parziale e codificato da regole ben precise, di cui rispondere ai propri superiori, e la cui gestione, prima che a un tornaconto personale, deve mirare a quello (misurabilissimo) dell’azienda. E le aziende sono generalmente ansiose di assicurarsi i leader naturali presenti sul mercato, a costo di investire somme ingenti tra stipendi, benefit e corsi di formazione pur di mettere in mano le proprie risorse umane a capi in grado di motivarle e quindi farle rendere al meglio. Ecco la vera novità: l’affermarsi di leader ”people oriented”, consapevoli dell’importanza dei rapporti interpersonali e del contributo del proprio team (se opportunamente gestito) con cui condividere mete e aspirazioni. Un’innovazione che supera i vecchi schemi gerarchici basati su comportamenti di ruolo prestabiliti. L’intervista Ma leader si nasce o si diventa? E quante differenze passano tra chi ha una leadership di carattere professionale e chi con il suo carisma ha scritto pagine memorabili della storia dell’uomo? Lo abbiamo chiesto al sociologo Francesco Alberoni, che all’argomento ha dedicato studi, ricerche e un intero volume, L’arte del comando (vedi box a pag. 87). Professore, perché abbiamo bisogno di un leader? «Anche un gregge ha bisogno di un capo branco. La massa di persone si disperde, se resta unita deve scegliere una direzione dove andare e quindi finisce per seguire qualcuno che le indica la strada. Non necessariamente il più saggio». Autorità e autorevolezza: quali sono i leader che scelgono la prima e quali la seconda? «Il vero leader ha la sua forza nell’autorevolezza. L’autorità te la danno gli altri, i tuoi dipendenti ubbidiscono anche se pensano che tu sia un cretino. Ma ubbidiscono male, non ti danno i suggerimenti giusti o, se te li danno, tu non li capisci. In caso di crisi vanno in panico, si crea confusione. Allora conta solo l’autorevolezza». Il leader preferisce attorniarsi di cortigiani incompetenti o di professionisti che però, anche se forniscono ”qualità”, potrebbero rivelarsi pericolosi concorrenti? «Il leader che sceglie solo cortigiani ossequienti non è un vero leader. Il vero leader deve saper guidare qualsiasi esercito, anche quello in cui ci sono ambiziosi e invidiosi, quindi potenziali concorrenti. Deve solo evitare di dare a costoro le leve principali del comando, deve tenerli sempre controbilanciati da persone di sua fiducia».  più forte un leader che si basa sul divide et impera o chi si può giovare di un gruppo affiatato? «Servono entrambi: un gruppo solido di persone fedeli, ma poi anche e sempre la capacità di dividere i potenziali concorrenti dando loro compiti precisi a cui devono rispondere. importante saper controllare ma anche premiare o punire a seconda dei risultati ottenuti. Il leader deve sempre far capire, con le buone possibilmente, che comunque l’ultima parola, l’ultima decisione, anche se presa collegialmente, anche se suggerita da qualcuno, è sempre e solo la sua». Il fine giustifica sempre i mezzi? Sta aumentando da parte del leader la tentazione di bypassare le regole pur di arrivare a uno scopo prefissato? «Ogni tanto sì, però se diventa un modo abituale di agire, la gente non si fida più della sua parola, mentre il leader ha assolutamente bisogno di essere creduto». Cosa spinge un leader a diventare dittatore o assumere atteggiamenti autoritari? «Spesso quando si rende conto che gli altri, nonostante le sue direttive, svolgono male i loro compiti, oppure quando si accorge che sparlano di lui di nascosto o, peggio, lo tradiscono. Allora passa dalla lunsinga alla paura». Con il senno di poi, per fare un esempio, fa una certa impressione vedere i filmati del popolo tedesco festante durante le parate naziste. Cosa fa scattare l’adesione di un gruppo o di un popolo alle idee di un leader, anche se palesemente riprovevoli? «Il capo carismatico è parte di un movimento, parte di un eccitamento o entusiasmo collettivo a cui lui dà voce. In Germania c’era miseria, collera, paura, risentimento, il senso di essere stati trattati ingiustamente e un marasma morale che produceva una reazione di rigetto da parte della gente comune. Hitler ha indicato un nemico come causa unica di tutti i mali. Si è creata una situazione ipnotica». E i leader di oggi? Hanno caratteristiche in qualche modo inedite rispetto al passato? «Nelle democrazie dove l’opposizione li critica o li deride, tutti i leader diventano persone normali. Ma dove non c’è opposizione, ancora oggi ci sono leader onnipotenti amati e temuti come dèi». Le caratteristiche fisiche hanno importanza nell’affermazione di un leader? La bassa statura di personaggi come Napoleone o Berlusconi farebbe pensare di no... «Infatti. Non esiste una regola: Pietro il Grande era alto, Roosevelt anche, De Gaulle era altissimo». Quali sono le caratteristiche distintive del leader donna? «La capacità di comunicare emotivamente con il popolo. L’esempio massimo ce l’ha dato Evita Peron. Indira Gandhi era la figlia di Jawaharlal Nehru, Golda Meir era brava ma non era un capo carismatico, così la signora Bandaranaike. Cori Aquino aveva alcune caratteristiche di Evita». Una volta la famiglia aveva un leader maschile pressoché indiscusso. Nella famiglia moderna si pone un problema di leadership tra mogli e mariti? «Certamente, e di solito sono più forti le donne. Però guardiamoci dal generalizzare».