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 2005  novembre 02 Mercoledì calendario

Al largo dell’isola d’Elba, sulla barca a vela bianca e blu con due delfini azzurri dipinti sui fianchi, la sveglia suona alla sei in punto

Al largo dell’isola d’Elba, sulla barca a vela bianca e blu con due delfini azzurri dipinti sui fianchi, la sveglia suona alla sei in punto. Per i biologi del Centro Ricerca Cetacei, sta per iniziare un’altra giornata di lavoro: 100 miglia quadrate di mare da monitorare con la speranza di avvistare delfini. Se il fortunato incontro ci sarà, i ricercatori potranno aggiungere nella Banca Dati Europea dei Cetacei nuove informazioni sui comportamenti e l’anatomia di questi mammiferi marini che ancora nascondono agli umani tanti dei loro misteri. Micaela Bacchetta, 27 anni, direttrice del Centro, e Davide Amante, scrittore e skipper, sono ottimisti: «Siamo diretti verso il ”Santuario dei cetacei”, un triangolo blu di mare protetto di 84 mila chilometri quadrati che si estende tra Toscana, Sardegna e Francia. Qui non è raro incontrare delfini, in particolare il Tursiope (Tursiops truncatus). E per osservare i cetacei la barca a vela è il mezzo più adeguato: l’impatto ambientale è ridotto, l’emissione acustica assente e lo scafo idrodinamico attira i delfini, capaci di sfruttare il flusso dello spostamento d’acqua senza il disturbo di variazioni di rotta improvvise». Alle 6.30 lasciamo l’ormeggio a Marina di Campo, la biologa annota a voce al registratore: «Mare calmo, brezza di vento, cielo sereno, rotta in direzione Ovest sud ovest. Navigazione a vela, velocità media 3 nodi (un nodo equivale a un miglio orario, ndr)». I biologi, a turni di un’ora, osservano il mare col binocolo. Ogni ora uno ”stop point” di dieci minuti, ossia ci si ferma in mezzo al mare. Per il resto del tempo si percorrono ”transetti” - rotte parallele con le quali si copre l’intera area della giornata - registrando la presenza di imbarcazioni, pescherecci, attività nautica e specie animali. Alle 9.38, il sospirato incontro: sei Tursiopi sbucano dall’acqua facendo sfoggio di tutte le prodezze di cui sono capaci: balzi, schiaffi all’acqua, avvitamenti. All’inizio sono distanti, dopo una decina di minuti un piccolo e due femmine si avvicinano alla nostra barca. «Si tratta di un cucciolo con la mamma e la zia - spiega Bacchetta - La ”zia” è una femmina adulta strettamente legata alla madre che assiste il piccolo in ogni fase, dalla nascita allo svezzamento». Ogni tre minuti esatti madre e cucciolo emergono dal mare insieme, paralleli. Dopo pochi istanti emerge anche la ”zia”. Alcuni minuti d’attesa e l’intero gruppo nuota vicino a noi, sfruttando l’onda di prua. A poco a poco i sei delfini (cinque femmine più il cucciolo) prendono confidenza, sembrano incuriositi, hanno voglia di giocare e fanno una cosa buffa che i biologi chiamano ”spy hopping”: stanno immobili in verticale sporgendosi col capo fuori dall’acqua, come se volessero ”spiare” quello che combiniamo in superficie. Hanno proprio l’atteggiamento mite e giocherellone che ci si aspetta da loro. Eppure, lo scorso anno, il Centro Ricerca Cetacei ha osservato reazioni aggressive dei tursiopi a largo del Tirreno: «Gruppi stanziali scortavano fuori dal loro territorio alcuni delfini itineranti» racconta Micaela Bacchetta «se questi facevano resistenza, i primi cominciavano a irritarsi, lanciando chiari segni di minaccia». Cade il mito del delfino buono? «No» dice Bacchetta. «I delfini, come tutti i mammiferi predatori, difendono il territorio scelto per allevare i figli e per prelevare il cibo. Ma hanno anche un grande senso della comunità, che dimostrano con atti di altruismo. Capita spesso, ad esempio, che un esemplare aiuti un compagno in difficoltà sospingendolo in superficie per respirare o accorrendo al richiamo d’aiuto. Proseguiamo la navigazione seguendo la rotta dei sei esemplari con cui abbiamo fatto amicizia: dopo aver scattato le fotografie utili all’identificazione, li lasciamo e loro proseguono il viaggio verso ovest. Sono le 10.40. Rientriamo in porto alle 18, senza la fortuna di altri incontri. I ricercatori sono soddisfatti: sbobinano la registrazione, scaricano le foto sui pc portatili, tracciano i profili delle pinne e inseriscono i nuovi dati nella Ceb: «Tra i mammiferi i cetacei sono i più difficili da studiare dal punto di vista comportamentale, poiché trascorrono gran parte della loro esistenza sott’acqua riemergendo solo durante la respirazione», dicono Amante e Bacchetta. «Ma gli sforzi dei ricercatori che trascorrono tanto tempo in mare per studiare questi animali, ci permette di capire a poco a poco molti dei loro segreti. E di entrare a far parte, in modo discreto, del loro fantastico mondo. Un mondo di cui ancor oggi si conosce ben poco: le specie meno note rischiano addirittura di estinguersi senza che nemmeno ce ne accorgiamo. Per questo è necessario aumentare gli sforzi di ricerca. I tempi di immersione, le frequenze di emersione, le direzioni e la velocità degli spostamenti permettono di capire il tipo di attività svolta dagli animali osservati. Ma le attività di superficie più spettacolari, come i salti e gli avvitamenti, sono difficilmente interpretabili; forse sono dettate da esigenze alimentari, da necessità riproduttive o magari sono dimostrazioni di forza. A volte, però, risulta assai difficile non pensare che siano semplicemente dei giochi o un simpatico modo per dimostrare a noi umani la loro energia e vitalità».