La Repubblica 31/10/2005, pag.1-8 Timothy Garton Ash, 31 ottobre 2005
Nello Stato degli Ayatollah. la Repubblica 31/10/2005. Il sistema politico della Repubblica Islamica dell´Iran è incredibilmente complesso e al tempo stesso estremamente semplice
Nello Stato degli Ayatollah. la Repubblica 31/10/2005. Il sistema politico della Repubblica Islamica dell´Iran è incredibilmente complesso e al tempo stesso estremamente semplice. Il paese ha almeno due governi paralleli: una struttura statale formale, semidemocratica, con a capo il presidente Mahmoud Ahmadinejad, e una struttura di comando ideologico-religiosa cui presiede il Leader Supremo, l´Ayatollah Ali Khamenei. Vi sono poi diversi centri di potere formale e informale, che comprendono i partiti politici, i ministeri, le Guardie Rivoluzionarie e la milizia Basij, che può vantare milioni di aderenti, e la cui mobilitazione ha costituito un fattore cruciale nell´elezione di Ahmadinejad. Vi sono poi mafie etniche o regionali, numerosi servizi di informazione, agenzie per la sicurezza e corpi di polizia: diciotto in tutto, secondo una conta recente. Non ci si deve dunque stupire se i politologi iraniani azzardano termini come "poliarchia", "oligarchia elettiva", "semidemocrazia", o "neopatrimonialismo". Eppure, più il mio soggiorno si allungava, più sentivo che l´essenza del regime è tutto sommato alquanto semplice. Al fondo, la Repubblica islamica è pur sempre una dittatura ideologica. I princìpi che la strutturano si possono esprimere in quattro semplici frasi: 1) esiste un solo Dio e Maometto è il suo Profeta; 2) Dio sa cosa è bene per uomini e donne; 3) il clero islamico, e specialmente i giuristi che interpretano la legge islamica, sono i soli a sapere ciò che Dio vuole; 4) in caso di dispute tra i giuristi, la decisione finale spetta al Leader supremo. il sistema inventato dal Grande Ayatollah Ruhollah Khomeini, il quale lo giustificava in virtù di un´interpretazione radicalmente nuova del concetto islamico di velayat-e faqih, che si traduce di solito con l´espressione "governo del saggio". Il sistema, occorre sottolinearlo, non fa parte dell´Islam: è khomeinismo. Non esisterebbe se non ci fosse stato quell´uomo anziano, il cui ritratto arcigno ti osserva ovunque in Iran, sebbene sia ora accompagnato dalla figura occhialuta del suo successore ed epigono, il Leader supremo Ayatollah Khamenei. Khomeini è stato il Lenin e lo Stalin della rivoluzione islamica. Il sistema che ha creato ha molti punti in comune con lo stato-partito comunista. Nel khomeinismo, il principio del "governo del saggio" assolve le stesse funzioni del "ruolo guida del partito" nei regimi comunisti. Anche in Iran esistono infatti gerarchie parallele di poteri ideologici e politici, dove i primi schiacciano sempre i secondi. La componente ideologica della Repubblica islamica è quasi del tutto non democratica: il Leader supremo è assistito da un Consiglio dei Guardiani, un sistema giuridico islamico e un´Assemblea di Esperti, tutti dominati dal clero conservatore. Le istituzioni statali sono più democratiche, e vi è una vera, anche se limitata, competizione politica. Tuttavia, il Consiglio dei Guardiani può arbitrariamente dichiarare non eleggibili migliaia di candidati alle elezioni parlamentari, il regime controlla tutti i canali della televisione di stato, e le forze di sicurezza, come a esempio le milizie dei Basij, possono mobilitare e intimidire gli elettori: non si può dunque parlare seriamente di elezioni libere in Iran. Al pari degli stati-partito comunisti, esiste una forte lotta tra fazioni, che a volte gli osservatori occidentali considerano erroneamente come forme di pluralismo. Diversamente dai regimi comunisti, le fazioni fanno appello agli elettori per rafforzare le proprie posizioni. Così, Ahmadinejad ha avuto buon gioco nel presentarsi agli elettori come un buon puritano estraneo al sistema, mentre ne è parte integrante, collaborando direttamente con Khamenei e il Consiglio dei Guardiani. Il suo antagonista nel secondo turno, l´ex-presidente Hashemi Rafsanjani, era screditato in quanto membro del gruppo dei mullah al potere, che godono di una riprovazione pressoché unanime. «Anche un bastone avrebbe vinto contro Rafsanjani», mi diceva un uomo politico iraniano. Rasfanjani taccia ora di poco diplomatico il discorso in stile rivoluzione islamica tenuto alle Nazioni Unite da Ahmedinejad. Eppure, lui stesso rimane alla guida del potente Consiglio che media tra la gerarchia non democratica e il semidemocratico parlamento. La scorsa estate, fu Rafsanjani a dichiarare che «il sistema [nazam] ha deciso» la ripresa del trattamento dell´uranio. Quando un responsabile politico utilizza il termine nazam, "il sistema", tutti sanno che intende riferirsi alla gerarchia