Corriere della Sera 25/10/2005, pag.37 Antonio Troiano, 25 ottobre 2005
Ali: quel giorno ho tradito Malcolm X. Corriere della Sera 25/10/2005. «Quel giorno in Ghana Malcolm X si avvicinò per salutarmi, ma io, Muhammad Ali, mi voltai e mi allontanai
Ali: quel giorno ho tradito Malcolm X. Corriere della Sera 25/10/2005. «Quel giorno in Ghana Malcolm X si avvicinò per salutarmi, ma io, Muhammad Ali, mi voltai e mi allontanai. Aver voltato le spalle a Malcolm fu uno degli errori della mia vita di cui mi sono più pentito. Se potessi, se soltanto potessi tornare indietro nel tempo, gli direi quanto lo ho ammirato, lo abbraccerei come un fratello e gli direi che sono onorato e orgoglioso che lui mi fosse amico». Quarant’anni dopo quel giorno maledetto Muhammad Ali torna a parlare di una ferita aperta e mai rimarginata. Torna a parlare di un tradimento. E lo fa alla sua maniera con questa intervista esclusiva al Corriere a pochi giorni dall’uscita in Italia del suo «primo» libro, «Con l’anima di una farfalla» (scritto con la figlia Hana Yasmeen Ali, edito da Fazi). Un autentico testamento spirituale, una confessione, un’occasione per fare un bilancio della sua irripetibile carriera. Un libro dove Ali mette da parte ogni filtro e ripercorre «Il lungo viaggio» della sua «vita», come recita il sottotitolo, con la lente di un uomo che il morbo di Parkinson ha «rallentato» ma non piegato. Anche per questo le sue parole su Malcolm X, di cui ricorre quest’anno l’anniversario della morte (fu assassinato il 21 febbraio del 1965 a New York), sono destinate a far discutere. A riaprire una vicenda che l’America vorrebbe cancellare. «Malcolm X fu un grande pensatore e un amico ancora più grande. Se non fosse stato per lui – confessa Ali – forse non sarei mai diventato musulmano. Ci ha insegnato ad avere consapevolezza del nostro ruolo, ad amarci, ad essere coraggiosi. Il suo insegnamento ha ispirato milioni di persone e le sue parole ancora oggi sono vive». C’è molta serenità nelle parole di Ali, ma la serenità non nasconde del tutto l’amarezza, il rimorso e la consapevolezza profonda di aver capito troppo tardi. «Non sono mai riuscito a spiegarmi come così tante persone potessero temere un uomo che stava solo cercando la libertà e la giustizia per il suo popolo». «Troppo tardi per il perdono» recita il titolo di uno dei capitoli più sinceri e commossi del libro. Troppo tardi per capire che, quando Elijah Muhammad, il leader dei «Musulmani neri», gli ordinò di rompere con Malcolm lui non seppe reagire e rifiutare. Ali è un fiume in piena, inarrestabile. Così come era inarrestabile quando, lui che è stato un peso massimo, danzava con la classe di un ballerino fino a stordire gli avversari. I suoi ricordi scorrono veloci come in un film: dal ragazzino timido, ingenuo e dislessico di Louisville nel Kentucky al giovane campione olimpico di Roma; dalla vittoria su Sonny Liston nel 1964 alla scelta di sposare la religione islamica; dall’abbandono del suo primo nome (Cassius Clay) all’amore per la sua famiglia; dal rifiuto di combattere in Vietnam all’isolamento e all’emarginazione. Il ritiro del passaporto e della licenza da pugile. E poi la cattiveria e la crudeltà dei suoi nemici. E forse proprio Norman Mailer, il grande scrittore americano, autore di un libro memorabile («Il combattimento», sul leggendario match Ali-Foreman a Kinshasa nel 1974), darà la chiave per comprendere questa crudeltà: «In alcuni momenti l’America ha odiato Ali semplicemente perché non è mai riuscita a capirlo fino in fondo». Santo e