La Repubblica 04/11/2005, pag.1 Lucio Caracciolo, 4 novembre 2005
La linea rossa della fermezza. La Repubblica 04/11/2005. L´Italia è famosa nel mondo per i giri di valzer
La linea rossa della fermezza. La Repubblica 04/11/2005. L´Italia è famosa nel mondo per i giri di valzer. Non siamo abituati ad occupare la linea del fronte. Per una volta, la fiaccolata promossa dal Foglio davanti all´ambasciata d´Iran a Roma, che ha raccolto uomini e donne dei più vari orientamenti politici in difesa del diritto ad esistere dello Stato ebraico, ci ha collocato all´avanguardia della protesta internazionale contro i minacciosi proclami di Mahmud Ahmadi-Nejad. Se n´è accorto anche il regime di Teheran. Fra moniti e ammiccamenti (se tirate la corda perderete un bel mucchio di affari), l´Iran ha scatenato un fuoco di sbarramento diplomatico e retorico contro il nostro paese. Cogliendo di sorpresa lo stesso Berlusconi, colpevole non solo di aver respinto – peraltro senza enfasi – le giaculatorie antisraeliane e antioccidentali del presidente iraniano, ma di appoggiare una manifestazione di "propaganda sionista". Spiazzato dalla reazione iraniana, nel governo è riemersa una vena dilettantistica. Prima ha trattato la schermaglia con l´Iran quasi come un attacco all´Italia. Poi ha richiamato al senso di responsabilità istituzionale qualche ministro che si era spinto ad annunciare la sua presenza alla fiaccolata, convincendolo a ritornare precipitosamente sui suoi passi per non mettere altra benzina sul fuoco. E´ il caso di Gianfranco Fini, che ha motivato la sua "sofferta" rinuncia con la necessità di non mettere a repentaglio gli "interessi nazionali" e la sicurezza dei nostri connazionali, in Iran e non solo. Quanto all´opposizione, i sottili distinguo di parte della sinistra le hanno impedito di presentarsi compatta all´appuntamento. A conferma che su alcuni decisivi temi di politica estera – e non solo – non esiste un comune denominatore che possa guidarne l´azione. Della protesta di ieri sera si potrà tentare una lettura cinica. L´eterogeneità delle forze politiche che hanno risposto all´appello dei fiaccolanti consente interpretazioni maliziose. Un minuto prima e un minuto dopo il raduno, ciascuno rappresentava visioni del mondo e del Medio Oriente diverse, talvolta contrapposte. Ma al di là delle manipolazioni di bassa cucina politicienne, se qualcuno in Italia fissa una linea rossa, e di lì non si muove, non può che rendere un servigio al difficile recupero di credibilità del nostro paese. Quella gran parte di opinione pubblica che ieri sera era rappresentata dai manifestanti per il diritto alla vita di Israele ha difeso un irrinunciabile principio di civiltà e ha collocato l´Italia da una parte – e una parte sola – della barricata. Di qui a fissare una concreta risposta all´altezza della sfida neofondamentalista, molto ne corre. Quando dai principi si passa alla politica, cioè a come rispondere alla sfida di Ahmadi-Nejad, si entra in una zona grigia. Non solo in Italia. Americani, europei, gli stessi israeliani non hanno una ricetta. Anche perché non sono unanimi sulla diagnosi. Quanto è concreta la minaccia iraniana? Quanto è lontana la sua bomba atomica? E soprattutto, si può ancora evitare che cada nelle mani dei pasdaran? Qui tocchiamo l´ipocrisia di fondo della politica nucleare dell´Occidente. Sul piano dei principi, chi ha già l´atomica proclama la necessità di impedirne la proliferazione come criterio universale. Passando all´ordine del giorno, stabilisce che il problema non è la bomba in sé, ma chi ce l´ha. Negli anni Sessanta e Settanta il governo americano non solo non aveva nulla da eccepire contro i programmi nucleari dello scià, ma li sosteneva. Eppure, quel regime filo-occidentale voleva la bomba per la stessa ragione per cui la agognano i mullah e i pasdaran: fare dell´Iran la massima potenza del Grande Medio Oriente. Forse converrebbe calarsi dall´empireo dei postulati inapplicabili alle necessità pratiche dell´oggi. Almeno eviteremmo di esporci alle accuse di doppiezza di chi la bomba non ce l´ha ma vorrebbe farsela. La questione è tutta politica, non tecnica né giuridica. E siccome è questione di vita o di morte, va manipolata con speciale accortezza e con sapiente pragmatismo. Nel caso specifico, sappiamo che difficilmente l´Iran potrà disporre della bomba prima di cinque anni, anche se il punto di non ritorno tecnologico potrebbe essere superato già nella prossima primavera. Restano pochi mesi per stabilire se e come impedirlo. L´opzione militare, studiata nei dettagli dagli esperti americani e israeliani, è estremamente rischiosa e quasi sicuramente inefficace. La pressione diplomatica, sviluppata da francesi, tedeschi e britannici (noi ci siamo abilmente autoesclusi, non si capisce bene perché) con il supporto americano, non sta producendo frutti. Le sanzioni economiche e diplomatiche, ammesso che Russia e Cina non usino del loro diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza, possono rivelarsi un´arma a doppio taglio quando sotto tiro è un grande produttore di petrolio, specie in tempi di prezzi energetici fuori controllo. L´alternativa è affidarsi alla paziente arte della politica, a un negoziato che si annuncia faticoso, forse inutile. Ma è il minore dei mali possibili. Fissata la linea rossa della difesa del diritto all´esistenza di Israele – cioè stabilito che se gli iraniani un giorno volessero passare dalle parole ai fatti pagherebbero un prezzo definitivo – occorre anzitutto ricomporre il fronte delle maggiori potenze e, per quanto ci riguarda, dei paesi europei. Se l´Europa esistesse davvero, avrebbe già convocato un vertice straordinario dei Venticinque per deliberare una posizione comune sulla crisi con Teheran. Altrimenti non resterebbe che sperare nei misteri della mentalità iraniana, spesso inaccessibile a noi occidentali. Come scriveva Lord Curzon oltre un secolo fa nel suo voluminoso studio sulla Persia: "Le vie degli orientali non sono le nostre vie, né i loro pensieri i nostri pensieri". Lucio Caracciolo