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 2005  novembre 04 Venerdì calendario

ERAVAMO LA BUONA OPZIONE

la Stampa 04/11/2005. NEI primi del 1979, al tempo della rivoluzione khomeinista che istituì in Iran l’attuale Repubblica Islamica, l’Ambasciata d’Italia distribuì ai connazionali che si trovavano a Teheran una maglietta recante, in persiano, la scritta «sono italiano». Chi indossava quella maglietta non veniva molestato ed era trattato meglio degli altri occidentali. Oggi, purtroppo, chi indossasse una simile maglietta rischierebbe di passare molti guai.
L’episodio della maglietta serve a capire la natura delle relazioni economiche, sopravvissute al passaggio dal regime dello Shah a quello degli ayatollah e ora messe in forse dai discorsi incendiari del presidente iraniano. Iraniani di ogni convinzione politica o religiosa hanno a lungo visto nell’Italia il paese occidentale «buono» che si contrapponeva ai «cattivi» per eccellenza: gli inglesi prima e gli americani poi.
L’Eni, infatti, presente in Iran dal 1957, rappresentò un’alternativa credibile al predominio petrolifero anglosassone con i suoi innovativi contratti che garantivano al paese proprietario delle riserve il 75 per cento del ricavato dalla vendita del greggio estratto, contro il 50 per cento offerto da inglesi e americani. L’Eni, inoltre, costituì le prime «società miste», esempio concreto di collaborazione tra grandi compagnie e governi dei paesi produttori di greggio. Così la «bontà» italiana si è tradotta in solidissimi legami economici che hanno avuto sviluppi recenti con l’affidamento all’Eni, circa un anno fa, del grande giacimento di gas naturale di South Pars e di quello petrolifero di Darquain, inaugurato appena quattro mesi fa.
L’Eni aprì la strada ad altre società e gruppi italiani. Negli anni dello Shah gli italiani costruirono, tra l’altro, il porto di Bandar Abbas, chiave dell’espansione economica verso il Golfo, e, dopo un raffreddamento dei rapporti negli anni roventi della rivoluzione e la sistemazione di pagamenti arretrati, imprese italiane parteciparono largamente al nuovo sforzo di industrializzazione: il complesso siderurgico di Isfahan fu in gran parte opera della Danieli, i complessi petrolchimici di Arak e di Tabriz, la raffineria di Bandar Khomeini sono un esempio del forte impegno italiano e dei buoni rapporti con Teheran. Al di là di questi settori tradizionali, uno sviluppo recente è quello della Fiat, il cui modello Siena dovrebbe essere tra breve messo sul mercato con un partner iraniano.
Per numerosi settori industriali italiani, per i quali i grandi lavori all’estero assumono grande importanza, l’Iran ha rappresentato per decenni un punto di riferimento importante; e come tale è stato riconosciuto dai vari governi italiani che hanno in buona parte garantito le imprese dal rischio politico elevato di quel paese. Nel 1998 il Mediocredito aprì una linea di finanziamento alle esportazioni italiane di ben cinquemila miliardi.
Essendo l’Iran colpito da embargo americano e quindi sostanzialmente interdetto alle imprese di quel paese, il governo di Teheran ha puntato molto su legami commerciali con l’Europa, importanti per noi ma probabilmente vitali l’Iran. Per questo, l’uscita «a freddo» contro Israele non può non lasciare perplessi: da un punto di vista economico, gli iraniani rischiano di farsi molto male con le loro stesse mani.
Mario Deaglio