demone. «Il 1967 fu per me un anno terribile – ricorda Ali ”. Dissi no al Vietnam. Mi tolsero ciò che avevo di più bello, mi impedirono di combattere, impedirono al mondo di vedere Muhammad Ali nei suoi anni migliori, gli anni in cui un peso massimo può dare tutto. Quell’Ali nessuno potrà più ridarcelo. Mi tolsero tutto ma non la dignità, l’orgoglio e la fede. In quel periodo terribile ho capito che cosa è un atto di eroismo. «Ho capito anche cosa significa essere eroi silenziosi. E ho imparato ad apprezzare la gente comune che combatte le battaglie per la giustizia nell’anonimato. E lavorano e combattono senza alcun pensiero di gloria o ricompensa economica. Ma combattono e si sacrificano per il giusto, per un mondo più giusto». Ma un uomo, più di altri, secondo Ali, «rappresenta per il mondo intero un insegnamento straordinario: Nelson Mandela, il grande leader sudafricano. Mandela incarna la prova vivente che non c’è nulla al di fuori di Dio e di noi stessi che può sconfiggerci. Nulla può annientarci se usiamo le armi del cuore e del coraggio. «Alla fine è il tempo che ha la meglio su di noi, si diventa vecchi e stanchi. Ma Nelson sembra che abbia sconfitto anche quello. Non soltanto il suo cuore e il suo coraggio sono sopravvissuti a tutti quegli anni di prigione, ma sono addirittura diventati più forti col passare delle stagioni. E con la sua storia, la sua terribile vicenda umana, i 27 anni trascorsi ingiustamente in carcere, è stato capace di dare vita a un miracolo: ha convinto alleati ma anche avversari a cambiare il loro modo di pensare e il loro modo di agire. Ha convinto alleati e avversari ad ascoltare le ragioni degli altri: parlarsi e confrontarsi. Non riesco ad immaginare nulla di più potente e prodigioso che possa essere fatto da un comune mortale». Ali l’atleta, Ali il poeta, Ali il politico, Ali il leader religioso. Nel nostro immaginario collettivo, comunque, Muhammad Ali rimane il pugile più grande di tutti i tempi. Una grandezza che è cresciuta anche e soprattutto in virtù delle sue scelte spesso imprevedibili e coraggiose, della straordinaria forza con la quale ha tollerato terribili ingiustizie. Ali è il campione, che «fluttuava come una farfalla e pungeva come un’ape». Il protagonista di alcuni dei match più feroci e meravigliosi del secolo scorso. Con lui sono diventati campioni immortali anche gli avversari: Sonny Liston e Joe Frazier, Ken Norton e George Foreman. Ma soprattutto Ali rimane il più inspiegabile dei talenti pugilistici di sempre; una montagna di muscoli e intelligenza che sapeva muoversi come un peso leggero. Un talento inimitabile e per certi versi misterioso. Un pugile che ha cambiato il modo di concepire il pugilato, trasformandolo, non è un paradosso, in uno sport meno violento. Ripensare Ali in piena attività, nella sua forma migliore, può far nascere in un appassionato tristezza e nostalgia. «Ma questo – ci dice – non deve succedere. la vita». «Qualche mattina mi sveglio e anche a me vengono in mente dei ricordi. Mi ricordo – scrive Ali nel suo libro – il ruggito della folla e il suono del gong. La sensazione del ring, il ballare, schivare, il ritmo, e la mia velocità. Ricordo il "gioco-con-le-corde", e le vittorie. Ma più di tutto ricordo una vita libera». «Man mano che la vita continua, penso all’orgoglio del titolo; è passato tutto così in fretta, come un mare di nuvole. Abbiamo solo – dice Ali – un attimo di giovinezza e, benché molto sia cambiato col tempo, mi ricordo di quando ero re, ma non c’è tristezza, solo ricordi felici». Antonio Troiano