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 2005  novembre 07 Lunedì calendario

Se a Robert Baden-Powell, ufficiale inglese, da giovane non fosse piaciuto così tanto stare all’aria aperta, imparare a conoscere la natura e a cavarsela a vivere nei boschi, lo scoutismo non sarebbe mai nato

Se a Robert Baden-Powell, ufficiale inglese, da giovane non fosse piaciuto così tanto stare all’aria aperta, imparare a conoscere la natura e a cavarsela a vivere nei boschi, lo scoutismo non sarebbe mai nato. Oggi che il movimento sta per compiere un secolo (nel 2007), facciamo un bilancio con le presidentesse dei due storici movimenti affiliati alla Fis (Federazione Italiana Scout), l’Agesci (quello di ispirazione cattolica, numericamente superiore, tel. 06-681661) e il Cngei (quello ”laico”, tel. 06-37517480). Il bilancio che esce dalle due interviste non lascia dubbi: nel Duemila lo scoutismo è ancora una realtà viva e presente nel nostro paese, ben al di là dei ”compagnucci” di parrocchia di Alberto Sordi e dello spilungone in calzoncini corti che fa attraversare la strada alle vecchiette. Chiara Saligni, è Presidente del Comitato Centrale dell’Agesci da un anno. Tre figli e un marito scout, si ritrovano tutti, la domenica sera, di ritorno da un campo diverso: «In questi trent’anni l’associazione è naturalmente cambiata e cresciuta, - dice la Saligni - passata attraverso la crisi degli anni 90, peraltro generalizzata su tutti i movimenti giovanili. I nostri problemi maggiori sono stati la mancanza della disponibilità degli adulti e i ragazzi che nell’età adolescenziale, specie nelle grandi città, hanno a disposizione molte altre esperienze. Oltretutto, sempre nei grandi centri, essere autonomi negli spostamenti è molto complicato. Questi, gli agenti esterni. Un’autocritica: ci siamo chiusi nelle nostre sedi, abbiamo rinunciato a esperienze diverse, fermi vicino alle parrocchie, offrendo meno avventura ai ragazzi adolescenti. Ma negli ultimi anni ci siamo abbastanza stabilizzati: adesso siamo 180.000 soci, 30.000 adulti e il resto ragazzi». Perché oggi un genitore iscrive il figlio agli scout? «Principalmente perché vede quelli degli altri, felici di fare esperienze all’aria aperta e di stare in gruppo - prosegue Chiara Saligni. - Chi iscrive un figlio all’Agesci fa comunque anche una scelta religiosa, perché per noi lo scoutismo è un modo di testimoniare la nostra Fede; non facciamo catechismo ma durante l’anno liturgico i momenti di preghiera sono tanti». Su questo aspetto sono chiare due scout Agesci 21enni, incontrate in treno: «Siamo quasi alla fine, adesso dobbiamo decidere se continuare come capi o uscire... Siamo le più grandi del gruppo e siamo felici di essere scout, perché abbiamo avuto la possibilità di fare cose che da sole non avremmo mai potuto fare e poi soprattutto siamo al servizio degli altri; per noi, cristiane, la differenza fra carità e solidarietà è che noi pratichiamo la prima: aiutiamo le persone perché in ognuno vediamo Gesù Cristo». Ma quali sono le reazioni all’esperienza del primo campo? « normale le prime sere consolare i piccoli che vogliono la mamma - dice ancora Chiara Saligni -; in genere il magone passa subito e dopo si divertono da matti; la dimensione comunitaria del gioco sprona a cancellare la malinconia. Per i più grandi è diverso: è la mancanza di riferimenti a disorientarli all’inizio, in primis dei cellulari, che spesso non ”prendono” , e che comunque noi invitiamo a non portare. Ma i comportamenti non sono mai imposti: noi facciamo proposte, senza intransigenza, si cerca di far crescere nel capire perché una cosa non va fatta. Anche i sacrifici che sembrano fini a se stessi hanno buoni motivi: stare fuori d’inverno al freddo non è masochismo, ma serve a misurarsi con le proprie risorse, è l’autoeducazione che ti fa scoprire caratteristiche, che in una vita abitudinaria non scopriresti. Importantissimo per i ragazzi è l’essere apprezzati dagli altri, cosa che spesso manca nelle realtà locali, dove i gruppi sono solo di singolo divertimento. Qui l’esperienza è vissuta, non è un racconto, ed è diverso. La percezione popolare di ”adulti scemi vestiti da bambini”? Non esiste più o si è notevolmente ridimensionata: ci vedono impegnati in raccolte di fondi per l’ambiente o per scopi umanitari, nella pulizia dei fiumi, come forze d’ordine dei grandi eventi, sul luogo di calamità naturali.... certo, capita di andare in montagna e mettersi nei guai, ma a chi non succede?». L’altra ”first lady” dei boy-scout è Donatella Biozzi, docente universitaria, una carriera da scout iniziata da adulta e una poltrona (visto il moto perpetuo di tutti gli iscritti, la definizione è assolutamente inadeguata) da presidente del Cngei, l’associazione laica, da quattro anni, già al secondo mandato: «Noi siamo numericamente più piccoli di Agesci e la differenza sostanziale è che nella associazione cattolica oltre allo scoutismo c’è anche una esplicita attività di catechesi; da noi ci sono religioni diverse e una maggiore varietà anche di etnie; entrambi pratichiamo la coeducazione; le nostre attività mescolano sempre maschi e femmine, mentre nell’Agesci ogni unità può essere per ragazze, per ragazzi o mista, in relazione alle scelte e alle risorse di ogni gruppo. Noi lasciamo comunque ai ragazzi la possibilità di seguire la religione di famiglia, e li educhiamo ai valori e alla ricerca spirituale, poi ognuno sceglie come meglio crede. 8 anni è l’età minima, si finisce a 19, divisi in tre gruppi, dagli 8 ai 12 anni, dai 12 ai 16 e dai 16 ai 19. Gli ”strumenti” sono diversi per ogni fascia di età: il gioco per i piccoli, l’avventura è l’esca fondamentale per i ragazzini, con i più grandi parliamo di servizio: la possibilità di sentirsi utili in una collettività per gli adolescenti è la cosa più importante. Oggi siamo 11.000: 8.000 giovani e 3.000 adulti, con un 55% di maschi e un 45% di femmine». Cosa è cambiato in questi ultimi anni? «Anche se le tre ”esche” sono le stesse, è cambiato il rapporto con lo scoutismo perché oggi tutti , avviati molto presto ad attività sportive spesso agonistiche, assumono un atteggiamento competitivo, che non è nello spirito scout. I ragazzi hanno molta più libertà e strumenti a disposizione, ma la loro maturità psicologica, di progettare la propria vita, è allungata. Un tempo un giovane a 19 anni aveva già un progetto di vita, oggi no. Se c’è più autonomia nel fare, quella nel decidere è molto ritardata. Hanno invece grande fame di valori e la esprimono molto intensamente. Se così non fosse noi non potremmo ”adescarli”...Basti dire che nella nostra sede fiorentina abbiamo circa 370 iscritti e 700 in lista d’attesa. Ci mancano gli adulti con abbastanza tempo libero». Un ricordo dei campi scout che ha fatto? «Una notte ero seduta su una sdraio, di guardia davanti a una camerata di 40 bimbi che dormivano con i sacchi a pelo per terra, quando mi sento toccare su una spalla: era un piccolino, spaurito, che si era alzato e non trovava più il suo sacco a pelo: gli altri si erano compattati e glielo avevano coperto! L’ho preso in braccio e così ha dormito tutta la notte».