La Stampa 31/10/2005, Carla Reschia, 31 ottobre 2005
Hemingway «I lati oscuri di nonno Ernest». La Stampa 31/10/2005. Alessandria. «Gig, io e te proveniamo da una strana tribù»
Hemingway «I lati oscuri di nonno Ernest». La Stampa 31/10/2005. Alessandria. «Gig, io e te proveniamo da una strana tribù». Così disse lo scrittore macho per definizione, Ernest Hemingway, al figlio minore, Gregory, allora decenne, sorpreso a provarsi i collant e gli abiti della madre. Gig, che da adulto a volte amava presentarsi come Gloria, o Vanessa, morì d’infarto a 69 anni, nell’ottobre 2001, rinchiuso in un carcere femminile dopo una notte brava conclusa con una passeggiata senza abiti sulla pubblica via. Una decina d’anni prima aveva deciso di assecondare una volta per tutte la sua ossessione sottoponendosi a un’operazione per cambiare sesso, dopo una vita in bilico fra cacce all’elefante, battute di pesca nell’uragano, bevute epiche, matrimoni compulsivi (quattro, come il celebre padre, con ben otto figli) e comparsate en travesti, in perenne oscillazione fra il desiderio di emulare Ernest e la voglia di cancellarlo fino a rinnegare persino l’identità sessuale. The son also falls, titolò allora il Chicago Tribune, giocando con il titolo di un celebre romanzo del padre, The sun also rises (in Italia Fiesta), e calò il silenzio su quel rampollo degenere che alle stigmate ufficiali e ormai consacrate della famiglia Hemingway - genio, alcolismo, suicidio, depressione alternata a un furioso vitalismo – aveva osato aggiungere la variante della confusione sessuale. «Ma io voglio dimostrare invece che mio padre era in tutto e per tutto figlio di Ernest, restituirgli la sua dignità, spiegarne le ragioni. Non per scandalismo, ma perché i miei figli hanno diritto di crescere nella verità, non in un falso mito». John, figlio di Gregory, è un americano tranquillo e gentile, con un sorriso identico a quello del nonno. Vive in Italia da molti anni, a Monza, fa il traduttore, appare molto lontano dagli eccessi familiari. Aveva 11 mesi quando Ernest si sparò, di lui non ricorda nulla. Ma ha raccolto le confidenze del padre, ha trovato carteggi inediti fra Gregory ed Ernest, ha cercato, raffrontato, analizzato e ora, dopo oltre due anni di ricerche, è pronto a far uscire Una strana tribù, scritto in inglese e tradotto in italiano dalla moglie italo-canadese. Un libro di ricordi e memorie di stile agevole e di contenuti esplosivi, che ha presentato sabato sera ad Alessandria, alla Biennale di poesia e narrativa. Quasi ogni Hemingway ha scritto qualcosa – anche suo padre Gregory nel 1976 analizzò in Papa: A Personal Memory, prefazione di Norman Mailer, il tormentato rapporto familiare – ma John non vuole semplicemente seguire una tradizione. Anzi forse vuole spezzarla. «Sono in contatto con diversi editori, soprattutto statunitensi, ma non sarà facile far uscire questo libro così come l’ho in mente, perché nessuno vuole toccare la leggenda familiare. Mi accusano di cercare lo scandalo a buon mercato, salvo poi invitarmi a dire di più sul nostro male dinastico, la depressione, o sul vizio del bere, o sui nostri presunti istinti suicidi. Quello va bene, dire che mio nonno aveva problemi di identità sessuale invece è tabù». Eppure, secondo John, lì sta la chiave del comportamento di suo padre, l’affinità segreta che, contro ogni apparenza lo lega al nonno tombeur des femmes. «Per capire, bisogna partire dalle donne – spiega – e sapere quale fu il loro ruolo. Mia bisnonna, la madre di Ernest, fino all’età di sei anni lo vestiva da bambina, con tanto di fiocchi e boccoli, per renderlo il più simile possibile alla sorella, maggiore di un anno. Le portava in giro così, come gemelle, felice quando le prendevano per due bambine; e anche dopo, nell’adolescenza continuò a fare di tutto per appaiarli. Credo che l’esperienza abbia lasciato una traccia profonda nella psiche di mio nonno, a metà fra attrazione e rigetto. Questa sorta di dubbio su ciò che è maschile e ciò che è femminile a mio parere è evidente in alcuni scritti degli Anni ’30. C’è un racconto degli Anni ’50, Il giardino di Amy, che ho potuto leggere nella versione originale, mai pubblicata, ed è molto rivelatore perché tradisce l’ossessione per una sessualità primitiva, indifferenziata. L’Africa forse per lui incarnava anche questo fantasma. A voler fare psicanalisi a buon mercato potremmo dire che anche il suo insistere su comportamenti ostentatamente virili è un segno. Ci sono studi che mi danno ragione, ma sono pubblicazioni circoscritte a un pubblico di addetti ai lavori, non sono tesi che incontrano: negli Stati Uniti suonano blasfeme». Stessa dinamica, reazioni diverse, per il padre Gregory, nato nel 1931 dalla seconda moglie di Ernest, Pauline Pfeiffer. Lo scrittore, dopo due maschi, voleva una femmina e il suo disappunto si ripercosse sul neonato, che la madre affidò da subito a una tata. «Tanto che Gregory da bambino – sottolinea John - non sapeva bene di chi era figlio, se di Pauline o di Ada, la balia». Maschio per essere come il padre che adorava, femmina per non sentirsene rifiutato, e come per una segreta e oscura risonanza: la vita pasticciata di Gregory, che a un certo punto della sua vita si fece impiantare un seno finto, uno solo, come le Amazzoni, sta in questi due estremi. «Mio nonno era un artista, ha risolto le sue lacerazioni interiori attraverso la letteratura e la finzione; mio padre, che era medico, le ha vissute e incarnate nel suo stesso corpo». Troppo diversi o troppo simili, in vita i due Hemingway proprio non riuscirono a intendersi. John ricorda come la morte della madre di Gregory, per una rara forma di tumore ghiandolare, da Ernest fosse stata imputata al dolore causatole dalla condotta del figlio, che periodicamente finiva in carcere per «atti osceni». «Mio padre non gli perdonò quella menzogna, non si rividero più». Ma non ebbe lo stesso pace. «Quando ero bambino - ricorda John - mi portava spesso al cinema. Bene, un giorno vedemmo insieme una pellicola dove un anziano poliziotto, tradito e deluso da un giovane collega che considerava come un figlio, si uccideva con un colpo di rivoltella. Lui si prese la testa fra le mani e mormorò ”No, Signore, no, ti prego”. Non è stato facile per me crescere con questi fantasmi, il libro è un modo per esorcizzarli. E pacificarli, spero». Carla Reschia