Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  novembre 03 Giovedì calendario

Gli antichi romani avevano già capito tutto: relegavano gli affari (negotia) alla mattina e i lavori materiali a schiavi e liberti

Gli antichi romani avevano già capito tutto: relegavano gli affari (negotia) alla mattina e i lavori materiali a schiavi e liberti. Così pomeriggio e sera erano dedicati completamente agli otia, cioè a passeggiare, chiacchierare, farsi un bagno alle terme, cenare in compagnia di amici, dedicarsi ad attività intellettuali (lettura, scrittura, corrispondenza) o ludiche (giochi all’aria aperta o spettacoli). A chi verrebbe in mente di interrompere una vita del genere per una ”vacanza”? Al limite, chi poteva (i ricchi) lasciava per un po’ la città e trasferiva le proprie attività (otia compresi) nella villa al mare o in campagna, meglio se vicino a una località termale. Ma le vacanze e le ferie, fino a meno di un secolo fa, sono sempre state riservate a pochi privilegiati e gli italiani sono stati tra gli ultimi a inserire il concetto di viaggio di piacere nel proprio vocabolario. Del resto, in passato si è sempre viaggiato molto, ma i motivi erano sempre gli stessi: guerre, pellegrinaggi, affari e studio. Niente a che fare con il concetto di piacere. Solo durante il Rinascimento, il viaggio comincia a rappresentare la libertà dell’individuo: si parte per godere dell’arte e Roma, già meta di ogni pellegrinaggio, diventa l’approdo ideale per ogni cristiano di buona cultura, soddisfacendo, con le sue bellezze artistiche, sia le esigenze dell’anima che quelle dell’estetica. Nel Seicento l’Italia comincia a scoprire la sua vocazione turistica con la moda del Grand Tour, un viaggio di circa tre anni che portava in giro per l’Europa i rampolli inglesi, ma anche austriaci, francesi, tedeschi, polacchi e russi destinati a incarichi di prestigio: l’itinerario più classico prevedeva un lungo soggiorno a Parigi e nel resto della Francia, per poi rientrare attraverso la Svizzera, la Germania e i Paesi Bassi. In mezzo, un intero anno in Italia, che era considerato imprescindibile dagli istitutori: Milano, Verona, Padova, Ferrara, Venezia, Bologna, Firenze e Roma, un breve soggiorno a Napoli e il ritorno attraverso l’Umbria, le Marche e l’Emilia-Romagna. La futura classe dirigente europea imparava così a ”vivere”: frequentava l’università, assimilava i comportamenti più raffinati, ammirava da vicino i tesori dell’arte e dell’architettura e si confrontava con la diversità, dalle varie forme di governo ai climi più insospettati. Il tutto veniva raccontato in resoconti e diari di viaggio curati nei minimi particolari (il Viaggio in Italia di Goethe ne è un esempio), che possono essere considerati a buon diritto i precursori delle guide turistiche, vero fenomeno editoriale a partire dal XIX secolo. Fu così che l’Italia divenne ”il” Paese da visitare, per le sue bellezze artistiche e naturalistiche, ma anche per il buon carattere dei suoi abitanti. Ma parliamo sempre di un fenomeno d’importazione, come quello settecentesco del turismo scientifico: emblematico è il caso del geologo-alpinista Deodat Gratet de Dolomieu, che diede il nome alle Dolomiti. Proprio gli albori dell’alpinismo (introdotto in Italia dagli inglesi sull’onda di suggestioni romantiche) mescolavano il piacere della scoperta scientifica al gesto atletico inteso non come esercizio puramente muscolare, ma come mezzo per elevare moralmente l’uomo, intenzione ben riassunta dal motto di ogni buon alpinista: Excelsior, cioè sempre più in alto. La frequentazione di località marine o montane nasce per fini esclusivamente salutistici: in montagna ci si andava per godere della salubrità dell’aria e curare la tubercolosi, mentre il turismo marino, limitato alla stagione invernale, aveva inizialmente finalità terapeutiche (nasce qui la talassoterapia), che poi si estesero alla villeggiatura estiva comunque finalizzata ai raccomandatissimi bagni di sole e di mare. Insomma, in Italia il vero turismo, almeno fino alla fine degli anni Trenta, era riservato alle élite aristocratiche e, soprattutto, borghesi. Il popolo si accontentava ancora di altre distrazioni: per i contadini c’erano le veglie nella stalla, i balli sull’aia e le fiere di paese, per i cittadini, la tombola, gli sferisteri, i teatri, il rito del caffè e, solo per i maschi, i bordelli, le bettole e le osterie, da affiancare a un’aperta passione per molti sport popolari, come il calcio e il ciclismo. Il turismo è soprattutto una questione di soldi