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 2005  novembre 04 Venerdì calendario

E se gli ayatollah negassero il petrolio? Il Sole 24 ore, 04/11/2005 Fine novembre 2005, dopo estenuanti trattative l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) getta la spugna e trasferisce il dossier nucleare iraniano al Consiglio di sicurezza dell’Onu

E se gli ayatollah negassero il petrolio? Il Sole 24 ore, 04/11/2005 Fine novembre 2005, dopo estenuanti trattative l’Agenzia internazionale dell’energia atomica (Aiea) getta la spugna e trasferisce il dossier nucleare iraniano al Consiglio di sicurezza dell’Onu. L’Iran, furioso, agita lo spettro delle ritorsioni in campo energetico. Stila una lista nera dei Paesi nemici. Minaccia dolorose misure nei confronti delle major energetiche occidentali. Mancano ancora tre settimane, eppure sembra questo il probabile esito della prossima riunione dell’Aiea, a Vienna il 24 novembre. D’altronde la pervicacia degli ayatollah nel proseguire l’attività di conversione dell’uranio in gas, e le minacce del presidente iraniano contro Israele, hanno spinto anche i Paesi più titubanti a cambiare atteggiamento. L’Iran, già sotto sanzioni americane, affila le armi. Ma potrà veramente creare dei danni? E quali saranno i Paesi che ne risentiranno di più? Quali le compagnie energetiche? In teoria la Repubblica Islamica ha i numeri per dare uno scossone alle economie energivore dei Paesi occidentali. Con 125 miliardi di barili, vanta le seconde riserve mondiali di petrolio. E con 4 milioni di barili/giorno (mbg) è il, secondo produttore dell’Opec. Nel gas, le sue riserve sono seconde solo quelle russe. Un potenziale enorme. ’Anche in caso di sanzioni - spiega Manouchehr Takin, analista del Centre for global energy studies specializzato in Iran - è improbabile che l’Onu vieti di acquistare petrolio iraniano, come hanno fatto gli Usa. Le contromisure potrebbero essere un embargo sulla fornitura di armi, equipaggiamenti elettronici, tecnologia. Ritengo altresì improbabile che l’Iran revochi i contratti petroliferi con le major occidentali o azzeri le vendite ai clienti che hanno votato contro. Per Teheran il petrolio è tutto. L’80-90% dell’export in valore. La contromossa potrebbe consistere nell’agevolare nelle prossime gare per i diritti d’esplorazione e sfruttamento le compagnie dei Paesi non ostili. Ma ciò sta già accadendo. Specialmente con la Cina”. La Cina. Il sodalizio energetico tra il colosso asiatico e gli ayatollah è già una realtà. Con circa 300mila barili al giorno (bg), nel 2005 l’Iran è divenuto il terzo fornitore della Cina, alle spalle di Arabia Saudita e Angola. La compagnia cinese Sinopec ha firmato a fine 2004 un memorandum d’intendimenti per un contratto stellare sulle forniture di gas: 100 miliardi di dollari per importare in 25 anni 250 milioni di tonnellate di gas líquefatto naturale (Lng), la partecipazione allo sviluppo del giacimento di Yadaravan, e il diritto di acquistare metà della sua futura produzione (150mila bg). Vi sono. altre ragioni di ordine politico ed economico, tra cui la vendita di armi, che spingono Pechino a opporsi al defenimento. Ma è indubitabile che il sodalizio energetico giochi un ruolo decisivo. Italia. In teoria l’Italia sarebbe uno dei pochi Paesi doppiamente esposti. In termini di importazioni l’Iran è il nostro quarto fornitore con una quota del 12%. Sul fronte delle compagnie, l’Eni è presente in Iran sin dagli anni 50. In quattro grandi giacimenti, ha investito 2,46 miliardi di dollari. La sua produzione resta tuttavia modesta, solo 28mila bg di olio equivalente (petrolio e gas). Per di più sotto contratti buy-back. L’Iran, la cui Costituzione vieta di vendere la proprietà dei giacimenti, ripaga in petrolio il costo delle prestazioni tecniche fornite nel settore petrolifero. Rispetto alla produzione Eni del 2005, 1,7 mbg, l’apporto del greggio iraniano appare modesto. Ma una quota destina a salire, una volta che i giacimenti entreranno a pieno regime. Senza contare la grande scommessa sul gas, dove l’Eni ha buone chance. Quanto alle altre major energetiche, l’anglo-olandese Shell di petrolio iraniano ne acquista circa 200mila barili/giomo. Più modesti i quantitativi della Total, comunque coinvolta in interessanti progetti. India. La situazione dell’India, Paese che ha votato contro l’Iran nell’ultima riunione Aiea, è delicata. Grazie a una posizione geografica favorevole, anche il Subcontinente ha scommesso sul petroli di Teheran. Ne importa almeno 150mila bg. Ma vorrebbe acquistame molto di più. Ha in cantiere ambizìosi, quanto difficili, progetti: come il gasdotto della pace (7 miliardi di dollari) che dovrebbe trasportare gas da Teheran, via Pakistan. Anche l’India non ha perso tempo, firmando nel 2005 un memorandum d’intendimenti per un contratto da 25 miliardi sul gas Lng. Giappone. il Paese esposto verso l’Iran. Importa oltre 220mila bg, sta faticando per investire 2 miliardi di dollari in un controverso accordo per partecipare al giacimento di Azadegan. Tokyo non nasconde i suoi timori. Anche Francia e Corea del Sud importano notevoli quantità di greggio dall’Iran. Eppure, spiegano fonti anonime, questo braccio di ferro è arrivato nel momento sbagliato. Sicuramente nuoce ai Paesi produttori. "Con la capacità di riserva mondiale a livelli bassi - precisa Takin - in caso di deferimento e di minacce iraniane ci sarebbe un impatto, anche se di breve periodo, di qualche dollaro sul prezzo del barile". Ben altro scenario se concretizzasse le sue minacce. Ma chi ne pagherebbe le conseguenze sarebbe soprattutto l’Iran. Teheran è consapevole che per centrare gli ambiziosi progetti sul petrolio - all’inizio degli anni 70 estraeva 6 mbg - non può fare a meno delle tecnologie occidentali. Le sue infrastrutture versano m gravi condizioni e devono rimpiazzare i giacimenti in via d’esaurimento. Per non parlare del gas. Un business enorme, ma ancora da sviluppare. Occorre accelerare i progetti. Costruire gasdotti. Realizzare i costosi inipianti di liquefazione per trasportarlo via mare. Attività in cui primeggiano le compagnie energetiche e di servizio degli Stati Uniti, le britanniche - anch’esse fuori dall’Iran - e poche altre, tra cui l’italiana Saipem. "Con tali prezzi del petrolio -conclude Jamal Qureshi di Pfc Energy - alcuni produttori pensano, accusando poi gravi danni, di poter fare a meno delle major occidentali. Come il Venezuela. Il problema è che le due parti non si comprendono. E una guerra psicologica. In cui tutti hanno da perdere". Roberto Bongiorni