Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2005  ottobre 31 Lunedì calendario

Così la «Pantera nera» tradì gli ebrei. Corriere della Sera 31/10/2005. Romani brava gente? Fino a un certo punto

Così la «Pantera nera» tradì gli ebrei. Corriere della Sera 31/10/2005. Romani brava gente? Fino a un certo punto. Se molti cittadini della capitale, durante l’occupazione tedesca, si prodigarono per soccorrere gli ebrei perseguitati, parecchi altri, per denaro o più di rado per fanatismo razzista, non esitarono a denunciare innocenti che poi finirono nei lager o alle Fosse Ardeatine. un capitolo di storia raccapricciante, per lungo tempo rimosso, che lo studioso Amedeo Osti Guerrazzi scoperchia nel libro Caino a Roma. I dati parlano chiaro: dopo la razzia compiuta dalle SS nel ghetto capitolino il 16 ottobre 1943, con la deportazione di oltre mille persone, un altro migliaio di ebrei venne catturato nei mesi seguenti. Eppure i nazisti in città disponevano di forze limitate, ridotte all’osso dopo lo sbarco alleato ad Anzio e impegnate prevalentemente nella lotta ai partigiani. Non avrebbero mai potuto arrestare tanti ebrei senza l’ausilio di molte spie italiane, che la politica razziale del fascismo aveva abituato a considerare nemici, o comunque privi di alcun diritto, i connazionali di religione giudaica. Osti Guerrazzi polemizza con i reduci di Salò come Carlo Mazzantini, che nei suoi libri ignora la complicità della Rsi con la Shoah. Ma anche gli storici antifascisti, nota l’autore, hanno sottaciuto la terribile realtà contenuta nei fascicoli giudiziari. Si preferiva lasciarsi alle spalle gli aspetti più turpi della guerra, seguendo l’esempio dell’amnistia voluta da De Gasperi e Togliatti nel 1946. In effetti Caino a Roma è un’autentica galleria degli orrori, in cui l’avidità, la vigliaccheria e l’odio la fanno da padroni. C’è chi consegna alle SS un ex compagno di scuola, c’è il dipendente che fa arrestare il datore di lavoro, c’è il sedicenne che denuncia il suo insegnante. Ma il personaggio più inquietante è senza dubbio Celeste Di Porto, detta la «Pantera nera» del ghetto: una splendida ragazza ebrea, aggregata a una banda di profittatori al soldo dei tedeschi, che dava la caccia ai propri correligionari per impadronirsi dei loro beni e ricevere la ricompensa delle SS. Ogni maschio adulto valeva cinquemila lire, tremila una donna e mille un bambino. Crimini abietti, che per giunta furono puniti in modo blando. Il fatto di aver agito per motivazioni razziste non venne mai considerato un’aggravante e nessun delatore fu mai imputato di concorso in omicidio, anche se il destino di quasi tutti gli ebrei arrestati fu la morte. Per giunta l’amnistia del ’46 passò un colpo di spugna sugli atti compiuti a scopo di collaborazione politica con i tedeschi, quindi furono processati solo coloro che avevano operato a fini di lucro. Le condanne iniziali vennero poi ammorbidite dagli interventi della Corte di cassazione e l’indulto del 1952 chiuse la partita, rimettendo in libertà tutti i delatori. Se la cavò a buon mercato perfino la «Pantera nera», che si convertì al cattolicesimo e addirittura entrò in convento, ma ne venne poi ben presto espulsa. Nel giro di breve tempo prese il sopravvento quella che Osti Guerrazzi chiama «smemoratezza condivisa»: un velo di oblio steso sui fatti vergognosi che il suo libro ha il merito di mettere a nudo. Antonio Carioti