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 2005  ottobre 29 Sabato calendario

30 anni senza Pasolini. La Stampa ttL 29/10/2005. «Andai a trovarlo a casa sua all’Eur. Passammo insieme circa due ore e lo intervistai dalle quattro alle sei del pomeriggio

30 anni senza Pasolini. La Stampa ttL 29/10/2005. «Andai a trovarlo a casa sua all’Eur. Passammo insieme circa due ore e lo intervistai dalle quattro alle sei del pomeriggio. All’ultima domanda, Pasolini mi disse: ”Aspetta, voglio rifletterci e pensarci tutta la notte”. Così Furio Colombo, all’epoca giornalista de La Stampa diretta da Arrigo Levi, ricorda l’ultima ormai storica intervista di Pasolini (ripresa tra l’altro dalla New York Review of Books) rilasciata proprio nel pomeriggio antecedente la morte. Uscì sul secondo numero del neonato Tuttolibri, l’8 novembre 1975, con il drammatico titolo suggerito dallo stesso scrittore: «Siamo tutti in pericolo». Che impressione ne ricavò? «Pier Paolo nelle conversazioni era come un interruttore che si accendeva e si spegneva. Passava da un intrattenimento casuale al lavoro che svolgeva in modo concentrato, quasi duro. La sua analisi della situazione italiana era drammatica. Non era solo constatazione dell’esistente ma rivolta anche al futuro. Spesso succede che i poeti siano visionari o profetici. Presagiva un grande uragano di violenza. Mi disse ”io scendo all’inferno... Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi”. Eravamo dopo la strage di Piazza Fontana, quella di Brescia, la comparsa delle Brigate rosse. Pier Paolo presagiva che l’ondata non si sarebbe arrestata. E forse presagiva la sua stessa morte». Poi, per Colombo, ci sarà la sveglia alle 5,30 del mattino e le parole concitate di Antonioni, la corsa all’Idroscalo di Ostia e poi all’istituto di medicina legale. L’ultima domanda posta da Colombo era: «Se tutto questo sta per accadere, come possiamo difenderci?». Il giornalista rimase senza nessuna risposta. Mirella Serri Qui comincia l’intervista (La Stampa ttL 29/10/2005): Colombo: E tu vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici?. Pasolini: «Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cosiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo). Ditemi voi un’altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. E’ vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato «la vita violenta». Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grande conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali». "Io scendo al mio inferno ma siamo tutti in pericolo". La Stampa 01/11/2005. Allora fammi tornare alla domanda iniziale. Tu, magicamente abolisci tutto. Ma tu vivi di libri e hai bisogno di intelligenze che leggono. Dunque, consumatori educati del prodotto intellettuale. Tu fai del cinema e hai bisogno non solo di grandi platee disponibili (infatti hai in genere molto successo popolare cioè sei «consumato» avidamente dal tuo pubblico) ma anche di una grande macchina tecnica, organizzativa, industriale, che sta in mezzo. Se togli tutto questo, con una specie di magico monachesimo di tipo paleo-cattolico e neo-cinese, che cosa ti resta? «A me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini. Agli altri resta molto di più. Possono tenermi testa, colti come me o ignoranti come me. Il mondo diventa grande, tutto diventa nostro e non dobbiamo usare né la Borsa, né il consiglio di amministrazione, né la spranga, per depredarci. Vedi, nel mondo che molti di noi sognavano, c’era il padrone turpe con il cilindro e i dollari che gli colavano dalle tasche e la vedova emaciata che chiedeva giustizia con i suoi pargoli. Il bel mondo di Brecht, insomma». Come dire che hai nostalgia di quel mondo. «No! Ho nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto nessuno li aveva colonizzati. Io ho paura di questi negri in rivolta, uguali al padrone, altrettanti padroni, che vogliono tutto a qualunque costo. Questa cupa ostinazione alla violenza totale non lascia più vedere ”di che segno sei”. Chiunque sia portato in fin di vita all’ospedale ha più interesse – se ha ancora un soffio di vita – in quel che diranno i dottori sulla sua possibilità di vivere che in quel che gli diranno i poliziotti sulla meccanica del delitto. Bada bene, che io non faccio né un processo alle intenzioni né mi interessa ormai la catena causa-effetto, prima loro, prima lui, o chi è il capo-colpevole. Mi sembra che abbiamo definito quella che tu chiami la ”situazione”. E’ come quando in una città piove e si sono ingorgati i tombini. L’acqua sale, è un’acqua