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 2005  novembre 03 Giovedì calendario

Canto l’armi pietose... Comincia così La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, di certo il più bello e grandioso poema mai dedicato alle Crociate in Terra Santa

Canto l’armi pietose... Comincia così La Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, di certo il più bello e grandioso poema mai dedicato alle Crociate in Terra Santa. La prima, per la precisione. Quella con Goffredo di Buglione che prende Gerusalemme, di solito anche l’unica che si ricorda bene fin dai banchi di scuola. Certo che ”pietose”, queste armi, non sembrano proprio. Soprattutto se si guarda l’ultimo film del regista Ridley Scott (Le Crociate, appunto), che ripropone l’epopea dei cavalieri sugli schermi moderni. Ma pietas, in latino, ha un significato che un po’ si discosta dalla nostra ”pietà”. Significa – grosso modo – ”religioso, rispettoso della volontà divina”. A leggerla così, le cose cambiano. E di molto. E così, quella che al lettore può apparire come un insensato spargimento di sangue, acquista significati nuovi, a volte difficili da immaginare. Dio lo voleva, insomma. A predicarlo fu il ponteficie Urbano II (1040-1099): «Vi induco, anzi non son io a farlo, ma è Dio che lo vuole, a persuadervi con incitamenti come banditori di Cristo, tutti, di qualsiasi ordine, cavalieri e fanti, ricchi e poveri, affinché accorriate a sovvenire ai cristiani per cacciare dalle nostre terre quella razza maligna». La razza maligna, va da sé, erano gli Arabi, che nel 638 avevano conquistato Gerusalemme e nel 687 avevano dato inizio alla costruzione della splendida moschea di Omar, dal nome del califfo che li aveva guidati. Da quei tempi fino a Urbano II, erano trascorsi quattro secoli piuttosto tesi, nei rapporti tra Occidente e Oriente. Se si esclude la battaglia di Poitiers (732), in cui Carlo Martello aveva fermato l’avanzata degli Arabi in Francia, in Europa le cose non volgevano per il meglio. Con toni infuocati, il pontefice proseguiva: «Io lo dico ai presenti e lo comando agli assenti, ma è Dio che lo vuole. Per tutti coloro che si metteranno in viaggio, se morissero lungo la strada o durante la traversata, in battaglia contro gli infedeli, vi sarà un’automatica remissione dei peccati: e ciò io accordo a quanti partiranno, per l’autorità che Dio mi conferisce». «Insomma, il cavaliere e il soldato erano diventati un’autentica militia Christi, un esercito di Cristo», commenta Antonella Pellettieri, del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), nonché del comitato organizzatore e promotore della mostra internazionale e itinerante ”Crociate. Mito e realtà”, ospitata in Basilicata, al Castello di Lagopesole (Potenza) dal 24 giugno scorso al 23 settembre. «Potevano combattere – cosa che era il loro mestiere – e nel contempo salvarsi l’anima. Diventare martiri, come i primi Cristiani. La qual cosa condurrà all’istituzione degli ordini cavallereschi. Quello dei Templari, d’origine francese; quello Teutonico, d’origine tedesca; quello dei Giovanniti, d’origine italiana, che poi sfocerà nei Cavalieri di Malta». Soldati e militari sì, quindi, ma non solo. Erano molto di più che uno scudo e una spada. I cavalieri che appartenevano a tali Ordini erano veri e propri monaci, in teoria (e a volte in pratica) a tutti gli effetti. E, come quest’ultimi, avevano i loro voti di castità, povertà e obbedienza. Unica non trascurabile differenza: potevano difendere con le armi i Luoghi Santi contro gl’infedeli. Ma non solo: molti, ligi all’Ordine originario, prestavano aiuto e assistenza anche ai musulmani, curando umilmente e amorosamente anche i nemici. « questo momento d’incontro tra le due culture, quella occidentale e quella orientale, che senza dubbio costituisce il lato più interessante e innovativo della mostra. L’intenzione del comitato promotore, infatti, è gettare luce su quali interscambi avvennero, soprattutto positivi, durante quegli anni sanguinosi. Le Crociate furono ben otto, ma sarebbe un errore leggerle soltanto come un ininterrotto massacro». La storia è questa: per oltre due secoli, un’imponente massa di militi e pellegrini percorse gli itinerari di terra e di mare per raggiungere il Santo Sepolcro e liberarlo. «Le tracce di tale passaggio sono state tramandate da numerosi oggetti di cultura materiale: le architetture militari, i grandi castelli ”crociati”, punti di riferimento per i cavalieri che raggiungevano Gerusalemme e sede degli Ordini cavallereschi», conclude Antonella Pellettieri. «I manufatti di terracotta che mostrano la reciproca influenza tra arte islamica e occidentale, nonché numerose tracce nella storia delle ideologie e della religiosità». Come dire che non fu tutto sangue e violenza. «Le otto Crociate ufficialmente riconosciute e volute dai papi nascono all’insegna del concetto di ”guerra santa”», conclude la studiosa. «Ma lasciano un’eredità che si pone in completa contraddizione con la guerra e il fanatismo. Le due civiltà del Mediterraneo, insomma, riuscirono comunque a trovare punti d’incontro ed elementi d’unione». Cosa che, al giorno d’oggi, suona come un augurio e una speranza.