MACCHINA DEL TEMPO giugno 2005, 8 novembre 2005
La voglia di comandare non esiste solo tra gli uomini. Molti animali, infatti, si sfidano tra loro per conquistare il ruolo di capobranco
La voglia di comandare non esiste solo tra gli uomini. Molti animali, infatti, si sfidano tra loro per conquistare il ruolo di capobranco. Ma a quale scopo la natura ha voluto che le bestie avessero un leader? «Il capobranco assicura la pace nel gruppo, perché una volta eletto tutti lo rispettano e i conflitti cessano - spiega l’etologo Giorgio Celli - Inoltre è l’individuo più sano, più coraggioso, più forte. Insomma è quello col patrimonio genetico migliore. E siccome in molti branchi (ad esempio di lupi o elefanti marini), si riproduce solo il maschio dominante, la specie si assicura la trasmissione dei geni migliori». I duelli fra aspiranti leader, di solito, non sono mortali: «Tra i lupi avviene una sorta di combattimento rituale. I due rivali si ringhiano e si spintonano, a un certo punto il più debole si sottomette, mettendosi a pancia in su e mostrando la gola. L’altro potrebbe sferrare il morso fatale, e invece non lo fa. Stessa cosa tra i galli: combattono per il pollaio a suon di beccate e speronate ma alla fine il perdente semplicemente se ne va». Gli animali, insomma, per il potere non s’ammazzano. Ma quando lo perdono si sentono male, tanto che mostrano alterazioni dei ritmi circadiani e della frequenza cardiaca con riduzione della funzionalità del sistema immunitario. Lo hanno dimostrato due studi, condotti nell’Università di Parma da Andrea Sgoifo e nell’Istituto di Neuroscienze del Cnr di Roma da Alessandro Bartolomucci. I ricercatori hanno addirittura verificato che un ratto maschio dominante, sottoposto per soli 15 minuti a una sconfitta sociale (cioè a una sottomissione), subisce alterazioni della frequenza cardiaca per un paio di settimane.