MACCHINA DEL TEMPO agosto 2005, 2 novembre 2005
Stiamo tutti correndo verso Marte, alla non indifferente velocità di circa 37.000 chilometri l’ora
Stiamo tutti correndo verso Marte, alla non indifferente velocità di circa 37.000 chilometri l’ora. Non è lo scherzetto di qualche civiltà aliena che ci ha rapiti tutti per trasferirci in massa: semplicemente la Terra, nel corso della sua orbita, sta viaggiando verso il punto di massimo avvicinamento al pianeta rosso (la cosiddetta opposizione perielica) che raggiungerà a ottobre. un fenomeno che si ripete più o meno ogni due anni, e che ci darà un discreto spettacolo da vedere nel corso di questa estate. Grazie alla distanza in diminuzione, anche in un telescopio poco potente Marte ci apparirà infatti sempre più grande e con sempre maggiori dettagli da osservare, a cominciare dalle calotte ghiacciate dei poli. Ma per gli scienziati quest’appuntamento biennale è anche l’occasione d’oro per lanciare sonde spaziali. Meno strada da percorrere, meno carburante per il viaggio, più strumenti che possono essere portati a bordo. Sono tutte ottime ragioni per programmare i lanci proprio in questi periodi. L’ultimo appuntamento del 2003, nel quale tra l’altro la distanza Terra-Marte fu la più breve degli ultimi 50.000 anni, ha visto la partenza di una piccola flotta: l’europea Mars Express e le americane Spirit e Opportunity, tutte ancora in ottima salute e tutte con grandi risultati già raggiunti. Il 2005 vedrà invece un solo esploratore solcare lo spazio che ci divide dal nostro ”pianeta cugino”: la Mars Reconnaissance Orbiter, che la Nasa lancerà tra il 10 e il 30 agosto prossimi. Dopo circa sette mesi di viaggio, raggiungerà Marte e comincerà a sfiorare la sua atmosfera, quasi facendo il surf su di essa. Chiamata ”aerofrenata”, è una tecnica difficile ma già provata diverse volte: urtando contro gli strati più alti dell’atmosfera marziana, la sonda incontrerà logicamente un attrito che le farà perdere velocità senza usare i motori. A differenza di Spirit e Opportunity, poi, la ”Mro” non è destinata a scendere sul pianeta, ma, una volta completata la frenata, rimarrà in orbita studiando Marte con una serie di strumenti, tra cui una delle più perfezionate macchine di ripresa mai usate su quel pianeta, poi un gruppo di sensori per lo studio dell’atmosfera e infine un radar, Sharad, tutto tricolore, visto che è stato creato dall’Agenzia spaziale italiana. Diventa così molto affollato il pianeta Marte. La Mars Reconnaissance Orbiter andrà infatti ad aggiungersi a ben quattro esploratori robotici già in servizio, senza contare naturalmente la schiera di sonde ormai inattive. Ci sono le veterane Mars Global Surveyor, lassù dal 1997, e la 2001 Mars Odyssey. Entrambe ”orbiter”, quindi non sono mai scese al suolo ma studiano il pianeta dall’alto. Anche la Mars Express è in orbita, e proprio poche settimane fa ha completato il dispiegamento della seconda antenna del suo radar, il MARSIS, i cui impulsi sono in grado di penetrare nel sottosuolo. Sotto la guida di Giovanni Picardi, dell’Università La Sapienza di Roma, gli scienziati al lavoro con il MARSIS tenteranno, tra gli altri compiti, di studiare le eventuali riserve di acqua al di sotto della superficie. Infine ci sono i due ”rover” statunitensi, Spirit e Opportunity, che vanno a spasso sul terreno. Dovevano essere già in pensione da un pezzo, ma si sono rivelati molto più tosti del previsto. Ruote bloccate, impantanamenti nella sabbia... ne hanno passate di tutti i colori, ma hanno sorpreso gli stessi progettisti, anche per la fortuna. Spirit è stata addirittura investita da un mulinello di vento che ha ripulito dalla polvere i suoi pannelli solari. Risultato: l’energia elettrica a