Il Sole 24 Ore 30/10/2005, pag.38-39 Piergiorgio Odifreddi, 30 ottobre 2005
Nel palazzo dei numeri, con una chiave per ogni stanza. Il Sole 24 Ore 30/10/2005. L’arte della memoria, di cui furono campioni Matteo Ricci e Giordano Bruno, si basava su una tecnica che consisteva nel costruire dei "palazzi" mentali, nelle cui stanze riporre in bell’ordine gli argomenti da ricordare, così da poterli ritrovare e ricostruire ripercorrendo i luoghi immaginari nei quali essi erano stati immagazzinati
Nel palazzo dei numeri, con una chiave per ogni stanza. Il Sole 24 Ore 30/10/2005. L’arte della memoria, di cui furono campioni Matteo Ricci e Giordano Bruno, si basava su una tecnica che consisteva nel costruire dei "palazzi" mentali, nelle cui stanze riporre in bell’ordine gli argomenti da ricordare, così da poterli ritrovare e ricostruire ripercorrendo i luoghi immaginari nei quali essi erano stati immagazzinati. La mostra "Le stanze dei numeri", aperta fino all’8 novembre nel Palazzo Reale di Genova e sponsorizzata da Lottomatica nell’ambito del Festival della scienza, si prefigge obiettivi analoghi, ponendo in luoghi reali oggetti ideali come i numeri, con l’intento di inciderli in maniera indelebile nella memoria del visitatore, affinché egli li porti per sempre con sé. Già la numerazione delle stanze potrebbe sortire questo effetto, perché all’1, al 2 e al 3 fa seguire non, come ci si aspetterebbe, il 4 e il 5, ma il 5 e l’8, e prosegue poi con il 13, il 21, il 34 e il 55: numeri, questi, che un attimo di riflessione rivela essere ottenuti sommando, ogni volta, i due precedenti. Noi oggi associamo questo innocuo gioco a un matematico pisano soprannominato Fibonacci, perché "figlio di Bonaccio", che lo descrisse nel 1202 nel suo Libro dell’abaco. Ma il gioco era già stato giocato molte altre volte, in precedenza e altrove: esempio più antico che si conosca è una serie di pesi per bilancia scoperti in Turchia qualche decennio fa e risalenti alla tarda Età del Bronzo, intorno al 1200 prima dell Era Volgare, disposti appunto secondo la successione di Fibonacci. Come ricorda la nona stanza della mostra (la numero 55), la descrizione originale del Libro dell’abaco fa riferimento alla riproduzione dei conigli, in maniera piuttosto artificiale, ma la riproduzione delle api fa uso della successione in maniera naturale. Le api maschie, o fuchi, sono infatti generate dalle api operaie senza fecondazione, e hanno dunque soltanto una madre. Le api femmine, invece, sono generate dall ape regina mediante fecondazione, e hanno dunque sia una madre che un padre. Ogni fuco ha allora 1 genitore (la madre), 2 nonni (i genitori della madre), 3 bisnonni (i genitori della nonna, e la madre del nonno), 5 trisnonni (due per ciascuna bisnonna, più la madre del bisnonno), e così via, appunto secondo la successione di Fibonacci. Su di essa, e sugli argomenti a essa collegati, si potrebbero scrivere interi libri, che infatti sono stati scritti: ultimo in ordine di tempo, La sezione aurea di Mario Livio (Rizzoli, 2003). Così come si potrebbero scrivere, e sono stati scritti, interi libri sulla genesi della nozione stessa di numero: bellissimo è il recente Il computer di Platone di Luigi Borzacchini (Dedalo, 2005), che ricostruisce archeologia dell’aritmetica e dei suoi concetti, dalle etimologie linguistiche alle articolazioni logiche. Ad esempio, "calcolo" significa "piccolo calcinaccio" e indicava un sassolino usato per contare, così come oggi indica un impurità che si può formare in un organo. Ed entrambi i tipi di calcoli, matematici o fisiologici, richiedono una "soluzione": devono cioè essere "sciolti", mediante appropriate operazioni. Fanno parte dell’archeologia aritmetica, oggetto della prima stanza della mostra, i sistemi di notazione e di calcolo inventati dalle varie civiltà. Ad esempio, ebrei e greci non avevano simboli speciali per i numeri, e usavano semplicemente le lettere dell alfabeto: le prime nove per le unità, le nove successive per le decine, e le ultime nove per le centinaia (per arrivare a 27 lettere, entrambi gli alfabeti erano ampliati con qualche lettera aggiuntiva). Oggi noi usiamo le cosiddette "cifre arabe", che in realtà sono di origine indiana: compresa quella per lo 0, che né i greci né i romani consideravano un numero, perché altrimenti avrebbe dovuto