MACCHINA DEL TEMPO agosto 2005, 2 novembre 2005
Il 6 agosto 2004, alle 10.30 di mattina, il corpo senza vita del delfino Filippo fu recuperato dal personale della Capitaneria di porto nelle acque tra il Molo di Levante del Porto Vecchio di Manfredonia (Foggia) e il Porto Alti Fondali
Il 6 agosto 2004, alle 10.30 di mattina, il corpo senza vita del delfino Filippo fu recuperato dal personale della Capitaneria di porto nelle acque tra il Molo di Levante del Porto Vecchio di Manfredonia (Foggia) e il Porto Alti Fondali. Il referto autoptico rivelò la frattura di alcune costole, con conseguente perforamento del polmone e arresto cardiaco: era stato travolto da un’elica o speronato da un’imbarcazione. Filippo non era un delfino qualsiasi. Maschio, adulto, della specie Tursiops truncatus, era uno dei pochi cetacei al mondo che interagivano con gli esseri umani senza esser ridotto in cattività. Dalla primavera del 1998, dopo aver abbandonato il branco, Filippo (così lo chiamava l’intera Manfredonia) aveva deciso di vivere da solo, preferendo la compagnia degli uomini a quella dei suoi simili. Insomma, si sentiva apprezzato dalle attenzioni di un intero paese. Sulla sua storia sono apparsi siti (www.ildelfinofilippo.org è dichiarato come ufficiale), in cui è possibile approfondire. La storia di Filippo, per quanto tragica, apre a interrogativi interessanti. Che influenze ha lo sguardo dell’essere umano su creature così intelligenti e sensibili? davvero così ”innocente” studiare, ammirare, fotografare, ”spiare” animali che paiono vicinissimi a noi per capacità di apprendere e di adattarsi? Non è che sbirciare da questo buco della serratura – magari senza alcun rispetto per privacy che ci sono ignote – può causare danni maggiori di quanto si pensi, forse irreparabili? Ai guardoni il futuro non arride mai, soprattutto se mancano di rispetto. Almeno così minaccia Il Quinto Giorno, fantathriller tedesco di Franz Schätzing e già ai vertici delle classifiche, in cui ogni abitante degli oceani attacca l’uomo, per eliminare dal pianeta il più pericoloso predatore mai apparso sulla Terra. Ma una cosa è la fantasia e un’altra la scienza. Che, però, sull’argomento ammette la più completa incertezza o quasi: quanto la sola presenza di un osservatore umano influenza l’oggetto di studio? Discussioni emblematiche le produsse un esperimento del gruppo di David Smith, psicologo dell’Università dello Stato di New York, che tentava di comprendere se il dubbio o la perplessità fossero caratteristiche anche dei mammiferi più evoluti. I ricercatori misero tre grossi pulsanti in una piscina e insegnarono a un delfino a premerne uno non appena sentiva un suono basso e un altro se ne percepiva uno acuto. Poi modularono pian piano il primo suono. Finché era facile distinguere tra i suoni, il delfino si precipitava a premere il pulsante giusto. Quanto divenne troppo difficile, il cetaceo esitava e finiva per premere un terzo pulsante. Smith dichiarò: «Osservarlo era un divertimento. Era come il bambino a cui fai scegliere tra due cioccolatini: prende sempre il più grosso, ma se sono uguali non sa che cosa fare». La ricerca suscitò clamore. Però, Clive Wynne, specialista del comportamento animale dell’Università della Florida, uscì dal coro: «Mi piacerebbe esser nel torto, ma il delfino è stato semplicemente addestrato a reagire alle sollecitazioni degli sperimentatori. Se gratifichi un animale quando indovina – come ha fatto Smith – l’esito è scontato». Anche Giuseppe Notarbartolo di Sciara, uno dei massimi esperti internazionali di cetacei e autore del libro Il dilemma della Sfinge. Le difficili scelte dell’uomo predatore assillato dalla compassione per le sue prede (Franco Muzzio Editore, 16 euro), preferisce porre uno spartiacque tra l’animale libero e quello in cattività. «Per quanto sia difficile entrare nella testa di un delfino, come in quella di qualsiasi altra specie», dichiara, «si può ben supporre che l’animale libero fa soprattutto i fatti suoi e dell’influenza umana è poco partecipe. Diverso il comportamento di un delfino in cattività, magari impiegato per show acquatici e quindi addestrato a farsi notare. piuttosto risaputa, anche fuori dagli ambienti scientifici, la vicenda di un cucciolo di delfino, nato in un acquario del Sudafrica. Il piccolo, ancora poppante, vide uno dei suoi addestratori fare cerchi di fumo con una sigaretta. Immediatamente, prese una boccata di latte dalle mammelle materne e tentò di imitare questi cerchi spruzzando latte per aria». «I delfini sono animali molto giocherelloni e non è raro vederli seguire le barche, divertendosi con l’onda di prua», conclude, «Ma un vero comportamento ”deviato” lo si riscontra soltanto in quelli addestrati. Sono animali tolti dal branco, che tutt’al più vivono con alcuni compagni in grosse vasche. Hanno imparato a interagire con gli uomini e ad apprezzare le loro attenzioni affettuose. In una situazione così innaturale, non è quindi difficile che imparino presto comportamenti poco naturali, in quanto gli unici che davvero permettono un’interazione con l’esterno. Inoltre, si tenga conto che spesso creature così intelligenti s’annoiano. Eseguire numeri per catturare uno sguardo è, senza dubbio, una forma come un’altra di passatempo». Così, anche se la scienza ancora non sa esprimersi sulla privacy più o meno rispettata dei mammiferi marini, di una cosa si può esser certi. Anch’essi, ogni tanto, devono trovare un modo per ammazzare il tempo.