MACCHINA DEL TEMPO giugno 2005, 8 novembre 2005
Ottimismo e felicità non sono soltanto il dono di un buon carattere, ma soprattutto il frutto di una precisa programmazione genetica
Ottimismo e felicità non sono soltanto il dono di un buon carattere, ma soprattutto il frutto di una precisa programmazione genetica. David Lykken, ricercatore dell’Università del Minnesota, ha fatto luce completa sull’argomento tanto che, secondo Dylan Evans, dell’Università dell’Inghilterra Occidentale a Bristol, la nostra felicità è stata determinata dalle esigenze dell’evoluzione. «Tutto quanto potesse aiutare i nostri antenati a sopravvivere e a riprodursi, come le relazioni sentimentali, i rapporti genitori-figli, le amicizie intime», scrive Evans nel suo libro Emotion: The science of sentiment (Emozioni: la scienza del sentimento, Ed. Laterza, 7,50 euro), «ci regalano momenti di gran felicità». In pratica, conclude Evans, l’evoluzione ci sventola davanti al naso la felicità come se fosse una sorta di ”carota”, per farci trascinare il carretto della sopravvivenza della specie. A ciò si aggiunge anche un’altra osservazione: poiché la felicità è influenzata dalla genetica, Lykken propone l’idea che ognuno di noi abbia una specie di ”livello fisso” dell’ottimismo, a cui si ritorna sempre, qualsiasi emozione si provi. Potranno capitarci cose brutte, terribili, gioiose o meravigliose ma, in breve tempo, torneremo al nostro livello consueto d’ottimismo, da cui non ci distanziamo mai troppo. Un po’ come per il peso corporeo, all’incirca. Il ritorno alla norma (alla propria norma, s’intende) è inevitabile: anche dopo una tragedia come lo tsunami, si sono visti i bimbi asiatici ritornare a scuola con un luminoso sorriso sulle labbra, come se nulla fosse davvero successo. E tu, che livello d’ottimismo possiedi? Puoi misurarlo con questo semplice, divertente test e vedere se un bicchiere, per te, è mezzo vuoto oppure mezzo pieno.