essere la misura di un (per loro) inesistente "nulla". E poiché i numeri erano appunto "misure di unità", neppure 1 in origine era un numero: piuttosto, una "unità di misura". E, prima ancora, non lo era neppure il 2, che costituiva la "diade fondamentale". Insomma, anche in matematica storia e evoluzione hanno il loro peso: misurato anch’esso, ovviamente, in numeri. Ad esempio, il sistema decimale al quale sono abituati gli uomini non è quello binario col quale lavorano i computer, che risale agli I Ching cinesi ed è stato riscoperto da Leibniz nel Seicento. La terza stanza ne mette in mostra alcune delle applicazioni tecnologiche più comuni, dalla musica digitalizzata dei cd alla grafica computerizzata degli schermi a pixel, dietro alle quali si nasconde matematica molto sofisticata: dalle serie di Joseph Fourier ai frattali di Benoît Mandelbrot. Quanto a sofisticazione, però, forse nessun problema numerico ne ha richiesta tanta per la sua soluzione, quanto quello mostrato nell’ottava stanza della mostra (la numero 34): del cosiddetto "ultimo teorema di Fermat ", cioè, enunciato nel 1637 da Pierre de Fermat e risolto nel 1995 da Andrew Wiles, dopo sette anni di scalate non in Tibet, ma sulle vette del pensiero. La sua saga è narrata in L’enigma di Fermat di Amir Aczel (Net, 2003), così come L’enigma dei numeri primi di Marcus de Sautoy (Rizzoli, 2004) descrive il più importante problema aperto dell aritmetica, la cosiddetta "Ipotesi di Riemann ", enunciata da Bernard Riemann nel 1859, e la cui soluzione non richiederà certo meno sofisticazione di quella di Wiles. I numeri primi, che sono gli atomi che costituiscono le molecole numeriche, non intervengono soltanto in astratti problemi teorici come quello appena citato: sono anche essenziali nella moderna crittografia, alla quale è dedicata la quinta stanza (la numero 8), e che si dedica a codificare i messaggi in modo da renderli illeggibili a coloro ai quali non si vuole farli leggere, mantenendoli però leggibili per coloro ai quali invece si vogliono far leggere. un’arte che ha fatto passi da gigante, da quando Giulio Cesare usava sostituzioni prefissate delle lettere durante le sue campagne contro i Galli, o Che Guevara si portava un numero casuale nel taschino durante la sua sfortunata campagna boliviana: chi voglia saperne di più, di allora e di oggi, può leggere Codici segreti di Simon Singh (Rizzoli, 1999). Se la quinta stanza della mostra (la numero 8) è dedicata alla versione crittografica del "grande gioco" dello spionaggio, come lo chiamava Kipling, la sesta (la numero 13) ci mostra invece i "piccoli giochi" in cui interviene la matematica. Quelli fatti per divertire, dal Tris al Sudoku. Ma anche le più generali situazioni di conflitto tra due o più contendenti, che costituiscono il soggetto di studio di quella branca della matematica chiamata " La teoria dei giochi ": una disciplina che ha già fruttato vari premi Nobel per l’economia, nel 1994 e quest’anno, e di cui Roberto Lucchetti descrive i principi in Duelli, scacchi e dilemmi (Bruno Mondadori, 2002). Una parte a sé, e dunque una stanza a parte (la quarta, numero 5), la reclamano quei giochi logici che, a seconda delle predisposizioni, possono divertire o snervare chi si cimenti a cercare di risolverli. Quesiti, cioè, come quelli collezionati in La magia di Lewis Carroll (Theoria, 1986), o negli innumerevoli libri di Raymond Smullyan o Martin Gardner. Ad esempio: "Un presentatore ci offre tre scatole, in una sola delle quali c è un premio. Noi ne scegliamo una. Lui scarta una delle rimanenti, nella quale sa che non c’è il premio. Noi possiamo tenere quella che abbiamo già scelto, o scambiarla con la rimanente. Cosa ci conviene fare? ". Si tratta di veri e propri "nodi logici", e non a caso Carroll intitolò una delle sue ricreazioni logico-matematico-letterarie Una storia ingarbugliata. Ma la matematica non disdegna neppure lo studio dei nodi veri e propri o dei ripiegamenti, come quelli delle scarpe o del Dna, ai quali è dedicata la settima stanza (numero 21). E come la teoria dei giochi può fruttare premi Nobel, quella dei nodi può condurre alla medaglia Fields, come è successo nel 1990 e nel 1998. Vale dunque la pena di saperne di più, ad esempio leggendo Nodi di Alexei Sossinsky (Bollati Boringhieri, 2000). Piergiorgio Odifreddi