innocente, acqua piovana, non ha né furia del mare né la cattiveria delle correnti di un fiume. Però, per una ragione qualsiasi non scende ma sale. E’ la stessa acqua piovana di tante poesiole infantili e, delle musichette del ”cantando sotto la pioggia”. Ma sale e ti annega. Se siamo a questo punto io dico: non perdiamo tutto il tempo a mettere una etichetta quì e una là. Vediamo dove si sgorga questa maledetta vasca, prima che restiamo tutti annegati». E tu, per questo, vorresti tutti pastorelli senza scuola dell’obbligo, ignoranti e felici. «Detta così sarebbe una stupidaggine. Ma la cossiddetta scuola dell’obbligo fabbrica per forza gladiatori disperati. La massa si fa più grande, come la disperazione, come la rabbia. Mettiamo che io abbia lanciato una boutade (eppure non credo). Ditemi voi un altra cosa. S’intende che rimpiango la rivoluzione pura e diretta della gente oppressa che ha il solo scopo di farsi libera e padrona di se stessa. S’intende che mi immagino che possa ancora venire un momento così, nella storia italiana e in quella del mondo. Il meglio di quello che penso potrà anche ispirarmi una delle mie prossime poesie. Ma non quello che so e quello che vedo. Voglio dire, fuori dai denti: io scendo all’inferno e so cose che non disturbano la pace di altri. Ma state attenti. L’inferno sta salendo da voi. E’ vero che viene con maschere e con bandiere diverse. E’ vero che sogna la sua uniforme e la sua giustificazione (qualche volta). Ma è anche vero che la sua voglia, il suo bisogno di dare la sprangata, di aggredire, di uccidere, è forte ed è generale. Non resterà per tanto tempo l’esperienza privata e rischiosa di chi ha, come dire, toccato ”la vita violenta”. Non vi illudete. E voi siete, con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo basato sull’idea di possedere e sull’idea di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta, A me questa sembra un’altra delle tante operazioni della cultura di massa. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali». Ma abolire deve per forza dire creare, se non sei un distruttore anche tu. I libri, per esempio, che fine fanno? Non voglio fare la parte di chi si angoscia più per la cultura che per la gente. Ma questa gente salvata, nella tua visione di un mondo diverso, non può essere più primitiva (questa è un’accusa frequente che ti viene rivolta) e se non vogliamo usare la espressione «più avanzata»... «Che mi fa rabbrividire». Se non vogliamo usare frasi fatte, una indicazione ci deve pur essere. Per esempio, nella fantascienza, come nel nazismo, si bruciano sempre i libri come gesto iniziale di sterminio. Chiuse le scuole, chiusa la televisione, come animi il tuo presepio? «Credo di essermi già spiegato con Moravia. Chiudere, nel mio linguaggio, vuol dire cambiare. Cambiare però in modo tanto drastico e disperato quanto drastica e disperata è la situazione. Quello che impedisce un vero dibattito con Moravia ma soprattutto con Firpo, per esempio, è che sembriamo persone che non vedono la stessa scena, che non conoscono la stessa gente, che non ascoltano le stesse voci. Per voi una cosa accade quando è cronaca, bella, fatta, impaginata, tagliata e intitolata. Ma cosa c’è sotto? Quì manca il chirurgo che ha il coraggio di esaminare il tessuto e di dire: signori, questo è cancro, non è un fattarello benigno. Cos’è il cancro? E una cosa che cambia tutte le cellule, che le fa crescere tutte in modo pazzesco, fuori da qualsiasi logica precedente. E’ un nostalgico malato che sogna la salute che aveva prima, anche se prima era uno stupido e un disgraziato? Prima del cancro, dico. Ecco, prima di tutto bisognerà fare non so quale sforzo per avere la stessa immagine. Io ascolto i politici con le loro formulette, tutti i politici e divento pazzo. Non sanno di che Paese stanno parlando, sono lontani come la Luna, E i letterati. E i sociologi. E gli esperti si tutti i generi». Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare? «Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo». Pasolini se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio? E’ diventato tardi. Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande. «Ci sono punti che mi sembrano un pò troppo assoluti. Fammi pensare, fammeli rivedere. E poi dammi il tempo di trovare una conclusione. Ho una cosa in mente per rispondere alla tua domanda. Per me è più facile scrivere che parlare. Ti lascio le note che aggiungo per domani mattina». Il giorno dopo, domenica, il corpo senza vita di Pier Paolo Pasolini era all’obitorio della polizia di Roma. Furio Colombo