MACCHINA DEL TEMPO LUGLIO 2005, 7 novembre 2005
Alessandria d’Egitto somiglia ad Atlantide: luoghi potenti della Terra dove si forgiarono vicende d’uomini e dei
Alessandria d’Egitto somiglia ad Atlantide: luoghi potenti della Terra dove si forgiarono vicende d’uomini e dei. E, come se agli esseri umani non fosse dato distruggerle, entrambe furono punite dal mare per la loro alterigia. Ma Atlantide, si sa, sembra essere soltanto un mito. Sempre che qualcuno, un giorno, non ne scopra le tracce. Alessandria, invece, è esistita e ancora resiste, sulla punta nord-ovest del delta del Nilo, a 225 km circa da Il Cairo. Oggi, anche ciò che sprofondò nei flutti riemerge alla luce del giorno. Come dire che Alessandria non morirà mai. La città che ancor oggi si può ammirare in superficie si chiama in arabo Iskandariya e fu fondata nel 331 a.C. da Alessandro Magno. Il condottiero macedone prese un sacco di farina e la sparse per terra. Con un bastone disegnò i confini e i perimetri, la pianta delle strade, affinché il suo architetto Dinocrate potesse ispirarsi. Poi, quando il tracciato fu terminato, uno stormo d’uccelli piovve dal cielo e becchettò la farina, così che gli indovini predissero: «Questa città avrà tanti abitanti quanti sono gli uccelli del cielo». Mai predizione fu più azzeccata: Alessandria divenne la capitale del mondo antico e ospitò oltre mezzo milione d’abitanti. Alcune sue strade erano larghe 30 metri e le più strette non misuravano meno di quindici. Ospitava una biblioteca immensa, in cui tutto il sapere umano era racchiuso, conservato in migliaia e migliaia di rotoli e papiri, ciascuno inserito nella sua nicchia... 700 mila testi tradotti in greco, ch’era l’inglese del tempo, da ogni lingua conosciuta. Ad Alessandria nacquero poeti, filosofi, matematici, artisti, scienziati. Nel 287 a.C. fu inaugurata una torre-lanterna, nell’antistante Isola di Faro. Era alta ben 135 metri, quanto un grattacielo di New York. Le navi scorgevano la sua fiamma da 60 km di distanza. Qui, ancora da scoprire, è nascosta la tomba del suo fondatore, meta di antichi pellegrinaggi, come fosse il tempio di un dio. Qui visse, amò e morì Cleopatra IV, ultima regina dell’Egitto, bramata da Giulio Cesare e adorata da Marco Antonio. Per non cadere nelle mani d’Ottaviano Augusto, che reclamava per Roma l’Egitto, Cleopatra inscenò un suicidio, facendo correr voce che si fosse tolta la vita lasciandosi mordere da un aspide. Marco Antonio, suo amante, prese per vera la storia e, sconvolto di aver perduto l’amata, si trafisse con la sua stessa spada. Scoperto il cadavere d’Antonio, Cleopatra non vide più salvezza, più ragione di vita. E questa volta, dalla velenosissima vipera, si fece mordere davvero. Era l’anno 30 a.C. Assieme alla regina, anche l’Egitto piombò in una lenta, inarrestabile agonia. Secoli dopo, fu proprio la tragica figura di Cleopatra ad affascinare Franck Goddio e a condurlo, dopo innumerevoli traversie, a riscoprire i resti sommersi di una gloria che, ai giorni nostri, è forse nascosta ma ancora non si è spenta. Nel VII secolo dopo Cristo, un devastante tsunami colpì la città. Onde alte 30 metri e terribili terremoti seppellirono nel fango per oltre 1.600 anni il palazzo della regina. Poi giunse, appunto, il francese Franck Goddio. Ai tempi, Goddio era un affermato consulente finanziario con la passione per l’archeologia. Passione che sarebbe rimasta sopita per sempre, se non gli fosse capitato di leggere delle tragiche imprese di Cleopatra. Come Heinrich Schliemann rimase folgorato dall’Iliade, tanto da dedicare la vita alla scoperta di Troia, così Goddio s’innamorò della regina. Erano