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 2005  novembre 10 Giovedì calendario

Il falco vola su Teheran, L’Espresso, 10/11/2005 I primi a reagire sono stati gli addetti militari accreditati a Teheran da Italia, Francia, Grecía e Polonia

Il falco vola su Teheran, L’Espresso, 10/11/2005 I primi a reagire sono stati gli addetti militari accreditati a Teheran da Italia, Francia, Grecía e Polonia. I quattro hanno abbandonato in fretta la parata militare in pieno svolgimento a Teheran il 25 settembre, anniversario della guerra che oppose l’Iran dell’ayatollah Khomeini all’Iraq di Saddam Hussein. Gli addetti lasciarono il palco degli ospiti stranieri quando apparvero i missili Shahab-3, appena testati con successo e in grado di colpire fuori dal territorio iraniano. Sugli ordigni campeggiava la scritta: "Cancelleremo Israele dalla carta geografica". In prima fila, a guardare ammirato armi e soldati, c’era il presidente della Repubblica islamica d’Iran, Mahmud Ahmadinejad. Che si apri in un radioso sorriso quando i missili sfilarono davanti a lui. Il messaggio lanciato a tutto il mondo con quella scritta sui razzi balistici non rappresenta un colpo di testa dell’apparato militare iranìano. E, al contrario, il cuore della politica del presidente eletto solo cinque mesi fa. Tanto è vero che 40 giorni dopo la parata militare, Ahmadinejad si è presentato all’annuale convegno dal titolo "Un mondo senza sionismo" sferrando un’aggressione senza precedenti contro Israele: "L’entità sionista andrebbe cancellata dalla mappa del mondo". La frase ha galvanizzato le migliaia di studenti presenti. Il presidente ha chiarito ancor di più il suo obiettivo. Puntando il dito contro alcuni governi arabi che riconoscevano lo Stato di Israele, Ahmadinejad ha ammonito:”Bruceranno nelle fiamme della rabbia della nazione islamica". Parole come queste non si sentivano in Iran da una ventina di anni. Certo, gli ultrà del clero sciita o dei pasdaran non perdevano occasione di gridare contro il "Satana Americano", ma il ritorno al refrain di "Israele creato apposta nel cuore del mondo musulmano " sembrava finito in un cassetto. Inoltre, negli ultimi dieci anni, la presenza ai vertici di Mohammad Khatami, passato sempre per un riformísta, aveva comunque attenuato la propaganda degli estremisti musulmani. Quella stagione si è chiusa il 25 giugno scorso, quando oltre 17 milioni di iraniani hanno consegnato ad Ahmiadinejad la poltrona presidenziale. Che i fantasmi del passato segneranno la politica del presidente in carica è dimostrato dai fatti immediatamente successivi al 26 ottobre. Due giorni dopo il convegno, i registi della propaganda del regime di Teheran hanno convocato in piazza giovani, donne, guardiani della rivoluzione, disoccupati, tutti fedelissimi del presidente, a manifestare contro Israele e gli Stati Uniti. Di fronte alla valanga di proteste internazionali e alla timida correzione dell’ex presidente Khatami ("Non dovremmo fare dichiarazioni che possono causare problemi politici ed economici all’Iran"), Ahmadinejad non ha fatto neanche un passettino indietro. Anzi, si è presentato in pubblico domenica 30 ottobre con in testa la kefiah palestinese e ha sottolineato che riconoscere Israele " sarebbe un crimine imperdonabile" per un paese musulmano. E chi lo fa, dovrà "affrontare l’intera umma", ovvero la comunità dei credenti. L’ultimo affondo di Ahmadinejad indica che il primo obiettivo del vertice iraniano è la leadership nel Medio Oriente e in parte della Penisola arabica. Téheran ha capito che il suo nemico storico - gli Stati Uniti - non è in grado di contrastare le mosse dell’Iran nell’area. Di fatto, la presenza ìraniana in Iraq attraverso i partiti politici controllati direttamente, che significa appoggio aperto attraverso uomini, armi e soldi alle milizie sciìte, viene tollerata dagli Stati Uniti in nome della guerra alle bande terroristiche sunnite. Tanto è forte la presenza iraniana sullo scenario politico d’Iraq che Teheran ha risposto con un secco no alla richiesta dei segretario di Stato Usa Condoleezza Rice di sedersi attorno al tavolo per discutere del modo di controllare il passaggio di uomìni e di armi verso l’Iraq. Il regime iraniano ha un secondo obiettivo nell’area: vuole che ogni pratica della regione passi per le sue stanze, che i pochi sì e i molti no alla ricerca di un equilibrio di pace ricevano la benedizione iraniana. Le parole del presidente iraniano hanno come effetto immediato quello di galvanizzare tutti ì gruppi palestinesi (jihad, Hamas, fuoriusciti di Al Fatah) che vedono la pace, o anche una reale e duratura tregua con Israele, come la fine dei loro potere militare, economico, politico e sociale. L’Iran vuole anche creare nuovi problemi interni a Egitto e Giordania: che sono Paesi musulmani, hanno riconosciuto Israele, lavorano perché nell’area ci sia distensione e pace. La sortita del presidente iraniano li mette in difficoltà sia nel lavoro diplomatico, sia nelle loro società dove le frange estremiste musulmane sono organizzate e non perdono occasione per presentare i rispettivi governi come asserviti all’Occidente, agli Stati Uniti e a Israele. Il presidente Ahmadinejad