MACCHINA DEL TEMPO LUGLIO 2005, 7 novembre 2005
L’Inland Taipan non è proprio il genere di creatura che ci si augura di incontrare. Si tratta infatti di un serpente australiano, lungo circa due metri, il cui veleno è uno dei più potenti al mondo, 68 volte più mortale di quello del cobra: uccide in pochi secondi, bloccando i muscoli del cuore
L’Inland Taipan non è proprio il genere di creatura che ci si augura di incontrare. Si tratta infatti di un serpente australiano, lungo circa due metri, il cui veleno è uno dei più potenti al mondo, 68 volte più mortale di quello del cobra: uccide in pochi secondi, bloccando i muscoli del cuore. Inutile anche l’antidoto, agisce così in fretta che non ci sarebbe il tempo per iniettarlo. Eppure questo serpente così pericoloso potrebbe indicare la strada per curare una delle malattie che affligge questo secolo: l’infarto. L’idea è venuta a Bryan Fry, biologo dell’Università di Melbourne (Australia), che da molto tempo studia come si sono evoluti i veleni dei serpenti nel corso dei secoli. Per questo, ogni anno, cattura dai duemila ai tremila esemplari di vipere, cobra, serpenti marini e molti altri ancora. E così ha scoperto molte cose. Prima fra tutte che molte specie di serpenti che oggi sono ritenute non velenose in realtà lo sono. «Ma non significa che siano anche pericolose» spiega Fry. Molti di questi rettili producono all’interno del loro corpo dosi minime di veleno. Per sopravvivere, spiega Fry, «hanno solo bisogno di stordire una rana o di scuoterla un po’», necessità facilmente esaudibili senza bisogno di iniettare nella loro preda veleni mortali. La scoperta più importante che ha fatto Fry è stata però un’altra. Ogni serpente velenoso produce una tossina che va a colpire o a disabilitare una determinata funzione del nostro corpo o un certo organo. Molti scienziati pensavano che questa tossina si formasse dalle cellule dello stesso organo che poi veniva attaccato. Fry ha dimostrato che non è così: le tossine si formano in tutto il corpo del serpente, e sono la conseguenza della mutazione di alcune proteine. Scoperte recenti, queste, visto che fino a due anni fa una ricerca come questa non sarebbe stata possibile. «Prima, in un paio di mesi, riuscivamo a studiare la sequenza di due o tre proteine al massimo. Oggi in un mese riusciamo ad analizzarne duemila» racconta Fry. Merito dell’Human Genome Project, che ha rivoluzionato la scienza. E che ha permesso a questo gruppo di scienziati di identificare tutti i geni attivi nelle ghiandole velenifere e di leggere il loro Dna in poco tempo. Sono state proprio queste analisi all’avanguardia a permettere a Fry di scoprire che il veleno dei serpenti viene prodotto da proteine provenienti da tutto il corpo. Fry ha costruito l’albero genealogico di questi geni veleniferi: il risultato ha portato gli scienziati a pensare che il veleno si sia formato in un determinato momento della storia dei serpenti. Prima il loro corpo lo ha prodotto in dosi minime, poi le quantità sono aumentate e le tossine sono diventate sempre più pericolose. « stato il più grande adattamento nella storia dei serpenti» spiega Fry. Non tutti i serpenti, appunto, sono velenosi. Ma quelli che non hanno sviluppato liquidi mortali hanno però migliorato altri aspetti fisici, per esempio l’agilità, o la forza. Le ricerche di Fry hanno fatto luce anche su un altro aspetto: l’origine delle molecole velenose. Molti ricercatori suggerivano che le tossine velenose avevano modificato le proteine della saliva. Sostenevano che queste proteine potessero scomporre il cibo nella bocca. Forse sarebbe bastato qualche miscuglio per trasformare il tutto in un veleno letale. Ma i geni veleniferi scoperti da Fry e dai suoi collaboratori hanno dimostrato il contrario. Il biologo ha costruito infatti l’albero di 24 di questi geni. E solo in due casi ha trovato geni che si erano evoluti da quelli della saliva. In tutti gli altri casi, i geni si erano formati in altre parti del corpo, nel sangue, per esempio, o nel cervello o ancora nel fegato. Ma come hanno fatto a crearsi queste tossine letali? Fry ha una risposta plausibile, anche se non è ancora stata dimostrata. Forse tutto è iniziato con la duplicazione accidentale del gene di un organo. Questo doppione è mutato in modo tale da produrre proteine nelle ghiandole velenifere. Poi l’evoluzione delle specie e la necessità di sopravvivere in natura hanno fatto il resto, potenziando, quando ce n’era bisogno, il veleno per renderlo mortale. L’evoluzione ha anche adattato la mortalità dei veleni alle necessità del serpente. Non tutte le prede reagiscono allo stesso modo a un morso. Per esempio i green mambas e i black mambas fanno parte della stessa specie di serpenti, ma i primi vivono sugli alberi mentre i secondi vivono nei prati. «Non c’è da sorprendersi» spiega Fry, «se il veleno dei black mamba è più potente contro i ratti che contro gli uccelli. Al contrario, il liquido che inietta il green mamba è più mortale per un uccello che per un ratto». Il veleno dell’Inland Taipan è molto particolare e interes- sante. il frutto dell’evoluzione dei peptici natriuretici, una famiglia di proteine che nell’uomo e nei serpenti rilassa i muscoli del cuore. Il pericolosissimo serpente ha, nel corso degli anni, modificato questa proteina. E così adesso le sue prede muoiono per un abbassamento della pressione arteriosa. Il liquido che inietta alle sue vittime, infatti, rilassa l’aorta fino a farla smettere di contrarsi. Scoprire come ha fatto questa proteina a trasformarsi permetterebbe agli scienziati di elaborare una cura per medicare le arterie congestionate che possono portare a problemi cardiovascolari molto gravi, tra cui l’infarto. Ma le ricerche sono appena iniziate, ci vorrà molto tempo.