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 2005  novembre 07 Lunedì calendario

Sono in grado di leggere senza occhiali. E senza sforzo alcuno!». Queste parole le scrisse nel 1939 il filosofo inglese Aldous Huxley, afflitto fin dai 16 anni da gravissimi problemi di vista che lo avevano portato alla quasi totale cecità

Sono in grado di leggere senza occhiali. E senza sforzo alcuno!». Queste parole le scrisse nel 1939 il filosofo inglese Aldous Huxley, afflitto fin dai 16 anni da gravissimi problemi di vista che lo avevano portato alla quasi totale cecità. Il ”miracolo”, di cui avrebbe reso conto nel libro L’arte di vedere, era avvenuto grazie al suo incontro con l’oculista americano William Bates, inventore di un metodo che consentiva di migliorare e persino recuperare la vista (anche in caso di patologie come strabismo, cateratta, glaucoma o distacco della retina) senza l’aiuto degli occhiali. La sua teoria era semplice: la memoria e l’immaginazione, nella visione, sono elementi altrettanto importanti delle particelle di luce che colpiscono l’occhio. Cristina Zandonella, psicoterapeuta, specializzata nel trattamento dei disturbi visivi, cura gli occhi proprio ispirandosi al pioniere americano: «L’occhio è lo specchio dell’anima, dicevano gli antichi. Eppure, ancora oggi, l’oculistica classico lo tratta come una pallina da misurare. Lo considera un sistema statico costituito da un bulbo oculare sferico e da una lente che si regola a seconda della distanza dell’oggetto da mettere a fuoco. Per Bates, invece, l’occhio è un organo dinamico e plastico che varia di continuo la forma per mettere a fuoco. Tutti sappiamo, per esperienza, che l’acutezza della nostra vista cambia di continuo anche in base al grado di stanchezza e stress. Ad esempio quando siamo in vacanza vediamo meglio che quando siamo in ufficio. Secondo Bates, la tensione che sentiamo agli occhi quando non vediamo bene non è una conseguenza ma la causa della difficoltà visiva. E perciò è molto importante eliminare lo sforzo del vedere». Al fine di eliminare questo sforzo, Bates mise a punto una serie di esercizi per gli occhi con cui curò tantissime persone: prima di incontrarlo, tanto per citare il caso più famoso, Huxley leggeva libri e spartiti musicali in Braille. Cristina Zandonella, partendo da quegli esercizi, in oltre 25 anni di ricerca e attività clinica, ha messo a punto un metodo originale di rieducazione visiva che in genere produce ottimi risultati. Gli strumenti? Una poltroncina, un particolare cartellone ottico e una serie di immagini colorate con lettere, spirali, stelle, fiori e varie altre forme. «Come si impara a memoria una poesia, come si impara a far di conto, così si può imparare a vedere. La visione parte dall’occhio e arriva al cervello. Con la rieducazione si migliora lo stato fisico dell’occhio, ma anche il modo di ricezione dell’immagine da parte del cervello. La ”ginnastica per gli occhi” ha due obiettivi: decontrarre i muscoli oculari e riequilibrare la funzione visiva. All’inizio si hanno solo flash di visione nitida, poi la messa a fuoco cambia e l’acutezza visiva migliora in maniera stabile». In ogni disturbo della vista è presente una componente organica e una funzionale. Migliorando la funzionalità degli occhi grazie alla rieducazione visiva, si ottiene anche un miglioramento organico. più lento di quello funzionale ma esiste». Facciamo l’esempio di un miope al quale mancano tre diottrie. Quale sarà il suo percorso? «Dopo tre o quattro mesi di esercizi potrà utilizzare lenti da due diottrie, anche se organicamente non è cambiato nulla. Dopo un anno, la funzione visiva sarà ancora migliore e lui potrà fare a meno degli occhiali. Nel frattempo gli occhi, dal punto di vista organico, avranno guadagnato una diottria». Quando si notano i primi miglioramenti? «In genere dopo quattro sedute, a patto che il paziente abbia la costanza di ripetere gli esercizi a casa per una ventina di minuti al giorno. Il quaranta per cento dei pazienti porta a compimento la terapia, mentre il 60 per cento si perde per strada. Di questi, però, un buon 30 per cento prima o poi torna. E quelli che tornano, non mollano finché non ottengono risultati stabili». Alle volte per risolvere un disturbo occorre proseguire la rieducazione per un anno o più, altre volte dopo pochi mesi avvengono cambiamenti repentini e significativi che rendono superflua un’ulteriore rieducazione: «In media occorre una dozzina di sedute. Una ogni quindici giorni per i primi tre-quattro mesi, in seguito una al mese per controllare i risultati e modificare, se occorre, gli esercizi». La rieducazione visiva funziona per qualsiasi disturbo degli occhi? «Serve per curare tutti i disturbi legati all’ereditarietà, alla crescita e all’età. indicata in particolare per miopia, ipermetropia e astigmatismo (quest’ultimo difetto, dovuto a un’alterazione della curvatura cornea, in genere migliora rapidamente). Ma può rivelarsi utile anche per varie patologie organiche: in questo caso, si mira a riequilibrare e potenziare la parte sana dell’occhio, a dispetto del difetto organico». Perché scegliere la rieducazione visiva, quando ormai bastano un paio di occhiali alla moda, di lenti a contatto magari colorate o addirittura un raggio laser per risolvere quasi tutti i problemi? «L’oculistica classica è interventista: un taglietto e via», dice Zandonella. «Non indaga sullo stato d’animo del paziente. Nel mio studio arrivano giovani che, dopo l’intervento al laser, hanno problemi ad adeguarsi al mondo nuovo - troppo nitido - che li circonda. Sono arrivati a una visione aritmeticamente perfetta quando non erano psicologicamente pronti. Non tutti, inoltre, accettano le lenti o gli occhiali. Io stessa, miope dall’età di dieci anni, rifiutavo di portare gli occhiali e vedevo crescere di anno in anno il mio problema: il mondo che mi circondava era sempre più sfuocato, sempre più ovattato. A vent’anni il difetto aveva raggiunto le 6 diottrie e continuava a progredire. Per un periodo portai le lenti. Di colpo ci vedevo benissimo. Fin troppo bene per i miei gusti! Dopo poco tempo mi sembrò di dipendere da quei minuscoli oggetti, non potevo fare a meno di portarle. Di notte sognavo di perderle e mi sentivo di colpo perduta. Inoltre tendevo a nascondere agli altri il fatto che le portassi, come se fosse qualcosa di cui vergognarmi. A sbloccare la situazione arrivò una terribile congiuntivite di origine molto strana che mi durò per alcuni mesi: la congiuntiva s’arrossava soltanto quando provavo a mettere le lenti a contatto. Pazienza, mi sarei tenuta il mio mondo sfuocato di - 6,25 diottrie di miopia e -1,75 di astigmatismo (a questi valori era arrivato il mio disturbo...). Poi, finalmente, la scoperta dei testi di Bates e l’inizio del mio personale percorso di rieducazione visiva. Oggi sono leggermente miope, anche se riesco a vedere 10/10, e l’astigmatismo è scomparso». Quando un percorso di rieducazione visiva può giudicarsi concluso con successo? «Quando la vista, per il paziente, non è più un problema. Quando si sente a posto con gli occhi che ha, indipendentemente dal numero di diottrie».