MACCHINA DEL TEMPO agosto 2005, 2 novembre 2005
Chi ha un fallo grande è meno fertile di chi ha ne uno di taglia media: lo sperma freddo infatti non è fertile e, quando è costretto a fare un percorso troppo lungo, finisce per raffreddarsi»
Chi ha un fallo grande è meno fertile di chi ha ne uno di taglia media: lo sperma freddo infatti non è fertile e, quando è costretto a fare un percorso troppo lungo, finisce per raffreddarsi». Qualcuno sorriderà di fronte a questa asserzione, eppure appartiene niente di meno che ad Aristotele, il più grande filosofo dell’antichità, considerato per secoli un’autorità inconfutabile anche in campo medico e scientifico. Questa esaltazione del pene ”misurato” ci porta nel cuore dell’immaginario sessuale degli antichi. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i Greci infatti non apprezzavano i falli grandi e men che meno enormi, che anzi consideravano volgari. Si tratta ovviamente di una costruzione ideologica, che di sicuro stride con la nostra idea che in società guerriere e maschiliste - e magari anche a forte componente omosessuale - come la Grecia antica, l’immaginario sessuale esaltasse la virilità maschile. Il culto del pene grande è infatti estraneo al mondo antico. Ma cerchiamo di capire perché. Dimensioni egualitarie Nella Grecia antica il potere era in mano agli uomini adulti: i soli a godere dei diritti di cittadinanza, a ricoprire cariche politiche e a difendere militarmente la comunità. Di conseguenza anche l’immaginario collettivo era di tipo maschile e maschilista, giacché erano gli uomini a disporre dei mezzi per pensare, raccontare o rappresentare la vita della comunità nelle sculture, nelle raffigurazioni pittoriche o nelle opere poetiche e filosofiche. Ciò che viene esaltato è quindi di solito il maschio. In quest’ottica il pene ha un ruolo importante, in quanto ”segno” distintivo del gruppo dominante. Il pene però, proprio come simbolo della classe di potere, deve essere uguale per tutti. Una comunità solidale non può permettere conflitti o tensioni al suo interno: l’esaltazione delle misure del pene spezzerebbe questa ideologia della solidarietà maschile che si fonda sull’uguaglianza e si riflette nell’egualitarismo politico all’interno della classe dominante. I maschi, tra loro, sono tutti uguali e ugualmente virili e quindi, per quanto riguarda l’immaginario sessuale, devono avere tutti le stesse dimensioni del pene. I vasi greci hanno molto spesso rappresentazioni di uomini nudi, dalle quali possiamo vedere con chiarezza la coerenza di questa ideologia: adulti e ragazzi hanno di solito peni della stessa dimensione, proprio per mostrare l’intima coesione del gruppo maschile. Il pene deforme dei barbari Il pene grande finisce così per rappresentare il mondo ”altro”, quello che si oppone allo spazio ordinato della città e delle sue regole. Schiavi, mostri e barbari sono figure marginali spesso rappresentate con falli enormi o deformi. Il pene grosso insomma non costituiva un’attrattiva erotica. L’attenzione degli artisti antichi era invece rivolta alle cosce e ai glutei. Statue celebri come i ”Bronzi di Riace” o il ”Satiro danzante”, mostrano come una precisa rappresentazione anatomica del corpo maschile prescinda dal pene e si concentri invece sulla muscolatura delle cosce e dei glutei. Nelle pitture vascolari non è raro trovare addirittura donne con cosce e glutei atletici o maschili. Ancora una volta quello che prevale è un immaginario erotico ”maschiocentrico” e omoerotico. L’oggetto ideale di desiderio non può essere la donna, considerata una creatura inferiore, ma tende a essere l’uomo, a misura del quale è costruito l’intero spazio civico. D’altra parte l’esaltazione di glutei e cosce riflette la diffusa bisessualità, per la quale un uomo poteva avere contemporaneamente una moglie e un giovane amante o poteva entrare nella fase della sessualità adulta e riproduttiva dopo un periodo di omosessualità rituale. Il tintinnabolo portafortuna Anche il mondo romano non sfugge a questa logica: l’uomo è dominante e non ha bisogno di affermare la propria virilità attraverso l’esaltazione delle proprie ”misure”. Il pene grande o deforme è solo gioco e divertimento. Gli scavi di Pompei hanno riportato alla luce centinaia di falli, dipinti sulle pareti delle case, graffiti sui muri delle strade o modellati nel bronzo o nella terracotta per diventare lucerne, talismani o addirittura icone da tempietti. una documentazione ricchissima che ci aiuta a capire il rapporto del mondo antico con la sessualità. Il sesso è piacere e divertimento, da vivere senza sensi di colpa e al di fuori di ogni considerazione moralistica. Il pene è uno degli strumenti che permette di creare questo piacere ed è quindi meritevole di ringraziamento o, addirittura, di culto. All’ingresso di una casa, ad esempio, i visitatori erano accolti da un fallo in rilievo accompagnato dalla scritta ”Hic abitat felicitas”. Il fallo è portatore di piacere e di felicità, dal momento che, garantendo la riproduzione della famiglia, ne assicura anche la ricchezza. Il pene si afferma così come simbolo di fortuna e fertilità, che, racchiudendo la forza della virilità maschile, è capace di proteggere la comunità e allontanare malocchio e malintenzionati. in questa logica che il pene può essere raffigurato con dimensioni abnormi: grossi falli di bronzo con attaccati dei campanellini (tintinnabula) pendevano dai soffitti e con il loro tintinnio dovevano tenere lontana la sfortuna dalla casa o, semplicemente, portare un po’ di buonumore. Un celebre affresco rappresenta il dio Priapo, incarnazione della fertilità maschile e dalla forza riproduttiva della natura, che, accanto a un cesto di frutta, con assoluta tranquillità pesa sulla bilancia un sacchetto di monete e il proprio smisurato pene. Le dimensioni non servono a esaltare l’individuo, ma a celebrare scherzosamente il rapporto tra natura, sessualità e ricchezza.