Umberto De Giovannangeli, l’Unità, 04/11/2005, 4 novembre 2005
Israele ricorda Rabin e la sua voglia di pace in Medio Oriente, l’Unità, 04/11/2005 Dieci anni fa, un generale che aveva osato aprire la strada della pace veniva assassinato da un giovane estremista di destra che vedeva in lui il traditore di Eretz Israel
Israele ricorda Rabin e la sua voglia di pace in Medio Oriente, l’Unità, 04/11/2005 Dieci anni fa, un generale che aveva osato aprire la strada della pace veniva assassinato da un giovane estremista di destra che vedeva in lui il traditore di Eretz Israel. Quel generale divenuto primo mìnistro di Israele era Yitzak Rabin. Dieci anni dopo, Israele lo ricorda per ciò che è stato e s’interroga su ciò che il premier laburista non riuscì a portare a compimento perché travolto da una campagna di odio che armò se non la mano certo la mente del suo assassino, Yigal Amir. Dieci anni dopo, le parole di pace continuano a perdersi nelle cronache di ordinaria violenza che ancora scandiscono la quotidianità di due popoli. Cronache che, spesso, troppo spesso, raccontano di giovani vite spezzate, israeliane e palestinesi. Spesso, troppo spesso, a morire o a restare feriti gravemente, segnati per sempre, sono bambini. Come Alimed Ismail Khatib, il bambino palestìnese di 12 anni colpito alla testa dai proiettili sparati dai soldati israeliani. Sécondo un portavoce di Tzahal, il bambìno è stato vittima di un tragico errore. L’errore di giocare alla guerra. Perchè il bambino palestinese aveva in mano un fucile. Di plastica. Simile a quello che molti bambini in ogni parte del mondo imbracciano per giocare al soldato. Ma nella martoriata terra di Palestina la guerra non è un gioco. la realtà. La realtà, che non fa nemmeno più notizia, è lo scontro che esplode a Jenin, nel nord della Cisgiordania. Un gruppo di giovani palestinesi improvvisa una barricata e inizia a scagliare sassi contro i soldati israeliani. Questi rispondono prima con i proiettili di gomma, poi con quelli di piombo. "I soldati bersaglio di un fitto lancio di pìetre hanno visto un ragazzo brandire un fucile automatico. Hanno aperto il fuoco e in seguito hanno constatato che si trattativa di un bambino con una pistola giocattolo", dichiara il portavoce dell’esercito israeliano. I familiari dei piccolo Alimed raccontano della felicità del bambino quando aveva ricevuto in dono quella pistola di plastica in occasìone della festa dell’Eid al Fitr, che segna la fine dei mese del Ramadan. Ma quel "tragico errore" racconta di una realtà devastante, di una condizione di sofferenza e alienazione propria di migliaia di bambìni palestinesi cresciuti nella desolazìone dei campi profughi, il cui gioco più ìn voga è quello del lo "shabid" (martire), che trascina con sé nella morte civili inermi. Nel giomo della solidarietà a Israele, è giusto ricordare anche cosa significhi vivere oggi nei Territori. Vivere in quella grande prigione a cielo aperto, isolata dal mondo, che resta la Striscia di Gaza. Vivere all’ombra del "Muro" che spezza in mille frammenti territoriali la Cisgiordania. Vivere patendo umiliazioni ai check-point. E magari morire ad un check-point per un mancato permesso di transito all’ambulanza che trasportava un malato. In questo clima di odio e di violenza la memoria vacilla e cancella la traccia di quel generale che aveva osato stringere la mano a quello che per una vita era stato il suo più fiero nemico. E per questo gesto andò incontro alla morte. Alla maggioranza dei palestinesi nei Territori, Yitzhak Rabin oggi appare un uomo politico di una epoca che non tornerà più. I giovani con meno di venti anni, che compongono una fetta consistente della popolazione, a stento conoscono il nome dell’uomo che perse la vita nella battaglia più difficile: quella della pace. "Mio padre faceva spesso il suo nome qualche anno fa", dice Rafat Abdul Hadi, 19 anni, di Rarnallah: "Invece - aggiunge - conosco molto bene Sharon, il ministro della,difesa Mofaz, e quello che fanno contro noi palestinesi". Umberto De Giovannangeli