ideologica, fino a includere il Leader supremo: il rappresentante di Dio in terra. In uno stato-partito comunista, la linea del partito la si trovava sulle pagine della Pravda o del Neues Deutschland. Nello stato-mullah islamico, la "linea degli imam" viene impartita nel corso della preghiera del venerdì. Ho assistito a due cerimonie, la prima nella favolosa moschea di Isfahan, poi, la settimana successiva, all´Università di Teheran, piena di poliziotti. In entrambe le occasioni un membro dell´alto clero islamico, a Teheran lo stesso presidente del Consiglio dei Guardiani, ha pronunciato un´omelia fulminante, denunciando in particolare l´America e l´Inghilterra. A Teheran il discorso è terminato tra cori ben orchestrati di grida di "Abbasso l´America", "Abbasso Israele", "Abbasso i nemici del Governo del saggio". Come si può trasformare un simile regime, meglio, come si può riformarlo, come preferiscono dire gli iraniani che ho incontrato? Sono rimasto davvero impressionato dalla vivacità del dibattito. Mentre molti iraniani sono chiaramente stanchi dell´Islam che sono costretti a ingurgitare come religione di stato, non ho mai percepito che l´ideologia islamica fosse considerata lettera morta, come accadeva per il comunismo nell´Europa centrale degli anni ´80. Tutto il contrario. A Qom, la capitale ideologica del khomeinismo, ora sede di circa duecento istituzioni di ricerca islamica, ho incontrato un gruppo di studiosi di filosofia politica islamica. Perché, ho chiesto, l´Islam non sarebbe compatibile con uno stato liberal-democratico, come accade in Turchia? Mohsen Rezvani, un giovane filosofo in toga e turbante da mullah, mi ha fatto osservare che l´Islam è «antropologicamente, teologicamente ed epistemologicamente» incompatibile con la democrazia liberale. Antropologicamente, perché la democrazia liberale si fonda sull´individualismo; teologicamente, perché esclude Dio dalla sfera pubblica; epistemologicamente, perché si fonda sulla ragione e non sulla fede. E non nascondeva la propria simpatia per i fondamentalisti religiosi neoconservatori americani, che dimostrava di conoscere piuttosto bene. Va tuttavia detto che questo Wolfowitz di Qom è stato immediatamente contraddetto da altri intorno al tavolo, che citavano modernisti islamici per sostenere che l´Islam è compatibile con uno stato laico. Vi sono poi molti esponenti della sinistra laica e liberale che erano contro lo Scià ma non presero parte alla rivoluzione islamica. Ora lavorano in diverse Ong, nell´editoria, nelle università, persino nel cinema, che spesso produce pellicole elettrizzanti. Un liberale laico molto noto in occidente è il dottor Ramin Jahanbegloo, autore di un libro di conversazioni con Isaiah Berlin, che ha portato a Teheran pensatori come Jürgen Habermas, Richard Rorty e Antonio Negri, accolti in sale da duemila persone. L´Iran è un paese antico, con 2500 anni di storia. al tempo stesso un paese straordinariamente giovane. Dei settanta milioni di abitanti, due terzi hanno meno di trent´anni. Il che, in parte almeno, è la conseguenza di una politica di natalità perseguita negli anni ´80, e sostenuta dall´invito a rimpiazzare i milioni di martiri morti nel conflitto Iran-Iraq. Le coppie patriottiche che avevano più di cinque figli erano premiate con un pezzo di terreno per costruirvi la casa. La propaganda del regime chiama questi bambini e giovani "i soldati dell´imam nascosto". Il regime ha impiegato venticinque anni nel tentativo di plasmare questi giovani iraniani all´ideologia antiamericana, antioccidentale e antisraeliana. Il risultato è che la maggior parte non ne può più dell´Islam (almeno nella forma di religione di stato), è piuttosto filoamericana, ed esprime una curiosità amichevole verso Israele. Molti sognano di vivere in America, e non pochi hanno salutato con favore l´invasione dell´Iraq, sperando che avrebbe portato democrazia e libertà alle soglie di casa. Constatano ora che l´invasione ha finito col favorire gli sciiti del sud dell´Iraq, e si fanno gioco di Bush chiamandolo "il tredicesimo imam". In questa situazione, chi e cosa potrebbe dare nuova popolarità al regime, specialmente fra i giovani? «Solo gli Stati Uniti», mi diceva un analista politico locale. Se Stati Uniti e Inghilterra saranno in grado di ridurre il pericolo atomico iraniano senza danneggiare il processo di democratizzazione del paese, se saranno in grado di sviluppare politiche atte a favorire la crescita dell´emancipazione sociale e forse della liberazione di questa Giovane Persia, allora le prospettive di lungo termine saranno buone. La rivoluzione islamica, come in passato la francese e la russa, non ha perso tempo a divorare i propri figli: un giorno, i suoi nipoti divoreranno la rivoluzione. Timothy Garton Ash