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 2005  novembre 03 Giovedì calendario

L’ascesa del pasdaran senza qualità. La Stampa 03/11/2005. Poco più di tre mesi fa, in un pomeriggio terribilmente afoso alla vigilia del ballottaggio presidenziale Mahmoud Ahmadinejad comparve in un auditorium di Teheran che da un paio d’ore ribolliva in sua attesa e dove anche la temperatura politica s’era fatta incandescente

L’ascesa del pasdaran senza qualità. La Stampa 03/11/2005. Poco più di tre mesi fa, in un pomeriggio terribilmente afoso alla vigilia del ballottaggio presidenziale Mahmoud Ahmadinejad comparve in un auditorium di Teheran che da un paio d’ore ribolliva in sua attesa e dove anche la temperatura politica s’era fatta incandescente. Nelle poltrone del centro come da tradizione sedevano gli uomini, donne e ragazze velate erano arrampicate ai margini su una sorta di loggione, però poco prima il pubblico femminile in apparenza marginale era stato accompagnato da ordinate colonne di autobus, mentre decine di addetti distribuivano fra il pubblico acqua fresca e «tetrapak» con succo d’arancia gelato. Il candidato alla presidenza, l’ex «outsider» divenuto sfidante si era fatto precedere da una valanga di «spot» intervallati di filmati e stacchi musicali tanto che quando finalmente apparve alla platea per qualche momento risultò difficile distinguere fra immagine e presenza, slogans uditi nelle registrazioni e slogans recitati personalmente. Per chi scrive quello fu il momento in cui l’imminente vittoria del giovanotto barbuto, l’incredibile affermazione del figlio del fabbro ferraio, apparve chiara e l’intuizione venne trasferita in un articolo che confusamente cercava di mettere a fuoco elementi contraddittori. Ancora oggi questo è il primo punto da chiarire per chi volesse addentrarsi nella fenomenologia del presidente-operaio, del presidente mujahed, del presidente-sindaco divenuto improvvisamente autocrate incendiario. Anche allora, in quel consesso, la comunicazione risultava secca, quasi primitiva: «Israele non ha diritto di esistere - diceva più o meno il leader - l’Occidente tenta di strangolarci, dobbiamo riappropriarci delle nostre risorse petrolifere e distribuirne le risorse fra la nostra gente, aiutando i Paesi fratelli». Anche allora però un genere di comunicazione rozzo e immediato s’intuiva introdotto e sorretto da un grande e dispendioso lavoro di preparazione, da un apparato mediatico molto moderno, addirittura sofisticato, quello che forse oggi costituisce la vera novità della politica iraniana. Da quando ai primi di agosto ha ricevuto l’investitura presidenziale apparentemente Ahmadinejad è rimasto l’uomo che era, cioè persona piccola dalla barba incolta, spesso vestita con camicia e maglione circondati dallo «shal», ovvero la sciarpetta di chi ha combattuto con i mujaheddin, e che di preferenza ancora calza quegli stivaletti in similpelle che consentirono oceaniche avanzate delle orde umane che alle armi di Saddam Hussein opponevano la propria carne. Ufficialmente (anche se la cosa è poco credibile, se non altro per ragioni di sicurezza) ancora oggi Ahmadinejad non occupa appartamenti presidenziali e continua ad abitare il modesto alloggio di Narmak in una delle zone proletarie di Teheran, la sua vettura personale resta una «Peykan» bianca, spartano esempio di autocrazia automobilistica, anche se ragioni istituzionali lo costringono a girare scortato. Eppure oltre l’immagine qualcosa nel suo modo d’essere è cambiato, i vertici della Repubblica Islamica dell’Iran se ne sono accorti proprio in questi giorni. Il paradosso istituzionale di uno Stato petrolifero e khomeinista, fondato su un’organizzazione civile parallela alle decisioni degli ayatollah ma ad essa subordinata il caso di intersezione, col figlio del fabbro si sta realizzando in pieno. In questi ultimi giorni, non pago delle reazioni scatenate dalle sue dichiarazioni nel mondo, il nuovo presidente ha fatto «saltare» cinque o sei fra ambasciatori e incaricati d’affari dalle sedi più utili e prestigiose, con questo interrompendo i contatti con l’Occidente più ancora di quanto avrebbe fatto se avesse ripetuto in mondovisione il proposito di cancellare Israele dalla faccia della terra. «Finora il buon Ahmadinejad è stato dipinto solo come genero del potente ajatollah Alì Jannati, che a sua volta nel Consiglio dei Guardiani rappresenta la destra religiosa più intransigente», ci spiega una persona coinvolta in questo improvvido repulisti, «ma da qualche tempo ha preso ad agire da solo, in pubblico mantiene l’approccio populista però in privato si rivela intollerante e vendicativo. Se qualcuno avanza obiezioni alla sua sequela di frasi fatte, tutte ricavate dai libri di Khomeini, lui taglia corto, sta facendo fuori tutti coloro che non l’avevano appoggiato nelle elezioni e soprattutto tutti quelli che cercano di placarne gli ardori». Soprattutto, sono pochissimi a saperlo, Ahmadinejad è il solo presidente dell’Iran che abbia preteso nel suo studio una doppia scrivania. Accanto a lui lavora tutti i giorni Mesbah Jazdi, suo vecchissimo amico personale, già direttore dell’«ufficio per la scelta dei dipendenti» al ministero degli Esteri, anch’egli integralista e fedele agli insegnamenti degli ayatollah di Qom però più colto e preparato, e si direbbe ancora più estremista.