disposizione è tornata quasi al livello dei primi giorni dopo l’arrivo. L’esplorazione di Marte, iniziata con i primi, infruttuosi tentativi russi del 1960 e andata avanti non senza difficoltà (il 50 per cento delle missioni non ce l’ha fatta), rappresenta uno sforzo enorme della scienza e della tecnologia, e un costo considerevole. Che cosa abbiamo imparato fino a oggi di questo pianeta? «Molti nella comunità scientifica – dice Gian Gabriele Ori, dell’International Research School of Planetary Sciences di Pescara – si erano andati convincendo che su Marte l’acqua c’era stata, e in grandi quantità. Oggi le prove di questo dato fondamentale sono sempre più solide. E non stiamo parlando di apparizioni fugaci, ma di sistemi lacustri di una certa complessità. Le immagini della Mars Express, infatti, ci hanno mostrato ciò che resta di laghi e fiumi, questi ultimi con differenti tipi di delta. Inoltre, come è stato confermato anche dalle osservazioni al suolo di Opportunity, scesa su un terreno molto promettente, ci sono ”evaporiti”, cioè formazioni di gesso, sale da cucina e altre sostanze che rappresentano ciò che possiamo aspettarci di trovare su un fondale essiccato. E ricordiamo un dettaglio importante: nelle evaporiti c’è la possibilità di trovare tracce di colonie batteriche che un tempo potrebbero essere esistite sul pianeta». L’acqua, la sostanza più preziosa dell’universo, la base per la vita come la conosciamo, ha avuto quindi un ruolo importante nel passato del pianeta rosso, un dato che ormai sono in pochi a non ritenere attendibile. «Ma rimane ancora un problema fondamentale da risolvere», continua Ori. «La storia. Per quanto tempo sono esistiti i sistemi lacustri? stato sufficiente per dare alla vita la possibilità di svilupparsi? Ci sono opinioni contrastanti: alcuni pensano che la presenza d’acqua allo stato liquido in grandi quantità sia stato un episodio isolato, accaduto molto tempo fa. Altri sostengono che potrebbero esserci stati molti periodi, tutti lunghi, nei quali ciò sarebbe accaduto. Direi che la sfida più importante, oggi, è proprio la datazione dell’acqua». E poi ci sono le osservazioni geologiche. «I dati raccolti nel corso delle ultime missioni, soprattutto grazie alla camera ad alta risoluzione della Mars Express – spiega lo scienziato italiano – ci dicono che Marte non è ”morto geologicamente” da tre miliardi di anni, come si pensava in passato. C’è stata probabilmente attività vulcanica in epoche recenti, diciamo da centomila a due milioni di anni fa». L’attività vulcanica potrebbe esserci anche oggi. Sarebbe infatti una possibile spiegazione per il metano che è stato trovato. Il metano si degrada rapidamente, quindi su Marte c’è qualche fenomeno che lo riforma. Il vulcanismo è il più probabile. Ma c’è anche un’altra timida possibilità: la presenza di forme di vita. Dopo la partenza della Mars Reconnaissance Orbiter, le prossime due ”finestre” per lanciare sonde verso Marte, nel 2007 e nel 2009, saranno sfruttate ancora dagli Stati Uniti, con la Phoenix - che scenderà sul polo nord di Marte - e la Mars Science Laboratory, un rover capace di raccogliere campioni di suolo e analizzarli in un piccolo laboratorio interno. L’Europa tornerà in gioco alla grande nel 2011, quando lancerà la ExoMars (il nome deriva da ”esobiologia”, studio della vita extraterrestre), una sonda capace di compiere analisi accurate del terreno alla ricerca di forme di vita, passate o attuali. E sullo sfondo, nel 2016, c’è la prospettiva della Mars Sample Return. Una sonda automatica che scenderà su Marte, raccoglierà campioni di terreno e li riporterà indietro sulla Terra per analizzarli. Dopo questa missione, ovviamente, lo sbarco umano diventerà il passo più logico.