ha rispolverato l’ultranazionalismo di "Corano e Moschetto" anche in funzione delle sue scelte di politica interna. L’arrivo sulla poltrona presidenziale è l’epilogo di una carriera tutta costruita nel nome dell’osservanza del verbo khomeinista: studente di ingegneria ai tempi della crisi degli ostaggi dell’ambasciata degli Stati Uniti (accusato dopo l’elezione di essere tra i guardiani, è stato scagionato da un’inchiesta della Cia, mentre è ancora in corso un’inchiesta a Vienna per accertare il suo ruolo nell’omicidio di un dissidente riparato in Austria), un Phd in ingegneria di trasporti, in divisa sul fronte della guerra Iran-Iraq e, a conflitto finito, incarichi sempre più importanti. E diventato sindaco di Maku, ai confini con la Turchia, poi governatore della provincia nord-occidentale di Ardabil, che gli valse la medaglia di "Governatore Modello” infine sindaco della capitale. Con un parentesi alla testa dei guardiani della Rivoluzione. I 17 milioni di voti che lo hanno messo al posto del riformatore Kharami, Ahmadinejad li ha conquistati con un programma che non può rimangiarsi nel giro di pochi mesi, ma che sarà difficile far rispettare. Per lui, che da sindaco di Tèheran aveva deciso che uomini e donne non potevano usare lo stesso ascensore negli edifici pubblici, è stato facile firmare, in quanto capo del Consiglio supremo della rivoluzione culturale ìraniana, l’edìtto che vieta la proiezione di film stranieri laici, femministi e di propaganda in favore dell’oppressione mondiale". Altrettanto semplice controfirmare un altro editto diretto agli organi di informazione legati al governo che vieta alle giornaliste di tornare a casa dopo le ore I8 "considerato il loro importante ruolo nel perfezionamento della società isiamica ... ". Ma quanto saranno rispettati questi ordini? La prima decisione si scontra frontalmente con la presenza sui tetti delle case iraniane di milioni di parabole sìntonizzate sulle televisioni straniere. La seconda con il desiderio espresso dalle donne attraverso mille piccoli segnali (l’uso dei colori nel vestire, un filo di trucco in ogni occasione, le riunioni all’aperto di ragazzi e ragazze) di non essere schiacciate dalla società del chador obbligatorio. Spingere l’acceleratore sulla morale religiosa e sui costumi del buon musulmano aiuta in questo momento Ahmadinejad a posporre l’attuazione delle promesse più impegnative elargite in campagna elettorale ai milioni di ìraniani poveri e disoccupati, a cui ha fatto sperare in un miglioramento delle condizioni di vita. Si è impegnato a ridistribuire i profitti del petrolio, che quest’anno hanno valso allo Stato introiti per 45 miliardi di dollari, e rappresentano l’80 per cento del valore delle esportazioni e il 60 per cento del bilancio dello Stato. Ma finora quei soldi sono rimasti nei forzieri statali e, soprattutto, delle fondazioní controllate dal clero sciita che manovrano una parte consistente delle aziende pubbliche. Così restano in piedi solo i sussidi a pioggia e la rete di negozi che consente di comprare i generi dì prima necessità a prezzi imposti dall’alto e di gran lunga più bassi di quelli dei regolare circuito commerciale. Anche se Ahmadinejad è stato difeso dalla "guida spirituale" dell’Iran, l’intransigente ayatollah Ali Khamenei che ha detto di ritenere "ingiusto accusare il governo per le aspettative mancate dopo soli quattro mesi dì governo”, le mosse del presidente iraniano hanno innescato una reazione negativa in quella parte di mondo imprenditoriale che non dipende direttamente dalle scelte della politica. Il segnale più forte è venuto dalla Borsa. Il Tepix, il locale indice dei valore delle azioni, è sceso del 20 per cento dalla fine di giugno al 24 ottobre, quando è rimasto poco sopra a quota 10 mila, un livello che potrebbe innescare reazioni emotive al ribasso se la discesa continuasse ancora. Per capire fino in fondo la portata dell’attacco deciso dal presidente iraniano bisognerà attendere ancora qualche settimana . Perché c’è un terzo fronte sul quale Ahmadinejad ha annunciato di voler giocare duro: quello dell’energia atomica. Sta per rientrare nel vivo la partita sul nucleare. Ovvero, cosa si può fare e cosa non si può fare nell’impianto di Isfahan in grado di arricchire l’uranio: il 24 novembre si riunirà il vertice dell’Aiea, l’agenzia che controlla l’applicazione del Trattato di non proliferazione nucleare (firmato anche dall’Iran) per decidere se riprendere con le ispezioni nella centrale iraniana o interessare della questione il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Una scelta, quest’ultima, che punterebbe il dito contro l’Iran facendo intendere che esistono piani (e possibilità) per utilizzare l’uranio non solo a scopi civili, ma anche per costruire ordigni nucleari. A quel punto la partita diverrebbe assai pericolosa. Anche per questo il presidente Ahmadinejad ha scelto di evocare la questione Israele, preparandosi con largo anticipo a recitare la parte della vittima del Grande Satana e del suo "gendarme" in Medio Oriente se la comunità internazionale deciderà di bloccare una volta per tutte i suoi sogni di diventare una potenza nucleare. Antonio Carlucci