La Stampa 04/11/2005, pag.2 Emanuele Novazio, 4 novembre 2005
Martino: in Iran terroristi di Al Qaeda. La Stampa 04/11/2005. Roma. Gianfranco Fini non c’era, alla fiaccolata di ieri sera davanti all’ambasciata iraniana: «Per senso di responsabilità istituzionale e per non dare pretesto o alibi alcuno, per quanto immmotivato, ai fautori dell’istigazione all’odio», spiega il ministro degli Esteri e vice premier
Martino: in Iran terroristi di Al Qaeda. La Stampa 04/11/2005. Roma. Gianfranco Fini non c’era, alla fiaccolata di ieri sera davanti all’ambasciata iraniana: «Per senso di responsabilità istituzionale e per non dare pretesto o alibi alcuno, per quanto immmotivato, ai fautori dell’istigazione all’odio», spiega il ministro degli Esteri e vice premier. Fini - che alla vigilia aveva annunciato la sua partecipazione - ha cambiato idea nel pomeriggio. All’indomani del colloquio tra il presidente del Consiglio e l’ambasciatore iraniano Ghasemi, nella cena organizzata a Villa Madama in occasione della fine del Ramadan, e mentre da Teheran - dove duecento persone hanno manifestato ieri per ore davanti all’ambasciata d’Italia - rimbalzavano notizie allarmanti sulla possibilità di un’occupazione della nostra sede diplomatica. «Ho serie e motivate ragioni per ritenere che la mia presenza fisica, quale ministro degli Esteri, potrebbe determinare da parte iraniana conseguenze lesive dei nostri interessi nazionali e della sicurezza dei connazionali», sostiene il capo della nostra diplomazia in un comunicato, nel quale conferma comunque di «essere lealmente a fianco» di quanti esprimono «il loro sdegno per le intollerabili minacce di Teheran all’esistenza dello Stato di Israele». «Mi auguro», conclude il ministro, «che questa mia sofferta decisione renda ancor più chiara la vera natura del regime iraniano». Il passo indietro di Fini è saggio, e non hanno mancato di sottolinearlo il presidente del Consiglio Berlusconi, che fin dall’inizio aveva escluso di partecipare («Gli faccio i complimenti per il senso di responsabilità») e il ministro degli Interni Pisanu («Ha fatto prevalere gli interessi generali del Paese su ogni altra considerazione politica, merita rispetto e apprezzamento»). L’irrituale «presenza fisica» del ministro degli Esteri in via Nomentana avrebbe lanciato a Teheran un segnale controproducente, togliendo alla nostra diplomazia l’arma della mediazione. I timori di ritorsioni anche violente hanno certo pesato: la Farnesina avrebbe informazioni precise su «minacce gravi e circostanziate» nei confronti del personale della nostra legazione. Gli ordigni esplosi l’altro ieri davanti alla sede di due aziende britanniche - che hanno spinto il governo di Londra a richiamare in patria il personale della propria ambasciata - sono stati del resto considerati dal vice ministro degli Interni di Teheran «una risposta alle posizioni assunte da alcuni Paesi contro la Repubblica islamica». Secondo notizie rimbalzate a Roma da Teheran, inoltre, nelle ultime ore sarebbero state minacciate di occupazione le rappresentanze italiana, francese, britannica e tedesca, evocando lo spettro dell’assedio alla sede diplomatica americana cominciato il 4 novembre del 1979 e durato 444 giorni. Sulla decisione di Fini hanno influito anche valutazioni economiche. Secondo fonti italiane, due giorni fa il vice presidente iraniano Parviz Davudi ha invitato il nostro ambasciatore a Teheran, Roberto Toscano, a ricordare al governo di Roma che «l’Italia è il primo partner commerciale in Europa della Repubblica islamica», con un interscambio di 4 miliardi di euro l’anno. La partecipazione di Fini avrebbe comunque assunto il significato di una rottura nella nostra politica estera, che nell’Iran sciita non vede soltanto un importante partner economico ma individua anche un riferimento «strategico». Non è un caso che i nostri soldati in Afghanistan e in Iraq presidino zone sciite: Teheran ha fornito alla nostra presenza militare nei due Paesi una sorta di garanzia, che poggia sulla linea avviata dall’Italia con lo sdoganamento della Repubblica islamica da parte del ministro degli Esteri Dini nel 1998. Anche i ministri Martino (Difesa), Castelli (Giustizia), e Tremaglia (Italiani nel mondo) hanno rinunciato alla fiaccolata - all’ultimo momento e «con estremo rammarico» - uniformandosi alle decisioni di Palazzo Chigi e della Farnesina. In un’intervista televisiva diffusa in precedenza, Martino ha sollevato nuovi interrogativi sulle minacce rappresentate dall’Iran, accusandolo di ospitare «terroristi ricercati di Al Qaeda». «Sono in piena libertà sul suo territorio, hanno trovato un rifugio dove andare a nascondersi», denuncia il responsabile della Difesa, che sostiene di non credere «all’efficacia di un embargo» nei confronti di Teheran: «Rischierebbe di avere «conseguenze opposte a quelle desiderate: se non ci fosse l’embargo, il potere di Fidel Castro a Cuba sarebbe probabilmente finito». Emanuele Novazio