i primi anni 80 quando abbandonò il mestiere e si dedicò alla ricerca di tesori sommersi. Nel 1987 fondò a Parigi l’Institut Européen d’Archéologie Sous Marine (Ieasm) e, da vero pioniere, partì alla ventura. Autofinanziandosi, creò un team internazionale di storici e ingegneri: i primi perché svolgessero ricerche ancor più accurate nelle biblioteche di tutto il mondo, gli altri perché mettessero a punto nuovi dispositivi per la ricerca subacquea. Perché quanto fatto finora non bastava. «Occorreva una marcia in più per riuscire dove tanti altri avevano fallito», racconta l’archeologo. «Io l’avevo. Le indagini effettuate con rilevatori ad alta tecnologia sarebbero state la mia carta vincente». Così fu. Nel 1988, Goddio prese contatto con il Commissariato francese per l’energia atomica, affinché potesse utilizzare per fini archeologici un’ecosonda a risonanza magnetica nucleare, che due ingegneri misero in grado di individuare con estrema precisione oggetti sommersi. Non furono risparmiati sonar, batimetri e Gps. Nel 1992 cominciò i rilevamenti, tracciando una precisa topografia del porto orientale della cittadina. I risultati furono confortanti: sotto quelle tonnellate di fango, qualcosa c’era davvero. Tanto che, nel giro di pochi anni, Goddio riuscì a tracciare gli esatti profili della cittadella regale di Cleopatra. Adesso occorreva insistere, senza tregua. «Era il primo pomeriggio di un afoso settembre del 1996», ricorda Goddio. «Nel laboratorio allestito sulla nave base Oceanex l’attività era la solita degli ultimi quattro anni: verificare sui computer i dati che provenivano dai fondali del porto. Ma c’era qualcosa di strano nell’aria, quel giorno. ”Qui sotto c’è una pietra enorme, bellissima!”, gridarono dal ponte. In un attimo infilai la muta e mi tuffai. Pareva una roccia come tante altre... Con il timore di rovinarla, allungai una mano per togliere il fango... Era il ritratto di Cesario, figlio di Cleopatra e di Giulio Cesare. In quell’istante seppi di aver vinto la scommessa di una vita». I ritrovamenti si susseguirono a ritmo crescente. Nel 2001, Goddio presentò una mappa completa del golfo prima dello tsunami: a sinistra, su Antirodi, l’isola del porto, ecco la residenza estiva di Cleopatra. Di fronte, ecco il Timonium, l’edificio voluto da Marco Antonio dopo la battaglia d’Anzio nel 31 a.C. Ma non basta: le rilevazioni di Goddio evidenziano un’altra realtà, finora insospettata. Alessandria esisteva prima d’Alessandro. Nelle vicine acque d’Abukir, l’archeologo ha scoperto il sito di Heraklion, come raccontava lo storico greco Erodoto: qui, ancor prima del 331 a.C., esisteva una cittadina che s’ergeva attorno a un imponente tempio d’Eracle. Oggi, in questo stesso momento, Goddio e la sua équipe sono ancora lì, nelle acque di Alessandria. Proseguono a riesumare dal mare tasselli su tasselli di un puzzle quasi infinito. Ora Goddio intende comporre la mappa dell’intero fondo del porto. Un’area di 25 chilometri per due e mezzo. Sarà una mappa molto accurata, con punti di riferimento ogni 25 centimetri. Goddio vuole arrivare a disporre di una cartografia precisa non solo di Alessandria ma anche delle città e del territorio circostante. «E già numerose incisioni sul fondo portano alcune correzioni al mito di Cleopatra», rivela Goddio. «Non fu un aspide, ma un cobra, a mordere la regina. La storia della vipera fu forse posteriore, poiché per gli Egizi era simbolo d’immortalità». Molti reperti sono ora custoditi al Museo della Biblioteca o al recente Museo nazionale d’Alessandria. A gloria di una leggenda che, dopo quasi due millenni, risorge finalmente dalle acque.