e strutture, così il primo salto di qualità si ha solo quando, con l’aumento del benessere e la distribuzione della ricchezza a strati sempre più ampi della popolazione, cresce proporzionalmente il numero di chi può destinare una parte del proprio reddito al divertimento, e quindi anche a viaggi e vacanze. L’industrializzazione ha portato benessere ma ha anche semplificato le cose: è stato necessario rendere più rapidi i collegamenti, costruendo strade asfaltate, ponti, gallerie, e potenziare mezzi di trasporto come treni e piroscafi, con biglietti sempre più accessibile. Sotto il fascismo, specie dopo la grande depressione internazio- nale del ’29, le condizioni economiche migliorano: arrivano la settimana di quaranta ore, il sabato festivo e le ferie obbligatorie e pagate. Ci sono più tempo e denaro a disposizione per divertirsi e il regime, sempre alla ricerca del massimo consenso, si dà da fare per organizzare il tempo libero degli italiani: gli iscritti all’Opera Nazionale Dopolavoro, per esempio, usufruiscono di sconti su cinema e teatri, abbonamenti ai giornali, manifestazioni sportive, ma anche viaggi e alberghi: nel 1931 nascono i treni popolari, straordinari di sola terza classe con sconti fin all’80 per cento sulla tariffa ordinaria, diretti a località climatiche, balneari o di interesse storico-artistico. Dal 2 agosto al 20 settembre di quel primo anno ne approfittano mezzo milione di persone. Le vecchie colonie salutistiche istituite da filantropi aristocratici (integrate con nuovi edifici) vengono trasformate dal regime in centri dove i figli delle famiglie indigenti (malati e non) entrano per la prima volta in contatto con mare, montagna e campagna, irrobustendo il proprio fisico (da bambini forti deriverà un esercito forte) e il proprio credo negli ideali fascisti, che vengono insegnati scientificamente durante il soggiorno. Dopo il disastro della guerra, l’Italia fatica a risollevarsi e il turismo riprende piede, questa volta definitivamente, solo con il boom economico del quinquennio 1958-63: sull’onda di cambiamenti strutturali nel mondo industriale, si trasforma anche il livello e lo stile di vita degli italiani. E se nel ’700 bastavano poche locande ad assorbire la domanda, ora migliaia di persone iniziano a spostarsi verso le località di mare e montagna per le sospirate ferie ed è necessario provvedere ad alloggi e servizi adeguati: nascono come funghi alberghi, ristoranti, bar, stabilimenti balneari, impianti sciistici e centri sportivi. Ma il turismo fa la fortuna anche di zone costiere o montane dove fino ad allora si era vissuti poveramente di pesca o pastorizia e dove la popolazione era stata spesso decimata dall’emigrazione: i cittadini tendono ad affezionarsi alla località dove passano le vacanze e, appena il portafoglio lo consente, investono in case, che diventano una garanzia per il futuro del patrimonio di famiglia e dell’economia locale. Invece di emigrare, nei paesi ci si riconverte alle nuove professioni: bagnini, maestri di sci o di vela, guide alpine, albergatori, ristoratori, commercianti. Con il tempo, si impara a rincorrere le esigenze del cliente, viziandolo con sfizi e servizi degni degli standard cittadini, sia che ci si trovi nelle località più raffinate, o nei ”divertimentifici” di taglio più popolare. Oggi il turismo è una delle principali industrie italiane e muove milioni di euro, assicurando innumerevoli posti di lavoro. Le ferie sono un diritto e solo in casi estremi si decide di rinunciarvi dopo un anno di lavoro. Semmai è cambiato il modo di usufruirne: non più tutti ad agosto come una volta, quando la chiusura delle fabbriche dettava legge, ma puntando per esempio su periodi più brevi ma ripetuti nel tempo. Ormai il viaggio all’estero (verso mete esotiche, culture sconosciute o città d’arte) è diventato un’abitudine anche per gli italiani, complici i prezzi più abbordabili di aerei e alberghi, mentre sul territorio nazionale hanno preso piede nuove forme di vacanza (basti citare l’agriturismo o il tanto amato-odiato ”villaggio”) che puntano su un mix ben calibrato di comfort, attività sportive e culturali e qualità della vita. Ma come non sottolineare, per finire, l’aspetto sociologico della vacanza? Chi lascia la città, lo fa in cerca di relax e divertimento, ma anche a caccia di novità, si tratti di un’esperienza culturalmente significativa o di qualche trasgressione da ricordare durante l’inverno. In ogni caso, la vacanza è sempre più il territorio franco dove sfuggire alla routine di tutti i giorni.